Giorgio Merlo parla a nuora perché suocera intenda, e la suocera (cioè il Pd) incomincia ad avere il mal di testa, sopraffatta da pensieri ed emozioni contrastanti. Le cose sono forse più complicate e insieme già più strutturate rispetto alle riflessioni di Giorgio Merlo, che teme il vento del plebiscitarismo e del potere personale, corrosivi di ogni partito democratico. Bisogna partire dalla domanda semplice e fondamentale: "che cosa è successo il 14 ottobre, per che cosa hanno votato tre milioni e mezzo di italiani? ". Quel giorno il quotidiano Europa titolò "Il Partito democratico fondato dagli italiani".
Ecco, per molti (non so con quanta consapevolezza davvero e per quanti) in quel giorno si celebrò un atto fondativo sostanziale, e quindi un vero congresso e, insieme fu consegnato a una vera platea congressuale il compito costituente di definire statuto e manifesto dei valori del Partito "a regime". Le procedure, limpide, esplicite, concordate, avvalorarono questa tesi. (Leggi Tutto!)
Non c'è stata nessuna investitura plebiscitaria del segretario, come alcuni ora adombrano, perché la sua elezione era stata determinata dal numero dei delegati ottenuti dalle liste collegate a ciascun candidato/a segretario, che aveva giustificato la propria candidatura con una precisa piattaforma politica. (Per Veltroni il discorso del Lingotto).
Cosa c'è in effetti di più forte, di più politico, di più "congressuale" di questo, vale a dire l'elezione di una assemblea su mandato politico, e su di questo un segretario? Niente "splitting" niente populismo, meccanismo unico….tutto si tiene. Questa, in punta di diritto, è stata senza dubbio l'offerta politica decisa del Comitato dei 45, in rappresentanza della maggioranza dei gruppi dirigenti Ds, Margherita, della società civile.
Mi sembra però azzardato, in via di fatto, sostenere – credendoci davvero – che tre milioni e mezzo di militanti e di cittadini italiani abbiano "vissuto" quel giorno, quel loro voto, come i voti "pesanti" che si esprimono nei congressi, con piattaforme politiche costruite, conosciute, discusse, per scegliere i delegati a loro volta davvero conosciuti, scelti, selezionati da una esplicita battaglia politica. L'ambiguità dell'operazione 14 Ottobre, la sua ricchezza e i suoi rischi, sta tutta qui.
A metà Congresso (perché così l'ha delineata la procedura da tutti accettata), e quindi potere costituito, a metà Costituente, perché, mentre vivono e operano, gli organismi devono lavorare al proprio rapido autosuperamento, in un interregno che il dispositivo di avocazione dei poteri frettolosamente letto dal segretario alla prima riunione dell'Assemblea costituente ha certo complicato. Adattamenti di sistema e qualche delusione personale possono certo indurre qualcuno ad occuparsi "de minimis". Personalmente auspico un partito come in Italia non c'è mai stato, che inveri l'articolo 49 della Costituzione e accetti quindi un assoluto controllo pubblico sulla sua democrazia e sul suo operato, e faccia decidere obbligatoriamente i cittadini, non solo gli iscritti, su tutte le cariche istituzionali, non solo monocratiche. Non accetterei la definizione di "tradizionale" e poco capace di contrastare la crisi della democrazia, per un modello di questo tipo, solo perché continuerebbe a riservare agli iscritti il diritto di voto sui dirigenti. Ma tant'è.
In questo contesto non mi sembra fondata la richiesta di un congresso presto o di un congresso subito, a prescindere dalla conclusione del compito fondamentale: quale partito e non quale congresso per qualsivoglia partito. Caro Giorgio, la commissione Statuto dovrà occuparsi "de maximis". Questa volta, almeno questa volta, facciamolo con piena consapevolezza.