Ma il Pdl coi suoi alleati sarebbe davvero pronto a governare?
Non sono solo degli scricchiolii casuali a far venire dei seri dubbi, l’ultimo e più importante dei quali è il lancio di una proposta pensionistica a Cernobbio da parte di Berlusconi, poi rapidamente rientrata, e che faceva seguito ad analoghi problemi sulle missioni internazionali, sull’Alitalia e sulla scelta di alcuni candidati imbarazzanti a fini elettoralistici immediati, approvata da Berlusconi col dissenso di Fini e Bossi. C’è qualcosa di più profondo, di costante, di cui queste sono solo alcune manifestazioni.
Il Pd è un partito già strutturato, prima delle elezioni, dotato di un regolare Statuto, di un manifesto, di un gruppo dirigente legittimato democraticamente e di un programma su cui ha fatto un patto chiaro con altre due forze politiche. La scelta elettorale è conseguenza di un modo di essere, è lo specchio di una realtà preesistente, viva e vitale, strutturata intorno a una cultura di governo. Il Pdl come tale è solo una lista, che risulta dalla volontà di partiti al momento ancora del tutto diversi,resa tale dalla vicinanza della scadenza elettorale, in cui può trovare spazio chi ha brindato in Senato in modo scomposto per la caduta del Governo Prodi (nonostante le promesse di esclusione) con quella che è stata fino ad ieri la sottosegretaria alla Giustizia del Governo Prodi medesimo.
E’ una promessa di partito. Se fosse però solo questo, la situazione potrebbe essere sanabile nei prossimi mesi con un lavoro serio, sia pure in ritardo. Un lavoro che sarebbe positivo ai fini della stabilizzazione del sistema e che si fa comunque meglio all’opposizione, senza i vincoli derivanti dal dover sostenere insieme il Governo: un ottimo motivo anche per elettori di centro-destra di scegliere almeno stavolta il Pd per dare tempo al proprio schieramento di darsi un assetto più credibile. Ma c’è, purtroppo, qualcosa di ancor più profondo: il Pdl ha costruito un patto con altre due forze, la Lega Nord e il Movimento per le Autonomie, che non ha una effettiva base programmatica. Infatti esiste un programma del Pdl con le cosiddette “sette missioni per il futuro del paese”; di esso però non c’è traccia sul sito della Lega Nord http://www.leganord.org/elezioni/2008/.
Esso, che si presenta ancora come sito della “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”, presenta un programma del tutto autonomo approvato il 2 marzo dal cosiddetto Parlamento del Nord, che in più punti è in radicale contraddizione col primo. Per fare solo due esempi sul tema cruciale del federalismo, il programma del Pdl appare addirittura minimalista, non accennando neppure alla necessaria riforma del Senato che completerebbe quella del Titolo Quinto, ma proponendosi solo di attuare per via legislativa ordinaria il vigente articolo 119 della Costituzione sul federalismo fiscale. Viceversa il programma della Lega ripropone la vecchia soluzione di Miglio della sostanziale “disgregazione e dissoluzione dello Stato nazionale” che si tradurrebbe nella nascita di “tre Euroregioni”, ciascuna delle quali con “sovranità esclusiva…in termini di potere legislativo, amministrativo, giudiziario”, detto in altri termini il progetto di tre staterelli debolmente confederati.
Una proposta che, peraltro, oltre a creare problemi dentro la coalizione di centro-destra, rende difficile pensare a una legislatura capace di aggiornare la Costituzione perché in evidente conflitto coi suoi principi fondamentali, a meno che il Pdl non se ne discosti esplicitamente. Il leader della Lega Bossi ha detto nei giorni scorsi che gli è stato proposto di nuovo di fare il Ministro per le riforme, ma sulla base di quale dei due programmi divaricanti? Il sito del Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo http://www.mpa-italia.it/ richiama invece solo la quinta missione del programma di Berlusconi (“Il Sud”), che sottolinea tra le altre l’idea guida del “federalismo fiscale solidale”. Come ciò si concili però con la proposta della Lega Nord del ritorno a casa del 90% del gettito fiscale delle regioni padane “attribuibile al proprio territorio” è impresa sostanzialmente impossibile perché priva di una base materiale di risorse, tenendo anche conto che alla Sicilia torna già il 100% e che i progetti di Lombardo tendono a chiedere ancora di più.
Non è quindi un caso se la presentazione delle liste da parte dello schieramento del centro-destra prevede che dove vi sia il simbolo della Lega Nord ad affiancare il Pdl non vi sia mai quello dell’Mpa e viceversa. Una riedizione della logica già vista nel 1994 quando vi erano due diverse coalizioni territoriali con messaggi-chiave divergenti: Forza Italia e Lega a Nord, Forza Italia e Alleanza Nazionale a Sud. Durò pochi mesi perché fondere dal Governo, dopo il voto, logiche programmatiche divaricanti in una visione di politica nazionale non è impresa agevole. Il centro-destra ha quindi costruito una coalizione più piccola del solito, ma non ha in realtà cambiato logica, almeno per ora: si tratta con tutta evidenza di una coalizione per vincere le elezioni, ma che non potrebbe governare né efficacemente né per molto tempo.
Penso che in queste condizioni, dobbiamo ricordare a tutti gli elettori, anche i più distanti da noi, che nelle grandi democrazie parlamentari il voto non è tanto un segno di appartenenza, per vedersi solo rispecchiati in Parlamento, come una fotografia più o meno riuscita, è anche e soprattutto una scelta per il Governo, per valutare caso per caso chi è più pronto a guidare il Paese, a renderlo credibile all’interno e all’estero. Stavolta, nell’offerta politica, chi ha cambiato davvero fino in fondo è solo il nuovo Pd.