Abbiamo scelto in Piemonte una campagna iper-identitaria sulla piemontesità da opporre alla Lega, una sorta di visitor lombardo che si insinua nel Piemonte sabaudo, e allo stesso tempo una campagna fortissimamente radicata sull'elettorato tradizionale di centrosinistra e sugli insediamenti più prevedibili. Per vincere, si dice, bisogna mobilitare al massimo gli elettori fedeli a Torino, a Cuneo e ad Alessandria e indurre gli elettori del centrodestra, a disagio con la candidatura di Cota, a una sofferta astensione. Mobilitazione dei nostro vs astensione di settori del centrodestra. Secondo le analisi del Cattaneo e di D'Alimonte, in assoluto, ma specialmente in questa campagna elettorale, non è possibile alcun travaso di voti. Se è così, non c'è da sforzarsi troppo, Bersani andrà nelle zone classiche di crisi industriale: i temi della campagna elettorale sono scontati. Ma una parte dei dirigenti non ci sta. Quelli che sono in trincea davvero, a Novara, Biella, Verbania, Vercelli , rifiutano le parole d'ordine del Comitato regionale, non ci stanno a fare i colonizzati impotenti del centrodestra lombardo. Migliavacca ascolta, ha una posizione più equilibrata e sembra determinato a non abbandonare del tutto la periferia dell'impero. Manderemo lì Bersani e ci sarà uno sforzo specifico di campagna telefonica e spot su radio e televisioni private. Se la forbice fra centrodestra e centrosinistra resta troppo grande nel Piemonte settentrionale, lo stesso risultato elettorale potrebbe essere a rischio. Ma è difficile far capire questo ai torinesi, che come sempre dominano il Comitato regionale. Circola un incarnato ottimismo. Sentiamo già la vittoria. Stranamente, però, tutti i sondaggi sull'attesa del risultato fatti tra i cittadini dicono che i piemontesi si aspettano una vittoria del centrodestra. I due rilevamenti non combaciano. Nel frattempo, se non ci auto governiamo un po', l'esaltazione dell'autonomismo piemontese potrebbe riesumare oltre a Covour, anche i Savoia.