Il nuovo asse – di Piero Ostellino – Corriere della Sera del 20 novembre 2007
Due soli uomini al comando. Walter Veltroni e Silvio Berlusconi.
Già Veltroni, enunciando la «vocazione maggioritaria» del Partito democratico, aveva di fatto escluso l'intenzione di presentarsi alle prossime elezioni unito con le sinistre radicali in una «coalizione di guerra» (l'Unione), buona per sconfiggere il «nemico» ma, come attesta il governo Prodi, poco funzionale per governare. Ora è la volta di Berlusconi a liquidare la «coalizione di guerra» di centrodestra (la Casa delle libertà) che scarsi risultati aveva dato nei cinque anni di governo dopo il successo del 2001… (leggi tutto!)
Licenzia i suoi alleati e scioglie il suo stesso partito (Forza Italia) per fondarne un altro (il Partito della Libertà o Popolo della Libertà) col quale presentarsi «con chi ci sta» o, se necessario, da solo, a governare il Paese. Se la strada delle loro buone intenzioni sarà lastricata con un sistema elettorale adeguato, che cancelli l'attuale bipolarismo imperfetto («Il bipolarismo, con queste forze politiche, non è più possibile», ha detto Berlusconi), forse si profila una salutare semplificazione del sistema politico. Chiunque vinca si sceglierà gli alleati di governo non prima — col rischio di consegnarsi nelle mani dei piccoli partiti — bensì dopo le elezioni sulla base della loro adesione al proprio programma. Il Ppl e il Pd sono ora le due facce della stessa medaglia. Molto dipenderà dal sistema elettorale che ne verrà fuori.
E qui sta l'altra novità. Come già era accaduto in occasione del varo della Bicamerale promossa dallo stesso Berlusconi e presieduta da Massimo D'Alema, è ancora una volta Berlusconi che assume in proprio il comando nei negoziati con il centrosinistra, marginalizzando Alleanza nazionale, l'Udc e la stessa Lega. Per Berlusconi, dopo la sconfitta elettorale, era questione di vita o di morte. Per una sorta di legge del contrappasso, Fini, Casini, Bossi, che — dopo la fallita «spallata » al governo Prodi — lo avevano messo sotto processo e si erano resi disponibili a trattative con Veltroni sulle riforme, ora ne sono esclusi dallo stesso Berlusconi. In tale contesto, era del resto naturale che nascesse un asse preferenziale fra i due partiti maggiori, i cui interessi sono incompatibili con quelli dei partiti minori delle due coalizioni. D'altra parte, la rottura con la logica delle «coalizioni di guerra» mette sia Berlusconi sia Veltroni di fronte alle loro responsabilità. Nessuno dei due potrà d'ora in poi accusare i propri alleati di avere loro impedito di essere ciò che asseriscono di voler essere. Per Berlusconi si tratta di far emergere — ammesso che l'abbia — la tanto sbandierata vocazione liberale e di farne la propria piattaforma elettorale e di governo. Per Veltroni, specularmente, si tratta — ammesso che lo voglia — di dare alla sinistra di governo un volto e un programma riformisti al passo con i tempi. L'augurio è che ci riescano. Dopo di che vinca il migliore.