Caro Direttore, ho letto con grande interesse lo scambio Giavazzi-Tremonti sulla globalizzazione e il ruolo dell’Italia nel mondo, e la discussione che ne è scaturita.
Dico subito che mi schiero con le idee del primo e con quella visione del mondo perchè sono profondamente convinta che la globalizzazione sia una grande opportunità di crescita economica e di sviluppo democratico, anche se non priva di rischi: Il fatto che Obama e McCain siano protezionisti, soprattutto per ragioni elettorali ma anche perché la loro economia è fondata su un grande mercato interno, non rappresenta un elemento significativo tale da mutare la mia opinione. Come non lo è neppure il fatto che entriamo in una situazione economica internazionale più difficile. Anzi, è esattamente il contrario.
el mondo di oggi, sempre più complesso e soggetto a rapidi cambiamenti, con grandi Paesi diventati nuovi protagonisti sulla scena internazionale, non si può rimanere sulla battigia, convinti di fermare l’onda edificando muraglie di sabbia. Piuttosto, si deve andare in mare aperto ed imparare a veleggiare, che il vento sia a favore o meno.
Del resto, questo è ciò che negli ultimi anni hanno fatto le nostre imprese: si sono ristrutturate, affrontando processi a volte dolorosi ma necessari, e hanno scommesso sulla globalizzazione come “opportunità”. Il risultato è stato un’affermazione senza precedenti dell’export italiano, che ha contribuito in maniera significativa alla crescita del nostro PIL soprattutto in questo biennio.
Di fronte a tale scenario, Giulio Tremonti invoca una ventata di fresco protezionismo. C’è da domandarsi: di fronte a flussi commerciali e d’investimento globali – vedi i fondi sovrani – che continueranno ad accelerare, pensa davvero che se ci chiudiamo a riccio e torniamo ai dazi doganali gli altri se ne staranno con le mani in mano? O non prenderanno invece delle misure di ritorsione contro i nostri prodotti e i nostri investitori? E soprattutto, se in questi ultimi due anni, invece di fare missioni imprenditoriali all’estero o attività di promozione, avessimo solo imposto dazi ed eretto barriere, dove sarebbe finita oggi l’Italia? Evitiamo allora di tarpare le ali a chi ha dimostrato di saper conquistare i mercati internazionali, vendendo di tutto e ovunque: elicotteri agli americani, spumante ai russi, occhiali ai coreani, formaggio ai giapponesi, e perfino palme ai paesi del Golfo! L’Italia ha eccellenza da vendere. E ogni volta che è stata messa nelle condizioni di competere al meglio, ha vinto. Per questo credo sia essenziale che il prossimo governo continui la politica di internazionalizzazione, rafforzando ancora di più il sostegno alle nostre imprese, in particolare le PMI, costruendo una politica di promozione del made in Italy che si affermi sui mercati internazionali e favorendo gli investimenti all’estero (e quelli dall’estero in Italia). Ovviamente, internazionalizzazione, globalizzazione e libero mercato non significano la legge della giungla. La globalizzazione è portatrice di sviluppo se vi sono regole internazionali chiare da rispettare. Ecco perché l’Italia ha bloccato, per esempio, una proposta di riforma degli strumenti di difesa commerciale europei che avrebbe fortemente limitato la nostra capacità di contrastare le pratiche sleali di paesi terzi. Così come siamo stati noi a chiedere ed ottenere un nuovo sistema di controllo su alcuni prodotti in arrivo dalla Cina, come pure misure antidumping temporanee su calzature e compressori essendo in presenza di comportamenti incompatibili con le regole del “fair trade”; non perche siamo protezionisti ma perché, questo già consente la politica commerciale europea nell’ambito delle regole stabilite dal WTO, come d’altronde Tremonti ricorda.
Questa è la linea che da radicali abbiamo sostenuto e praticato, non solo in questi ultimi mesi. Su ciò che farà Berlusconi, invece, non si capisce molto. Forse perché nel programma del PdL non c’è nemmeno un rigo su globalizzazione e politica estera. Che si fa allora? Ci affidiamo ai libri e alle interviste di Tremonti? Quello che emerge, non lo nascondo, mi preoccupa : l’Italia ha bisogno di tutto tranne che di una visione autarchica, autoreferenziale, ombelicale, che parla del futuro prescindendo dal mondo nel quale questo futuro dovrebbe proiettarsi. Ed è importante che di queste opposte politiche si discuta in campagna elettorale e siano informati i cittadini.