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Ceccanti – Partito dei territori? – Unità

By 23/04/2008Politica

23 aprile – Partito dei territori? C¹è già nello Statuto Pd.

Specie dopo una sconfitta elettorale c¹è il rischio che la giusta volontà di rispondere prontamente ai cittadini, di colmare la distanza con tanti elettori, si unisca alla tentazione un po¹ masochistica di ripartire da zero. E¹ quello che mi sembra si possa rilevare nella discussione che si è aperta sul cosiddetto ³Partito del Nord², che in realtà evoca il tema di un
partito federale, in grado di radicarsi su tutti i territori perché consapevole delle loro specificità. Mi sembra quindi importante rilevare che il Pd ha già dato due importanti risposte, che sono strettamente intrecciate tra di loro.

La prima, quando ancora vi erano solo Ds e
Margherita, è la riforma costituzionale del Titolo Quinto della Parte
Seconda, la quale, pur imperfetta e incompiuta, comprende almeno due
articoli fortemente innovativi. Si tratta anzitutto del nuovo articolo 116
terzo comma, che, al di là dei tecnicismi, consente con alcune garanzie, in
particolare con un intervento del Parlamento nazionale a maggioranza
assoluta, di poter trasformare tutte le Regioni ordinarie che lo desiderano
in Regioni speciali, dotate di poteri peculiari legati alle esigenze del
proprio territorio e delle conseguenti risorse. Si tratta poi anche
dell¹articolo 119 che detta i principi del federalismo fiscale, combinando
autonomia e solidarietà. Le vicende successive hanno portato alla mancata
attuazione delle potenzialità contenute in entrambi gli articoli. Nella
legislatura 2001-2006, infatti, il centrodestra che governava ebbe un
atteggiamento contraddittorio: spinto tra le pressioni opposte delle
componenti della sua maggioranza varò una riforma, poi bocciata dal
referendum, che non toccava l¹articolo 119 (il cui dossier di applicazione
non fu mai aperto) e che invece sopprimeva quella flessibilità prevista
dall¹articolo 116 in nome di una confusa devolution. In quel clima di
scontro lo stesso centrosinistra sembrò disinteressarsi anch¹esso
dell¹applicazione di quelle novità, quasi ripudiandole. Nella foga
dell¹opposizione frontale vi furono anche forme di regressione culturale che
tornavano a identificare la garanzia delle zone deboli con un centralismo
rigidamente livellatore e non trasparente nell¹allocazione delle risorse: la
linea, cioè, con cui Rifondazione aveva votato contro la riforma del Titolo
Quinto. La scorsa legislatura è stata poi troppo breve perché il rilancio di
quella prospettiva si potesse realizzare. Tuttavia il Programma del Pd ha
riproposto con forza l¹applicazione di entrambi gli articoli, che sono
peraltro strettamente collegati. Sappiamo certo che esistono problemi per
realizzare le opportune intese con l¹attuale maggioranza. Ciò soprattutto
perché le proposte del programma della Lega vanno oltre la logica
dell¹articolo 119, premiando troppo le aree più forti del Paese, ma compito
del Pd, di un¹opposizione propositiva, è di andare a vedere le
contraddizioni per tentare di giungere a dei risultati, nell¹interesse del
Paese, evitando da entrambe le parti di ripetere l¹inconcludente legislatura
2001-2006. Prima del varo del Programma, lo Statuto del Pd aveva preso
decisioni del tutto analoghe rispetto alla forma partito, anche se la
concitazione con cui si è arrivati all¹approvazione per l¹improvvisa fine
anticipata della legislatura non ha consentito di prendere coscienza delle
potenzialità innovative del testo, che è importante ribadire per le prossime
convocazioni delle Assemblee regionali e nazionale. In particolare il comma
4 dell¹articolo 11 è la traduzione interna al Pd di quello che il terzo
comma dell¹articolo 116 della Costituzione prevede per le Regioni ordinarie:
³forme speciali di autonomia per rispondere a peculiari esigenze
territoriali, in via sperimentale o permanente, possono essere richieste
dalle Assemblee regionali o dalle Assemblee provinciali di Trento e Bolzano
con la procedura prevista per la revisione dei propri Statuti. Tali
richieste sono esaminate dall¹Assemblea nazionale e da essa approvate con la
procedura prevista per la revisione dello Statuto nazionale². Peraltro, già
oggi, senza ricorrere a questi poteri ulteriori, secondo il primo comma
dell¹articolo 12 dello Statuto, le Unioni regionali godono di ³autonomia
politica, programmatica, organizzativa e finanziaria² in tutte le materie
che lo Statuto non riserva al Pd nazionale ³comprese le alleanze politiche
ed elettorali a livello regionale, provinciale e comunale². Nel dibattito di
questi giorni è stato infine sollevato il problema per cui su alcune
questioni la dimensione regionale sarebbe troppo limitativa per affrontarle
credibilmente. Anche in questo caso lo Statuto aveva già tenuto conto di una
tale eventualità, precisando appositamente, nel quarto comma dell¹articolo
12, che ³l¹autonomia regionale e delle province autonome comprende anche la
possibilità di stipulare accordi tra le Unioni regionali e le Unioni
provinciali di Trento e Bolzano, alle medesime condizioni e con i medesimi
limiti previsti per gli statuti². Un¹ultima notazione: questa strada di
superamento dello Stato e del partito accentrato, due facce della stessa
medaglia, dando spazio maggiore alle autonomie, è perseguibile in maniera
positiva e feconda a condizione di non scaricare sul partito nazionale
conflitti negativi che tendano a balcanizzarlo, a rimettere in discussione
una linea programmatica che ha dato al Pd la forza di stare in campo con le
sue forze, nonostante il fallimento della coalizione dell¹Unione, che si è
trascinato sull¹esito finale del voto. Il partito delle autonomie è anche il
partito che sa mantenere la barra dritta sull¹indirizzo politico che è
partito da Torino, che è passato per il 14 ottobre e per il programma
elettorale.

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MAGDA NEGRI

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