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Battaglia politica sull’articolo 3

Venerdì la direzione nazionale PD chiuderà la querelle sulle regole e approverà il regolamento di tutti i congressi

Bene, basta però essere chiari tra di noi: non si è trattato di una confusione da azzeccagarbugli. Nell'assemblea di venerdì e sabato si è giocata una vera partita politica

La commissione dei 19 (ma ci sono davvero 19 correnti nel PD?) non aveva tenuto conto delle coerenti obiezioni dei rappresentanti di Rosi Bindi e di Veltroni: non toccare per quanto possibile lo statuto, specialmente l'articolo 3 che prevede che il segretario del PD sia proposto come candidato all'incarico di presidente del consiglio dei ministri.

Vergognosamente è stato presentanto un documento conclusivo che modificava e depennava dall'articolo 3 esattamente questa peculiarità e confinava i poteri del segretario all'articolo 18, che lo definisce primus inter pares per concorrere alle primarie per la carica di presidente. 

Una tale forzatura scorretta e antidemocratica presupponeva – a volerla portare fino in fondo – il voto positivo di almeno 471 delegati: eravamo circa 499 e moltissimi non erano d'accordo su questa modifica. Sembra che il rappresentante di Letta in commissione abbia impedito la positiva conclusione finale quando tutti i rappresentanti della commissione erano d'accordo di lasciare immutato l'articolo 3 e votare le altre piccole modifiche. Così tutto si è concluso con un nulla di fatto. 

Almeno sembra, perché io in commissione non ci sono e raccolgo solo le testimonianze di quelli che hanno tentato, d'accordo anche Cupreo e Renzi, di concludere in modo utile l'assemblea.

Si è tentato, insomma, attraverso la battaglia sulle modifiche allo statuto di anticipare quello che poteva essere l'esito del congresso: o un partito riformista a vocazione maggioritaria o un partito atto a concepire la sua azione in un sistema mutevole di alleanze.

 

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MAGDA NEGRI

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