Chi si candiderà a dirigere il Pd dopo Franceschini o contro Franceschini? Ottobre è un mese di rivoluzioni nella storia della sinistra. Ci sarà una rivoluzione nel Pd ovvero in ciò che ne resterà dopo il voto europeo? Il candidato più forte è ancora senza nome.
Lo
chiameremo Mister X. È giovane, ha una storia politica ulivista, un
ottimo aspetto, forse è un uomo nel senso che è più probabile che sia
un maschio, non è completamente sconosciuto perché fa politica da
sempre, è cresciuto mentre il berlusconismo avanzava quindi non ha
rancori per le battaglie perse ma pensa di vivere già nell'epoca in
cui ci si metterà alle spalle il Cavaliere, intriga con le ong che si
occupano di solidarietà qui e in Africa, è filo-americano negli anni
di Obama, quindi non deve fare abiure, considera la sinistra un
bambolotto di pezza con cui addormentarsi, ma da sveglio preferisce
altri riferimenti. Mister X potrebbe vincere. Bisogna cercarlo.
Realisticamente la battaglia sarà fra 4 o 5 personalità selezionate
dalla storia di questi anni. Ulivisti, sostenitori del Pd, un po'
amici di Massimo un po' di Veltroni. Nomi noti, privi di quel carisma
che non è stato sufficiente a Veltroni per conservare la poltrona,
rappresentativi di una idea di partito tutto sommato tradizionale.
Vediamoli.
Al primo posto c'è innanzitutto Pierluigi Bersani. Come per i Tour de
France o i Giri d'Italia è lui il candidato da battere. Passista alla
Ercole Baldini, macina chilometri e chilometri per vincere poche ma
decisive gare. Bersani nasce in provincia di Piacenza nel 1951. È
figlio di un artigiano che fa anche il benzinaio, come con civetteria
dichiarerà quando farà la lenzuolata in cui punirà i colleghi di suo
padre. È laureato in Filosofia, per qualche anno insegna ma la svolta
della sua vita è nel 1993 quando l'Emilia e Romagna, eleggendolo
presidente, scopre in lui l'erede dei grandi leader della "patria
rossa". Bersani è un riformista, uomo di buone letture, appassionato
di proverbi dialettali e popolari con cui stupisce i giornalisti, in
poco tempo sfonda sulla scena nazionale. Per gli emiliani è una
specie di profeta in patria. Per la prima volta, dai tempi di Dozza e
Zangheri, hanno un dirigente, un figlio della loro terra, che compete
con i grandi della sinistra. Quando si avvicina la grande tempesta
del 2000-2001 potrebbe essere l'uomo a cui affidarsi, ma D'Alema gli
preferisce un altro passista, in questo caso infaticabile, Piero
Fassino. Pierluigi abbozza, partecipa a tutte le riunioni che servono
per costruire la candidatura di Piero, ma si tiene in riserva della
Repubblica. Intanto mentre muoiono come mosche i partiti, forma un
doppio sodalizio, con Vincenzo Visco dà vita a Nens, un'associazione
di economisti, e con Enrico Letta si mette a girare l'Italia. Cade
Fassino e arriva Veltroni, Bersani pensa che sia giunto il suo
momento ma Massimo lo stoppa. Ora è in pista. Dicono che farebbe un
Pd socialdemocratico, vicino alla Cgil, con tante tessere.
Probabilmente non sarà lui il Tony Blair italiano, ma il
corrispettivo di Gordon Brown, serio, amabile, forse poco coraggioso.
Gli scommettitori puntano su di lui.
Enrico Letta è l'amico-rivale di Bersani. Ha poco più di
quarant'anni, è laureato a Pisa in Diritto internazionale, è
un "enfante prodige" del cattolicesimo perché a venticinque anni
riesce a farsi nominare presidente dei giovani del Partito popolare
europeo. Due sono gli incontri che gli cambiano la vita. In primo
luogo c'è Beniamino Andreatta che se lo porta all'Arel, che tuttora
Letta gestisce con intelligenza, e al ministero degli Esteri quando
diverrà titolare della Farnesina. Poi Carlo Azelio Ciampi che fa di
lui il più promettente tecnocrate del ministero del Tesoro. Ma ci
sono altri due nomi che conteranno nella sua vita. C'è innanzitutto
Massimo D'Alema che lo porta per la prima volta al governo e stringe
con lui un patto che sopravviverà anche alle bufere pugliesi quando
Letta candiderà un suo amico, il giovane deputato Francesco Boccia, e
D'Alema gli opporrà il «primo che capita». Con D'Alema partecipa alla
prima formulazione dell'associazione Red che si chiamava "Futura" e
che si insedia in molte regioni italiane. L'altro incontro, ne
abbiamo già parlato, è con Bersani. È nipote di Gianni Letta. Vuole
un Ulivo con dentro Casini, potrebbe stupirci tutti con scelte di
rottura.
Rosi Bindi si è candidata contro Veltroni e potrebbe ricandidarsi.
Maria Rosaria è donna di temperamento e di buon curriculum
universitario. Laureata in Scienze politiche, ha un impatto tremendo
con il terrorismo negli anni bui. Era accanto a Bachelet il 12
febbraio del 1980 quando le Br lo uccisero. Rosi è una democristiana
di sinistra doc. La Dc la candidò alle elezioni europee e stupì tutti
rastrellando quasi 211.000 voti. Negli anni dell'Ulivo è stata
ministra e si è caratterizzata come l'ex popolare più vicina a Romano
Prodi. Il suo prodismo non è altrettanto doc. I prodiani della prima
ora, Arturo Parisi e Franco Monaco, preferiscono separare le loro
strade da quella di Rosi che inizia un percorso che la porta a
incarnare l'anima di sinistra del Pd. Non amata dagli ex popolari
trova molti sostenitori negli ex comunisti che vedono in questa donna
combattiva e sanguigna la prova che la mescolanza di culture può
creare una nuova sinistra.
Due candidati, infine, vengono ancora dalla storia del Pci-Pds-Ds ma
ne rappresentano la mutazione genetica. Il primo è sicuramente Sergio
Chiamparino, poco più che cinquantenne, laurea in Scienze politiche,
primi passi nel consiglio comunale di Moncalieri e cursus honorum
nelle organizzazioni piemontesi. Chiamparino è uno dei migliori
sindaci italiani ed è stato, da parlamentare, la punta di lancia del
migliorismo socialdemocratico. Culturalmente compatto, a volte brusco
nei modi, rappresenta bene il partito del Nord. La sua candidatura
darebbe spazio a quella periferia che anela alla rottura del blocco
romanocentrico. Il suo limite è la scarsa capacità di comunicazione
che gli impedisce spesso di prendere la prima scena.
Infine, Nicola Zingaretti, quarantenne romano, fratello del
commissario Montalbano, designato fin da piccolo a una grande
carriera politica. Come tutti gli esponenti del partito romano è
stato, volta a volta, dalemiano e veltroniano. L'esperienza europea,
è stato deputato a Strasburgo e presidente del gruppo, lo ha fatto
conoscere negli ambienti della socialdemocrazia a cui dice di
riferirsi senza particolare enfasi. Probabilmente il suo sponsor
principale sarà Goffredo Bettini che ha lanciato un'Opa su tutti i
quarantenni del Pd. Forse alla fine sceglierà lui.
C'è, in verità, anche Anna Finocchiaro, magistrato siciliano dalla
vita politica complicata. Sostenitrice del No all'epoca dello
scioglimento del Pci rappresenta quel dalemismo naturale che spinge
in tanti a dichiararsi seguaci del leader per quel tanto che basta a
sostenere il contrario quando serve. Donna di passioni ma che sa
dirigere con freddezza gruppi parlamentari rissosi, ha un grande
ascendente fra i senatori dell'una e dell'altra parte. Se c'è Bersani
non c'è lei. (P.C.)