Il Riformista – Le Ragioni del Socialismo – 7 novembre 2008
Carmine Pinto ha colpito nel segno. Bisogna riconoscere e isolare in sé la questione della costituzione materiale, hic et nunc, del PD. Il farlo non è esercizio formalistico astratto dall'urgenza delle scelte politiche concrete e dai problemi di identità ancora irrisolti, ma per alcuni versi costituisce la condizione per meglio affrontarli.
Il pluralismo costitutivo del PD trovò nelle primarie del 14 Ottobre 2007 e nello Statuto votato nel Febbraio 2008 una precisa formalizzazione: gli organismi dirigenti si sarebbero dovuti costituire rispettando la proporzionalità dei voti ottenuti dalle varie liste dei delegati collegati ai candidati segretari. Tale ispirazione intendeva essere squisitamente politico-programmatica, cogliendo e anticipando l'issue fondamentale del nuovo partito: mescolare persone provenienti da diverse tradizioni politiche in intelligibili piattaforme programmatiche che legittimavano la peculiarità delle singole candidature a segretario. Buon metodo e buona ispirazione, cui già ci eravamo attenuti negli ultimi congressi dei DS, e che la proiezione popolare a dimensione delle primarie avrebbero utilmente "volgarizzato" veicolando messaggi politico-culturali a vasto spettro.
La loro applicazione avrebbero ovviamente richiesto quello che la Commissione Statuto bocciò e che era stato vanamente sostenuto da Parisi, Morando e pochi altri, cioè l'esclusività dell'apparentamento: un segretario e una sola lista di candidati per l'assemblea costituente, ad ogni livello. Veltroni ha scelto, invece, dall'inizio l'ibridazione opportunistica di questo metodo, cercando la creazione di più liste (Democratici per, Innovazione, Ambiente, Lavoro, Sinistra per) che non potevano onestamente riconoscersi allo stesso modo nella piattaforma del Lingotto e nel partito a vocazione maggioritaria lì delineato. La ricerca della vittoria plebiscitaria sugli altri due candidati ha, quindi, segnato dall'origine la segreteria di Veltroni, compromettendone il disegno politico e aprendo il varco a successive complicazioni.
Pinto coglie perfettamente un problema che abbiamo del tutto ignorato. Era senza dubbio giusto legare il segretario ad una precisa maggioranza (in questa caso sommamente imprecisa). Ma, accettata la pluralità delle liste, la scelta dei collegi uninominali a liste bloccate ha, di fatto, dipanato ad ogni livello territoriale la somma delle gerarchie partitiche preesistenti (DS e Margherita), ognuna percentualizzata nei possibili esiti in cabine di regia nazionali e regionali. Solo a cose fatte ci si è resi conto che l'assembla di 2.800 delegati raccoglieva solo marginalmente energie nuove e sorgive dei territori, ma era una disposizione euclidea dei gruppi dirigenti.
Veltroni ha poi commesso due successivi errori, credo in piena consapevolezza. Alla prima assemblea nazionale, ha nominato senza neppure procedere a un formale voto di ratifica, la prima Direzione. Alla assemblea successiva alla sconfitta elettorale, di fronte a un'evidente platea numericamente inadeguata, ha proceduto a pur limitate modifiche statutarie e a far votare, per estenuazione, una Direzione presentata a lista bloccata, difendendola in virtù della rispondenza ai criteri statutari e originali della proporzionalità. Quale proporzionalità? Quella delle sei liste dei tre candidati segretari? Forse, ma nella sostanza la proporzionalità che il segretario difende e di cui si fa ormai garante e regolatore massimo, è una proporzionalità auto-attribuita di gruppi di potere personali e di sottocomponenti per lo più afferenti all'ex Margherita e agli ex DS, ormai del tutto trasversali alle liste che si presentarono a quella specie di bel congresso a cielo aperto – come lo definì Salvati – che erano state le primarie.
Senza dirlo, quindi – e a parer mio violando lo Statuto, o comunque lo spirito originario del PD – abbiamo assistito alla ricombinazione pseudo-identitaria che occupa la vita del PD, dalla Direzione nazionale all'ultimo circolo di periferia. Il segretario conduce una quotidiana polemica contro le correnti mentre si aggira in un grande accampamento di piccole tribù. Nulla di male, se questo non costituisse un ostacolo potente all'ingresso e alla valorizzazione di nuove energie e alla emersione di limpide piattaforme politiche. Il PD è ormai un partito dove nessuno ti chiede che cosa pensi, ma con chi stai. La riflessione iniziata da Parisi ed altri, può arricchire tutti se non diventa un'altra corrente nostalgica, di fatto, dell'Unione.
Personalmente mi auguro che la nascita dei circoli, il regolamento per la prossima conferenza programmatica e quanto previsto dallo Statuto per l'elezione del segretario al prossimo congresso, con il doppio canale di iscritti e cittadini delle primarie, riscomponga questo quadro così nervoso, ma di fatto così inerte. Nel frattempo, lo stare solo con se stessi in un leale confronto con tutti, può essere un efficace esercizio di onestà intellettuale.