21 Dicembre.
Per la prima volta a Torino, dopo il seminario del 6 e 7 ottobre ad Orvieto, dirigenti e militanti che intendono impegnarsi per la nascita di un nuovo soggetto politico, si ritrovano pubblicamente, per ragionare insieme sulla scorta della relazione di Piero Fassino al recente Consiglio Nazionale.
Folla delle grandi occasioni, militanti, direttivi di sezione, un po’ di eletti.
Eppure tutta la discussione si dipana tra un “dover essere, dover fare, dover accettare la sfida…” e un lancinante senso di possibile deprivazione d’identità.
In un certo senso, abbiamo fatto una discussione sui presupposti etico-sostanziali del Partito (e pensavamo al nostro, all’attuale) e abbastanza poco sui dati storico-attuali, di lungo periodo, del Paese.
Non sarà facile, se la preoccupazione fondamentale rimarrà quella di rassicurare i protagonisti della trasformazione (noi) che c’è poco da trasformare, e solo perfezionare una conosciuta continuità.
Non sarà facile, se nessuno parla di referendum elettorale, pochi delle riforme necessarie, molti dei nodi della laicità, come fossero il nuovo muro di Berlino, se alcuni compagni sentono il bisogno di dire quello che il Consiglio Nazionale ha già escluso: che ci sarà un secondo Congresso dei DS.
Ma poiché non mi è mai piaciuta (dal 1989 in poi) l’artificiosa distinzione tra avanguardisti e resistenti o malpancisti, penso che trasversalmente stanno crescendo sentimenti e riflessioni nuove nel corpo del Partito. C’è un grande fermento, che non trova espressione. C’è anche qualche rischio di confusione e di doroteismo.
Vincerà (non facciamoci tiranneggiare dall’ossessione dei numeri e delle percentuali congressuali, non siamo all’auditel) chi saprà usare parole di verità, disegnare il nuovo, mettersi in gioco.
Qualche volta basta solo un po’..