Gli esami di riparzione servono e sostengo l'iniziativa di Fioroni. Apprendere richiede fatica..
Il Messaggero, 12 ottobre 2007
Studenti in piazza – QUELLA SCUOLA SENZA MERITO CHE NON RIESCE A PRODURRE SAPERE RICERCA
E LAVORO – di PAOLO POMBENI
PIÙ che una protesta è una liturgia. Ogni anno, più o meno alla stessa data, cioè un mesetto dopo l'inizio delle lezioni, cominciano nella scuola gli scioperi studenteschi, le occupazioni o meglio e "autogestioni" (parola più di moda), insomma per molti la scusa per non fare nulla per qualche tempo con il manto della lotta per il progresso.
Quest'anno la foglia di fico per coprire questa realtà è la lotta contro il ritorno degli esami di riparazioni alle secondarie e il numero chiuso e i test d'ingresso per l'università. Se venisse il famoso marziano a vedere quel che succede, concluderebbe a favore di una schizofrenia generalizzata.
Da un lato infatti tutti pontificano sulla società della grande competizione, sul fatto che per riuscire bisogna essere i migliori in assoluto, e scrivono e predicano alla Tv su questo povero Paese che manda i migliori cervelli all'estero (già a studiare, in verità), che non riesce ad avere i luoghi di eccellenza, che rischia di retrocedere (ma che in parte è già retrocesso) nelle classifiche mondiali.
Dall'altro tutti tollerano che i nostri giovani si balocchino a sognare una scuola in cui si impara senza fare fatica, una università in cui tutti vanno a perdere del tempo senza poter imparare molto, un mondo in cui si va avanti a forza di slogan vuoti. È vero che qualche inversione di tendenza si comincia a vedere: qualche ministro, di questo e del passato governo, qualcosa ha provato a fare per rendere il sistema meno bolso; un po' di docenti hanno cominciato ad insegnare che il rigore con sé stessi è la base del successo nell'apprendere e non ci sono scorciatoie; qualche ragazzo e qualche genitore ha cominciato a capire che un sistema di educazione serio è l'unica garanzia a tutela della vera eguaglianza sociale, che è quella delle opportunità di riuscire eguali per chiunque abbia le doti a prescindere dalla sua posizione e non quella di avere tutti un po' di tempo da buttare e poi si vedrà.
La cosa che dovrebbe colpire è la vera spaccatura che percorre questo mondo studentesco dove un numero non enorme di manipolatori spalleggiati da famiglie nostalgiche delle rivoluzioni che hanno sognato senza fare e da partiti che non hanno il coraggio di chiudere con le ubriacature del buon tempo andato tiene in scacco un grosso numero di giovani che, purtroppo, non hanno alcuna voglia di impegnarsi anche se non credono a quelle favole.
In epoca di frontiere aperte e di mobilità generale, illudersi di poter semplicemente "ereditare" il benessere passato attraverso una semplice trasmissione dei simboli che lo avevano fondato (i vari "pezzi di carta" dei diplomi e delle lauree) è semplicemente puerile. Non si è "medici" se si ha una laurea ma non si sa fare il proprio mestiere, né ingegneri, avvocati, geometri, ragionieri e quant'altro.
La competizione è a tutto raggio e non solo arrivano a casa nostra i concorrenti dall'esterno, ma è anche diventato facile spostarsi per andare ad acquistare i servizi dove sono migliori. È quanto sta già avvenendo sotto i nostri occhi in misura ancora limitata, ma che è destinato ad incrementarsi con l'abolizione inevitabile di tutti i vari privilegi corporativi che tutelano il nostro sistema di impiego: ce lo imporranno l'avanzare del processo di unificazione europea e l'allargarsi del sistema di concorrenza mondiale.
Con questo non vogliamo chiudere gli occhi di fronte alle ragioni di discredito che gravano sul nostro universo formativo quando i sistemi per garantire la qualità diventano la parodia di sé stessi. Ovvio che i quiz dove si copia, si va col telefonino, si conoscono prima le domande, sono prese in giro. Ovvio che gli esami di riparazione devono servire per reintrodurre un sistema che obbligando a studiare li riduca ad eccezioni, e non devono servire a scaricare l'incapacità di qualche insegnante e magari il sadismo di qualche altro.
Ovvio che la selezione deve rispettare la dignità delle persone (niente bullismi intellettuali) ed essere credibile nei risultati che ottiene. Ovvio che bisogna farla finita con la produzione di un sapere confuso e senza progettualità educative, nella cui confusione prosperano i libri inutili e costosi e le sperimentazioni senza capo né coda. Ma tutto questo non deve tradursi nella liquidazione del principio fondamentale che apprendere richiede fatica e disciplina e che la ragionevole selezione è la garanzia della giustizia, cioè del poter dare veramente a ciascuno il suo.