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Ceccanti – Perché la maggioranza non sia onnipotente

By 12/10/2008Politica

11 Ottobre – Europa

In questi giorni, in vari stimolanti interventi, a partire da quello su "Europa" il giorno 8, Pierluigi Castagnetti ha sviluppato riflessioni sul Parlamento che sono condivisibili per la preoccupazione di fondo (l'esercizio di un ruolo coerente con la Costituzione), ma che non sono del tutto convincenti su alcuni aspetti. Mi limito ai due punti problematici. In primo luogo l'analisi, cioè la questione della separazione dei poteri nei sistemi con rapporto fiduciario tra maggioranza e Governo.

Come ci ha mirabilmente spiegato Leopoldo Elia nella sua voce "Governo (forme di)", pur dove si rispetti fino in fondo il dettato costituzionale, essi hanno una rilevante banda di oscillazione nel loro funzionamento reale, legata al sistema dei partiti. Più esso è semplice, in particolare bipartitico, ma anche bipolare (a "multipartitismo moderato"), più tende ad affermarsi un continuum che parte dal voto degli elettori, passa dalla maggioranza parlamentare e giunge al Governo: "La garanzia dell'esecuzione anche in sede parlamentare del programma presentato agli elettori, offerta dal collegamento fiduciario Gabinetto-maggioranza della Camera dei Comuni, differenzia…il sistema inglese da quello statunitense". E' ciò che la nostra transizione, a Costituzione invariata, ha già comportato, avvicinandoci alle grandi democrazie parlamentari, dove si parla di controllo ma in due accezioni diverse, da un lato quello della maggioranza sull'attuazione del programma, dall'altra quello alternativo delle minoranze, le quali, secondo quanto prospettato da Mortati, sono rivolte "alla prospettazione di orientamenti politici alternativi offerti alla valutazione dell'elettorato". Tant'è che lo studioso Von Beyme ha parlato di crisi irreversibile del "Parlamento come tutto", anche perché, rispetto alla funzione legislativa, come le statistiche ci dimostrano in modo inoppugnabile, ovunque il Governo ha il quasi monopolio di quella efficace.

A partire da questo contesto, nella Conferenza del luglio 2003 all'Accademia dei Lincei, Elia poneva realisticamente il problema dei contrappesi: "Siccome la nuova divisione dei poteri vede contrapposte maggioranza e opposizione, quali misure si devono adottare perché la maggioranza non sia (e non si senta) onnipotente?" Vi è una parte di verità dentro l'argomentazione di Castagnetti: il rischio che nel nostro Paese, soprattutto a causa della legge elettorale, il continuum maggioranza-Governo sia tutto sbilanciato a favore di quest'ultimo, mentre nelle grandi democrazie il collegio uninominale garantisce una migliore dialettica. Su questo la scadenza referendaria ci sarà di aiuto. Secondo punto, i rimedi costituzionali e regolamentari. Qui Castagnetti sembra proporre un'alternativa secca tra le garanzie da riconoscere a parlamentari o a gruppi di parlamentari come tali, a prescindere dalla collocazione rispetto al Governo (che sarebbero le uniche valide) e le particolari prerogative alternativistiche da riconoscere ai vari gruppi di minoranza, compresa lo status da riconoscere a quello più forte, l'Opposizione. Nel diritto comparato questa alternativa non c'è.

I Paesi che per primi hanno sperimentato il bipolarismo hanno in genere provveduto a sommare queste garanzie, sin dalla legge inglese del 1937 che ha istituzionalizzato il Governo Ombra e il leader dell'Opposizione (per quanto i partiti nazionali rilevanti fossero e siano tuttora tre), con imitazioni in Australia, Canada, Nuova Zelanda, Sudafrica e nei Laender tedeschi. De Vergottini ha ricostruito puntualmente questa evoluzione normativa. Buona ultima è arrivata anche la Francia, che mostra esattamente questa esigenza di sommare le garanzie. Nel 1974 fu inserita la possibilità di ricorso preventivo al Consiglio costituzionale da parte di 60 deputati e 60 senatori, senza distinguere se appartenenti alla maggioranza o all'opposizione, ma ben sapendo che nella maggior parte dei casi sarebbero stati questi ultimi a servirsene.

Consapevoli che il quadro dei contropoteri era ancora troppo limitato, a quella garanzia è venuta ora ad aggiungersi, con la revisione 2008, la costituzionalizzazione esplicita di "diritti specifici ai gruppi di opposizione" e "ai gruppi minoritari". Era la strada già suggerita per l'Italia dal paper di Astrid "Il bipolarismo e le regole della democrazia maggioritaria" del 2002 coordinato da Cammelli con la partecipazione di studiosi quali Bassanini, Merlini, Pajno, Pizzetti, che comprendeva anche la distinzione tra Opposizione e altre minoranze nonché l'elezione del leader dell'Opposizione, poi confermate dal lavoro dell'Isle del 2004, che ho avuto l'onore di coordinare con Barbera. Per questo, per la modifica dei Regolamenti, al di là di alcuni adattamenti minori, non mi sembra che esista un asse di proposte diverso da quello che porta a maggiori spazi, tempi, occasioni di visibilità per i gruppi di minoranza, che sono, volere o volare, il vero riequilibrio di sistema, ivi compreso il riconoscimento del Governo Ombra, che soffre oggi il suo ruolo solo politico, senza riconoscimento normativo, bilanciando la corsia preferenziale per i disegni di legge urgenti del Governo, oggetto di consenso sin dalla Bicamerale D'Alema fino al Programma del Pd, perché in grado di evitare con una sana fisiologia di sistema le fughe patologiche verso la decretazione d'urgenza o l'uso abnorme della delega legislativa. Per questo, come ha scritto Veltroni, anche la riforma dei Regolamenti in questa chiave alternativistica si iscrive in quella "democrazia che decide che sin dal Lingotto" è stata indicata come "la stella polare da seguire".

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MAGDA NEGRI

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