Il Riformista, 15 febbraio 2008 – Aborto. Il caso di napoli ci ricorda cosa può uscire dal vaso di pandora – La lista Ferrara e il rischio di una guerra di religione – Claudia Mancina
Sembra proprio che l'aborto debba essere un tema della prossima campagna elettorale, insieme alle tasse e ai salari. Da una parte l'odioso blitz di Napoli, che inevitabilmente ha prodotto risposte di intensità crescente, sino alle manifestazioni di ieri. Dall'altra la nuovissima lista per la vita proposta da Ferrara. A che servirà questo acutizzarsi della polemica proprio ora? Né al confronto politico, temo, né al dibattito etico. È vero che molti esponenti cattolici o presunti tali, a partire da Berlusconi, hanno chiuso la porta all'iniziativa di Ferrara; è vero che la stessa Chiesa è apparsa fredda; è vero che quasi tutti, con l'eccezione dello stesso Ferrara, hanno stigmatizzato l'episodio di Napoli.
Tuttavia quando la campagna sarà entrata nel vivo sarà difficile evitare il confronto sull'aborto, e soprattutto sarà difficile evitare le strumentalizzazioni. Il direttore del Foglio certo è pienamente convinto (rapito, ha detto con inconsueta eleganza verbale Berlusconi) di questa sua battaglia, e certamente ha abbastanza fiducia in se stesso da non temere di essere utilizzato da altri. Ma una campagna elettorale ha le sue logiche. Anche se ancora non sappiamo bene quali saranno le logiche di questa nuova, e per noi del tutto inedita, campagna, è facile prevedere che un argomento come questo non potrà non riversare in essa una conflittualità e forse delle ipocrisie delle quali si farebbe volentieri a meno.
Ferrara sostiene che, anche se mancherà l'obiettivo di entrare in
Parlamento, considererà comunque una vittoria l'aver portato la sua
campagna contro l'aborto al centro del dibattito politico dei
prossimi mesi. Ora, se davvero la campagna contro l'aborto si
limitasse ai tre principi recentemente enunciati: che nessuna donna
deve essere obbligata a partorire, che nessuna donna deve essere
perseguita per aver abortito, e che l'aborto non deve essere
considerato un mezzo di controllo delle nascite, sarebbe più che
superflua, perché su questi tre principi siamo tutti o quasi
d'accordo (il quasi si riferisce per alcuni al secondo principio, e
per alcuni altri al terzo: pochissimi nell'un caso e nell'altro,
credo). E se la moratoria proposta si riferisse veramente solo agli
aborti obbligati che eliminano le femmine in Cina e in India, molti
di noi potrebbero aderire.
Ma non è questo il senso della campagna del Foglio, e certo non così
la interpreta la maggioranza di coloro che hanno aderito. Il timore è
che questa campagna stia dando voce, oltre che a legittime
preoccupazioni per il valore della vita, e al di là delle intenzioni
del suo autore, alla parte estrema e più integralista dei movimenti
antiabortisti, finora nel nostro paese tenuta abbastanza sotto
controllo. E l'esito finale della presentazione di una lista motivata
da quest'unico tema non aiuta certamente né a dibattere serenamente
sui problemi morali e pratici dell'aborto né a sviluppare un
confronto politico utile a chiarire le diverse proposte di soluzione
ai problemi del paese. Che sono tanti: ma non c'è fra di essi, mi
sembra, quello di un uso sconsiderato della facoltà di abortire,
visto che gli interventi negli anni non fanno che diminuire.
All'obiezione – venuta anzitutto da Berlusconi – che sta aggiungendo
una lista proprio quando per la prima volta si cerca di ridurre e
semplificare la frammentazione, Ferrara risponde che la sua
lista «non è un'altra lista qualunque: è un'altra cosa… è il
tentativo di generare impegno e cultura della vita dentro una
campagna di rinnovo delle istituzioni». In sostanza, la proposta è
quella di un corto circuito tra etica e politica, nel solco
dell'integralismo cattolico o del fondamentalismo evangelico. Ma
scavalcare il discrimine tra dibattito etico e lotta politica è una
tentazione pericolosa.
La buona fede di Ferrara è fuor di dubbio; ma si rende conto di cosa
può uscire da questo vaso di Pandora? Il rischio è quello di portare
nella politica italiana quel conflitto violento che secondo il
filosofo americano Ronald Dworkin è il corrispettivo contemporaneo
delle guerre di religione del XVII secolo. C'è solo da sperare che il
cattolicesimo accomodante degli italiani rifiuti gli eccessi. Ma il
rischio c'è, e l'episodio di Napoli è lì a ricordarcelo.