Il Riformista, 4.1.08 – Cari dirigenti Democrat, per favore siate più chiari – di Claudia Mancina
L'intervista di Franceschini ha riportato clamorosamente in primo piano la questione della riforma elettorale. Con una mossa non del tutto comprensibile, il vice segretario del Pd ha rimesso sul tavolo il doppio turno alla francese, che come tutti sanno è sempre stato il sistema preferito dai Ds. Per i dirigenti di quel partito, da D'Alema a Veltroni, la citazione di quel sistema era diventato un omaggio rituale, apparentemente privo di concreto significato propositivo. Nessuno, dopo la Bicamerale, ha più tentato di verificarne le possibilità: e forse a ragione, data la generale ostilità che incontrava e tuttora, come si è visto, incontra.
Va detto peraltro
che tra i maggiori nemici del sistema francese c'erano proprio i
popolari, per una antica tradizione che anche Franceschini ha
ricordato. Qual è dunque il senso di questo sorprendente ripescaggio?
I giornali più informati (e tra questi il Riformista) lo hanno
interpretato come una mossa tattica: il richiamo a un modello
elettorale e costituzionale inviso ai più servirebbe a difendere la
trincea del Vassallum, contro la tentazione "tedesca". Ribadire
quella che è la posizione di partenza del Pd, in sostanza, equivale a
dire che rispetto a tale posizione si può accettare una mediazione,
quale sarebbe il sistema elaborato da Vassallo e Ceccanti, ma non una
soluzione di ispirazione opposta, quale sarebbe il sistema tedesco.
Accettare quest'ultimo sarebbe infatti una resa incondizionata,
ingiustificabile per un partito forte come il Pd, tanto più se, come
si ritiene probabile, la Corte costituzionale darà il via libera ai
quesiti referendari, che sono ovviamente la sponda che consente la
manovra veltroniana.
Questa è una interpretazione plausibile dell'uscita di Franceschini,
e potrebbe forse spiegare, ma non giustificare, l'approssimazione dei
contenuti della sua intervista. Parlare di modello francese, infatti,
e poi citare il doppio turno di coalizione o l'elezione diretta del
premier, è veramente spericolato. Si dovrebbe evitare di maneggiare
con tanta disinvoltura i modelli elettorali, tanto più quando hanno,
come in questo caso, evidenti implicazioni costituzionali. Comunque,
se questo riferimento al modello francese è solo un simbolo, un
segnale per dire che non si accetterà di ritornare a sistemi che non
prevedano la scelta del governo insieme a quella della
rappresentanza, è un fatto positivo. Anche così, tuttavia,
s'impongono alcune riflessioni. Il risultato immediato di questa
intervista – in attesa delle inevitabili precisazioni – è che non si
capisce più quale sia la proposta della segreteria del Pd. La
confusione in campo, su una tematica già complessa e di difficile
comprensione, è senz'altro aumentata. Si può pensare che questa sia
una buona tattica? Come accade spesso, vengono ignorati o
sottovalutati i problemi di comprensione dell'opinione pubblica,
perché in fondo si pensa che questa sia manipolabile a piacere. Si
mandano messaggi tutti interni al mondo politico-parlamentare, senza
curarsi del modo in cui questi messaggi suoneranno alle orecchie del
pubblico. Che però, almeno in questo caso, dovrebbe essere trattato
con particolare riguardo, perché è lo stesso pubblico al quale si
chiederà – in caso di fallimento, sempre più probabile, del percorso
parlamentare della riforma – di risolvere la questione con il voto
affermativo al referendum.
Se si andrà al referendum, il Pd (o meglio il suo segretario, visto
che nel partito ci sono autorevoli posizioni di altra ispirazione)
dovrà essere in grado di indicare con chiarezza il proprio obiettivo.
La materia elettorale è già molto confusa. Consiglierei sommessamente
ai dirigenti del Pd di dedicare i prossimi mesi a chiarire le idee al
pubblico, rinunciando ai linguaggi cifrati.