Pd, i rischi della “gestione plurale”
EUROPA 15 dicembre 2009
Non è dato davvero sapere come si attualizzerà la dialettica interna al Pd dopo il congresso, dopo la costituzione degli organismi dirigenti, dopo la manifestazione viola che ha visto alterne adesioni dei dirigenti democratici.
Non è dato sapere, cioè, se la strategia bersaniana del bipolarismo debole delle larghe coalizioni (dalla sinistra radicale all’Udc) si consoliderà come tattica del presente per le elezioni regionali o come strategia senza subordinate per le elezioni politiche, quando verranno, e se attrarrà a sé – per inerzia o per convinzione – parti delle due mozioni di minoranza. Non è, inoltre, dato sapere se la strategia alternativa del Pd a vocazione maggioritaria, perno di un bipolarismo forte fondato sulla riforma elettorale verso i collegi uninominali, diventerà collante di nuove speranze, nuove aggregazioni, nuove proposte verso quei cittadini italiani che vogliono cambiare davvero.
Una cosa, però, è ormai compiutamente verificabile: le diverse mozioni congressuali del Pd hanno scelto – nessuna esclusa – di farsi corrente, o meglio cartelli di personalità, segmenti di ceto politico, raccolta di quadri che si sono misurati nella campagna congressuale, configurati e determinati dai confini politici delle mozioni messe in campo prima dell’estate. Questa scelta molto netta, che va vieppiù rafforzandosi, è stata temperata dalla veste dialogante della “gestione plurale” che rischia, però, di congelare politiche, idee, ricerche nella dimensione del reciproco riconoscimento e della reciproca indifferenza. Quanto sta avvenendo cambia la costituzione materiale del Pd, se non quella formale, e dà sbocco classicamente “correntizio” alla contraddizione dell’era veltroniana; quando le correnti si negavano, ma la stessa coalizione che aveva eletto il segretario era, al suo interno, travagliata da esigenze politiche e profili identitari non pacificati.
Dentro questo scenario politico, la mozione che ha fatto capo a Ignazio Marino si era proposta come portatrice di una piccola eresia. Nella parziale convergenza programmatica con le altre due mozioni, condivideva con la mozione Franceschini la scelta del partito di ispirazione maggioritaria fondata sui collegi uninominali e divergeva, invece, da entrambe per la scelta di contrastare apertamente la forma correntizia del Pd, proponendo in alternativa la cosiddetta “rivoluzione dolce” della corrente dei circoli e del partito federale. Non sfuggì a molti, sin dall’inizio, che un grande partito plurale dovesse darsi forme riconosciute e nuove di valorizzazione delle proprie culture fondative e delle nuove energie che via via si aggregavano.
Ma certamente la forza degli outsider si legittimava anche come contestatrice del cartello più partitista e partitocratrico all’interno del Pd e come espressione di una rinascente democrazia dal basso, valorizzatrice del lavoro, delle capacità, dei talenti, della libertà dei singoli militanti, oltre il giogo delle correnti.
Certo, in un campo di basket è difficile giocare a football. Ma credo di non essere la sola, fra i molti che hanno votato la mozione Marino, che non intende rassegnarsi a una facile omologazione, che va molto al di là della legittima rappresentanza negli organismi, del diventare corrente che percentualizza posti e incarichi da scambiare nel campo politico dato. Sarebbe, questa, un’ingiustizia verso se stessi, un’autoriduzione di potenzialità e di ruolo.
Mi auguro, al contrario, di poter contribuire a proporre e di poter praticare modalità di azione politica più inclusive, rivolte all’esterno, focalizzate su quelle issues che hanno dato senso alla nostra mozione: laicità, diritti di cittadinanza, unificazione del mercato del lavoro, standard europei di welfare, politiche per l’Europa dopo Lisbona.
Per fare tutto questo bisogna poter essere responsabili di forum importanti del Pd, usare tutti gli strumenti della rete, fondare associazioni politico culturali o cooperare con altre già esistenti coerenti con questi stessi fini. E comunicare azione e pensiero ai circoli del Pd.
Altrimenti, la cooptazione e l’omologazione degli outsider sarà il più facile e il più sperimentato dei giochi politici.
Magda Negri