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L'Unità, 8 aprile 2007
Enrico Morando: «Stranieri o italiani, sempre di regole c'è bisogno»
Oreste Pivetta
Con Enrico Morando, presidente diessino della commissione bilancio
del Senato, torniamo alle origini di Telecom, al presunto "vizio di
origine".
Senatore Morando, davvero si sbagliò a non dettare la separazione tra
rete e gestore?
«Sulla questione specifica della separazione, mi limito a constatare
che nel mondo non ci sono società in cui sia avvenuta questa
separazione. È vero che fin dalle origini di Telecom privatizzata è
emerso un problema, quello non tanto della divisione quanto
dell'apertura della rete ad altre gestori. Ma per questo avrebbe
dovuto agire con efficacia un'Autorità, che abbiamo però costituito
tardi e che per giunta non ha fatto bene il suo lavoro… Purtroppo
attraverso quella privatizzazione non si è fatta una vera
liberalizzazione. Lì nasce il problema Telecom, che si è via via
aggravato nel corso degli anni. Quella sarebbe stata l'occasione per
dare vita anche in Italia a un'autentica public company. Invece si è
arrivati alla privatizzazione accettando la logica tradizionale
del "nocciolo duro", che era poi quel "nocciolino" dello 0,6 per
cento, con il quale controllare tutto con un patto di sindacato».
Nella logica cioè di chi detenendo poco più che niente riesce con le
giuste alleanze a governare…
«Un'occasione perduta per Telecom, ma anche per la modernizzazione
nel capitalismo italiano. Se queste sono le premesse, non ci dobbiamo
meravigliare se americani e messicani tentano di scalare Telecom,
seguendo una via che in nessun paese al mondo sarebbe loro
consentita, cioè acquisendo la quota di chi tiene le redini del patto
di sindacato. Altrove avrebbero dovuto sostenere il peso di un'opa
totalitaria…».
Insisto sulle origini di Telecom. Separando rete e gestione, non si
sarebbe dato impulso giocoforza alla liberalizzazione?
«Sì, ma dobbiamo parlare di separazione societaria. Di società, non
di proprietà. La gestione della rete, dopo la divisione societaria,
sarebbe dovuta avvenire sotto il durissimo controllo di una Autorità,
che avrebbe dovuto garantire l'accesso a gestori che non fossero
anche proprietari. Garantire l'uso a parità di condizioni… Un
esempio: c'è una rete gas, che è di proprietà dell'Eni (e sarebbe
meglio non lo fosse), che è società diversa dall'Eni e rappresenta
una infrastruttura aperta… Per Telecom, in quella mancata
separazione societaria sta una tara. S'aggiunga appunto la scelta di
una privatizzazione secondo, come si diceva, la logica del patto di
sindacato, e si capiranno le difficoltà d'oggi. Il problema non sono
gli americani o i messicani, che comprano strapagando alcuni
azionisti (non tutti), premiati oltre l'andamento delle Borse. Gli
americani e i messicani ripetono la mossa di Tronchetti Provera,
quando strapagò la quota di Colaninno, senza esporsi all'opa
totalitaria. Al contrario invece proprio di Colaninno, che l'opa
Telecom la fece e la vinse».
All'epoca della privatizzazione, il governo era di centrosinistra…
«L'operazione Telecom fu gestita in prima fila dalle forze del
centrosinistra, che commisero alcuni errori e l'autocritica mi sembra
naturale. La priorità che ci si dava era il risanamento finanziario
dello stato, risanamento che ci fece vedere come più urgente una
attività di privatizzazione, privilegiando gli interessi dello stato
proprietario prima di quello dello stato regolatore… Dunque la
privatizzazione, poi la liberalizzazione, accumulando un ritardo sul
terreno della liberalizzazione che è diventato difficile
recuperare… Anche perchè chi ha comperato un monopolio, difende con
le unghie e con i denti il suo monopolio…».
Che fare, a questo punto? Vietare l'Italia allo straniero?
«Cambiare le regole, cominciando dal rafforzamento immediato (come
prevede il disegno di legge Bersani) del settore delle Authority….
Perchè, di fronte a un nuovo passaggio di proprietà, chiunque sia il
proprietario, ci sia un'Autorità in grado di garantire l'apertura e
l'uso della rete. Apertura e uso che non dipendono dalla nazionalità
del proprietario o dal suo status, italiano o straniero, pubblico o
privato, ma da buone leggi dalla capacità dell'Autorità di farsi
rispettare».
Come giudica la controffensiva italiana?
«In fondo qualcosa di positivo… Lo sbarco degli stranieri ha
provocato la salita in borsa delle azioni Telecom e quindi
l'innalzamento del prezzo di Telecom. Chi prenderà il controllo di
Telecom sborsando più soldi di quanti avrebbe indicato il normale
corso azionario, dovrà gestire l'azienda con criteri di maggior
efficienza… È chiaro che sulla rete dovremo avere particolari
garanzie, che non si ottengono però favorendo una rivincita italiana,
ma facendo quello che avremmo dovuto fare prima. Ripeto, a costo
d'essere noioso: stiamo dentro qualcosa di anomalo, vediamo di
introdurre qualche correzione al sistema…».
Ci si deve affidare alla banche? Sembrano ormai padrone della nostra
economia.
«Sempre a proposito dell'anomalia del capitalismo italiano. Ci sono
un bel po' di banche che vivono in una curiosa situazione: alcune,
essendo coinvolte nel patto di sindacato di Telecom, sono collocate
dal lato del venditore, ma allo stesso tempo vengono sollecitate a
prendere una iniziativa e a collocarsi dal lato del compratore. Sono
obbligato a chiedermi se la banca tal dei tali privilegerà i suoi
interessi di compratore o quelli di venditore… Questo ci dice lo
stato di confusione in cui ci troviamo. Basterebbe per rimediare
scrivere regole serie e farle rispettare. Ne siamo capaci. Abbiamo a
disposizione una delle migliori leggi sull'Opa…».
Cui diede il proprio contributo il professor Guido Rossi.
«Guido Rossi… Una grandissima parte di questa mia lettura critica
sullo stato del capitalismo l'ho condotta alla luce delle analisi di
Guido Rossi… Condividendole, non mi so scandalizzare per il
trattamento che il professore ha subìto da Tronchetti… Accettare
quel mandato non mi è sembrato molto coerente con quanto Rossi
indicava da anni».