21/03/08 – Non c’è da scandalizzarsi se in campagna elettorale la personalizzazione della politica tende a tracimare nel narcisismo dei suoi protagonisti.
La loro avventura si fa ogni giorno più solitaria, ed è naturale che essi tendano a caricare la ricerca di consenso sulla propria immagine e sul proprio carisma, compito per il quale una dose di autostima è indispensabile e un po’ di narcisismo giova. Non si sfugge però all' impressione che si stia un po' esagerando e che anche presso un popolo di narcisi, quali noi italiani siamo, si possa rischiare qualche contraccolpo negativo.
È esagerato infatti che l’autocentratura dei candidati premier si realizzi in un’esasperata coltivazione di se stessi. Certo si deve piacere alla gente, ma attenzione: la cura per il proprio personaggio, l’aspetto esteriore, il modo di vestire, la personale arte retorica, le battute a effetto, il gesto volutamente impressivo, la garanzia personale sulle promesse programmatiche, la propensione a inventarsi ogni giorno qualcosa di valenza mediatica, sono tutte cose importanti, ma portano a una pericolosa collimazione fra autocentratura e pulsioni narcisiste. E la circostanza che i protagonisti siano tutti piacenti appiattisce il panorama complessivo: non si forma cioè una selezione o un’asimmetria competitiva, e resta solo la dubbiosa domanda di cosa ci sia sotto le trionfanti apparenze.
Altrettanto esagerato è il fatto che i candidati premier chiedano la scena solo per loro, quasi che i loro partiti o schieramenti non abbiano altri livelli di responsabilità, altri protagonisti, altri talenti da valorizzare, non abbiano cioè una classe dirigente. Votare i leader è cosa obbligata, nell’attuale legge elettorale; ma da sempre le elezioni si fanno per giudicare la qualità delle classi dirigenti. E invece (tranne tre o quattro eccezioni) queste sembrano elezioni di «assenti», di politici che ben che vada sono in attesa di fare i ministri, male che finisca sono in attesa di dissolvimento esistenziale.
E sorge allora la domanda se il narcisismo autocentrato non nasconda un deficit di rappresentanza, in quanto non si capisce a quali interessi, bisogni, categorie, gruppi sociali facciano riferimento i nostri protagonisti solitari. Negli annunci programmatici essi cercano di captare grandi tematiche fatalmente generiche (donne, giovani, precari, pensionati, ecc.) mentre per la composizione delle liste essi spigolano qua e là, dall'imprenditore al precario, dall'operaio al generale, tutti comunque scelti per la facciata, e certo inadatti per stabilire una significativa relazione con i mondi di provenienza. E se cade la spinta a fare rappresentanza sociale e politica non deve poi sorprendere che nelle liste abbiano trovato posto segretarie, assistenti e pretoriani, persone cioè vicine e fedeli e adoranti nei confronti del leader autocentrato.
Il narcisismo finisce così per essere l'estremo effetto estraniante della personalizzazione della politica sulle esigenze e sui processi della rappresentanza collettiva. E non molti sembrano rendersi conto di quale contributo esso dia alla pericolosa corrosione di quelle che amiamo chiamare «le istituzioni della democrazia rappresentativa».