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Continua il lavoro (di routine) in Senato e in commissione Difesa

By 08/06/2008Maggio 27th, 2024Politica

Il lavoro parlamentare si snoda normalmente fra aula e commissione. Devo interiorizzare sistematicamente il fatto  che tutte le volte che votiamo la maggioranza è tranquilla con un margine di almeno 27 senatori.. Non commettono più gli errori della scorsa settimana e stanno sempre in aula. In Commissione Difesa ci occupiamo di provvedimenti dovuti. C'è una proposta estemporanea del vecchio generale Ramponi di An di aumentare la dotazione tecnologica dei reparti italiani all'estero. Niente di male in sé, solo che non è in grado di presentare la copertura finanziaria del suo DDL. Un altro spot pubblicitario.

Il 4 Giugno si svolge una bella riunione del Gruppo di discussione e presentazione di alcuni significativi dati istst. Interessante, fra le cose  emerse, la diversa distribuzione delle aziende italiane  in base alla remunerazione del capitale dell'imprenditore., che una volta si sarebbe chiamato profitto. Laddove c'è più equilibrio  fra profitti salari e investimento in sicurezza e ricerca (nelle imprese del Centro e Nord ovest) maggiore è lo sviluppo e la coesione sociale. Marx non aveva tutti i torti.

Il 5 giugno in aula si smaltiscono decreti di Prodi che il nuovo Governo corregge solo parzialmente. Europa lancia con un editoriale di Castagnetti  una esplicita campagna identitaria del Pd. Con la chiusura pregiudiziale  all'adesione al Gruppo del pse, se anche cambiasse nome e confini. E mi chiedo se questo articolo di Castagnetti (l'intero articolo riportato in leggi tutto, qui di seguito) è una rondine solitaria che non farà primavera.

Europa, 4 giugno 2008 – Da soli, anche in Europa – PIERLUIGI CASTAGNETTI

L'appuntamento delle elezioni europee si avvicina. Un anno è domani. Il Partito democratico aveva lasciato sospeso nel dibattito costituente il nodo della collocazione europea e, da qualche giorno, nel transatlantico di Montecitorio si è ricominciato a parlarne.  Giustamente Europa ne ha dato notizia. Personalmente credo che la scelta sia obbligata: il Pd, vera novità del panorama politico nazionale ed europeo, non può che rappresentare la novità di se stesso – partito riformista postideologico – anche nel parlamento europeo.

È la logica conseguenza della scelta elettorale di andare da
soli, o liberi come dice Veltroni, cioè senza condizionamenti esterni
che possano comprometterne l'identità pluralista e postideologica.
Dovremo presentarci soli, cioè liberi, o se si preferisce autonomi,
anche in Europa. L'autonomia è una scelta difficile che, per
risultare alla fine pagante, non ammette incoerenze e compromessi
lungo il cammino. E se, all'inizio della legislatura non dovessimo
avere i numeri fissati dal regolamento parlamentare per costituire un
gruppo, staremo soli e uniti, federati con o dentro il gruppo misto,
oppure cercheremo adesioni tra le rappresentanze di altri paesi che
condividono la nostra stessa idea di Europa federale e di Partito
democratico moderno: non sarà difficile trovarle. Non c'è
alternativa. In passato ho fatto l'esperienza di parlamentare europeo
all'interno di un gruppo e di un partito storico, il Ppe, denominato
ora "gruppo Popolare e democratico" per consentire l'adesione dei
conservatori britannici, ma rimasto sostanzialmente se stesso, e ho
visto le opportunità e i limiti di una simile militanza. Ho
conosciuto da vicino anche il Pse poiché a Strasburgo vige uno
stretto consociativismo parlamentare fra i maggiori gruppi, un
consociativismo che è insieme causa ed effetto dell'attuale paralisi
dell'Europa. Un gruppo democratico autonomo, con le caratteristiche
di modernità del nostro partito, non può che giovare alla attuale
dialettica parlamentare, stantia e complice di un oggettivo
straniamento dell'Europa, oggi troppo larga e troppo leggera per
poter incidere sulla scena del mondo globalizzato. E, peraltro, non
possiamo sottovalutare le caratteristiche della prossima campagna
elettorale europea quando il Pdl e la Lega scaricheranno sull'Europa
le nostre difficoltà nazionali, da quelle economiche a quella della
sicurezza o dell'energia. E noi, che siamo un partito convintamente
europeista, non potremo difendere "questa" Europa impacciata di
Barroso e Tajani. Dovremo anzi prenderne le distanze e indicare la
strada di un europeismo virtuoso e ineludibilmente federale. Anche
per ciò dovremo essere liberi da ogni vincolo di parentela
continentale. Ma, qualche collega, mi ha indicato la ulteriore
possibile alternativa dell'adesione al Pse qualora cambiasse il nome
come ha fatto il Ppe, per chiamarsi "gruppo parlamentare dei
socialisti e dei democratici", rimanendo inevitabilmente se stesso,
cioè gruppo legato al partito del Pse e all'Internazionale
socialista. Non sono d'accordo. Anzi penso che tale ipotesi per il Pd
sarebbe un errore, un grave errore. Tanto lavorio per tornare a casa
(peraltro una casa che fu solo di una parte)? Dobbiamo essere chiari
e onesti con noi stessi innanzitutto: il problema per il Pd non è una
questione semantica, ma una questione di sostanza. Abbiamo insieme
ritenuto di lasciarci alle spalle il secolo delle ideologie e se non
saremo coerenti con tale scelta oggi nessuno capirebbe più il senso
della novità che pretendiamo di rappresentare. La questione è
veramente di fondo. Alain Touraine nel suo ultimo libro, La
globalizzazione e la fine del sociale (ed. Il Saggiatore),
dice: «L'individualismo imposto dalla globalizzazione ha sradicato i
movimenti di massa e ha reso inservibili le categorie politiche e
sociali con cui pensavamo noi stessi e gli altri: se le grandi
narrazioni collettive sono finite, la vita del soggetto acquista la
stessa drammaticità della storia del mondo. Abbiamo bisogno di un
nuovo paradigma per capire il presente e, soprattutto, per
rivendicare i nostri diritti». Sono del tutto d'accordo con queste
valutazioni e credo che tutti lo siamo, ma dobbiamo trarne le
conseguenze e andare ben oltre la prospettiva socialista, anche se –
da quelle parti – ci sono tante realtà con cui potremo lavorare per
obiettivi comuni. Tony Blair poi, pochi giorni fa, presentando a New
York la sua nuova Faith Foundation, ha affermato che «la fede
religiosa sarà per il 21esimo secolo quello che l'ideologia è stato
per il 20esimo». Non so se anche questa affermazione possa essere
ugualmente condivisa da tutti, ma so che anch'essa ci stimola ad
andare oltre le ideologie che abbiamo conosciuto e condiviso in
passato, del tutto estranee oggi a queste prospettive. Gira e rigira,
a me pare dunque che – come ho già detto – la nostra scelta non possa
che essere ambiziosa e coerente con ciò che abbiamo deciso di essere
dando vita al Pd, scelta che Walter Veltroni con le sue decisioni e
la sua campagna elettorale ha accentuato bruciando ogni vascello alle
spalle.

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MAGDA NEGRI

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