L'Italia è migliore della destra che la governa
Discorso Integrale
di Walter Veltroni
Circo Massimo
25 ottobre 2008
Quella di oggi, diciamocelo con orgoglio, è la prima grande manifestazione di massa del riformismo italiano, finalmente unito. E lo è perché il Partito Democratico è il più grande partito riformista che la storia d'Italia abbia mai conosciuto.
Un italiano su tre si riconosce, crede nel disegno di un riformismo moderno. E' un fatto inedito nella lunga vicenda nazionale. E oggi, in questo luogo splendido e immenso, siamo qui, in tanti, perché
vogliamo bene all'Italia, perché amiamo il nostro Paese.
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Con lo stesso amore, il 14 ottobre di un anno fa, il Partito
Democratico nasceva da un grande evento di popolo.
L'Italia è un Paese migliore della destra che lo governa in questo
momento. Migliore della destra che nel tempo recente lo ha già
governato, anche se qualcuno troppo spesso finge di dimenticarlo, per
sette lunghi e improduttivi anni.
L'Italia è un grande Paese democratico, è un Paese che ama la
democrazia.
Perché l'Italia non dimentica, non potrà mai dimenticare quanti hanno
sofferto, quanti hanno dato la vita per la sua libertà.
Lunedì scorso ci ha lasciati un grande amico, un padre della
Repubblica, un maestro di vita per tutti noi. Aveva venticinque anni,
Vittorio Foa, quando fu condannato e messo in galera: perché era
antifascista, perché pensava diversamente da chi era al potere.
E per chi crede che fino ad un certo punto ci sia stato un fascismo
in fondo non troppo cattivo, va ricordato che era il 1935. Non era
ancora arrivata la vergogna delle leggi razziali. Ma il regime aveva
già fatto in tempo a sopprimere la libertà di stampa e quella di
associazione, a chiudere partiti e sindacati, a calpestare il
Parlamento e a incarcerare, mandare in esilio o uccidere chi non si
piegava alla dittatura: Don Minzoni, Giacomo Matteotti, Piero
Gobetti. E due anni dopo la stessa sorte sarebbe stara di Carlo e
Nello Rosselli e di Antonio Gramsci.
L'Italia, signor Presidente del Consiglio, è un Paese antifascista.
A chi le chiedeva se anche lei potesse definirsi
così, "antifascista", lei ha risposto con fastidio che non ha tempo
da perdere, che ha cose più importanti di cui occuparsi, rispetto
all'antifascismo e alla Resistenza.
Il presidente Sarkozy non avrebbe risposto così, non avrebbe detto
questo della Resistenza animata dal generale De Gaulle, non avrebbe
messo in dubbio che ogni francese è figlio orgoglioso della Parigi
liberata dai nazisti.
E né Barack Obama, né John McCain risponderebbero con un'alzata di
spalle ad una domanda sulla decisione del presidente Roosevelt di
mandare a combattere e a morire migliaia di ragazzi americani. Quei
ragazzi americani che sono morti per noi, per restituirci la libertà
e la democrazia.
Nessuno avrebbe risposto come il nostro Presidente del Consiglio,
perché non c'è nulla di più importante, per un grande Paese, della
sua memoria storica. Un Paese senza memoria è un Paese senza
identità. E chi non ha identità non ha futuro. E l'Italia ha bisogno
di futuro.
Coltivare la memoria dell'antifascismo non è solo un atto di
riconoscenza. Come ci ha ricordato un altro grande italiano, un uomo
mite e rigoroso come Leopoldo Elia, se la democrazia viene coltivata
e vissuta ogni giorno, si espande e cresce. Se viene mortificata e
offesa, deperisce e può anche morire.
In tutti i Paesi del mondo ci sono i governi. Ma solo in quelli
democratici c'è l'opposizione.
Coltivare la democrazia, farla vivere e crescere ogni giorno,
significa rispettare l'opposizione, riconoscere la sua funzione
democratica: nelle aule del Parlamento, come nelle piazze del Paese.
Se noi non svolgessimo fino in fondo il nostro ruolo all'opposizione,
se non facessimo coesistere la durezza della denuncia e il coraggio
della proposta, se non lo facessimo, tradiremmo il nostro mandato. E
per colpa nostra, una colpa che sarebbe imperdonabile, la democrazia
italiana diventerebbe più debole.
E' indice di una mentalità sottilmente e pericolosamente illiberale,
pensare che in una democrazia non bisogna disturbare il manovratore e
che tutto ciò che limita, regola, condiziona il suo potere è solo un
fattore di disturbo.
E' un disturbo il Parlamento, perché vorrebbe e dovrebbe discutere le
proposte di legge o i decreti del governo, prima di approvarli.
E' un disturbo la magistratura, perché esercita un controllo di
legalità che non può e non deve risparmiare chi governa la cosa
pubblica in nome e per conto della collettività.
E' un disturbo la Corte costituzionale, perché deve verificare la
costituzionalità dei provvedimenti voluti dal governo e approvati
dalla maggioranza in parlamento.
E' un disturbo l'opposizione. Perché spezza l'incantesimo del
plebiscitario consenso al governo. Perché dimostra che c'è un altro
modo di pensare, che potrebbe domani diventare maggioritario. Perché
vuole, come noi vogliamo, una grande innovazione istituzionale, il
dimezzamento del numero dei parlamentari, una sola Camera con
funzioni legislative, una legge elettorale che restituisca lo scettro
ai cittadini. A cominciare dalla battaglia parlamentare che faremo
nei prossimi giorni per mantenere il voto di preferenza alle prossime
europee.
Una democrazia che decide, decide velocemente, decide dentro i
principi della Costituzione, non con pericolose concentrazioni del
potere. Una democrazia più moderna, alla quale abbiamo contribuito
con le coraggiose decisioni dei mesi scorsi.
Noi oggi interpretiamo la nostra funzione in un modo che è
perfettamente coerente con quanto dicemmo già al Lingotto, affermando
che il PD, svincolato finalmente dai vecchi ideologismi, sarebbe
stato "libero dall'obbligo di essere, di volta in volta, moderato o
estremista per legittimare o cancellare la propria storia".
Questo siamo: un partito libero, che non teme né di apparire moderato
agli occhi di alcuni, né di sembrare estremista agli occhi di altri.
Perché null'altro è che un grande partito riformista.
Un grande partito riformista, che fa dell'opposizione, un'opposizione
di popolo, il modo per incidere oggi sulla realtà del Paese e per
essere domani, strette le alleanze che le idee e i programmi
vorranno, nuova maggioranza e nuovo governo per l'Italia.
Il PD avrà sempre, anche all'opposizione, una sola stella polare: gli
interessi generali del Paese. Quel Paese che amiamo e il cui destino
è la nostra ragione d'essere. Quel Paese che vogliamo unire,
rifiutando l'odio e la contrapposizione ideologica.
Questa manifestazione è un grande momento di democrazia, sereno e
pacifico.
E guai, davvero guai, a chi pensa di ridurre solo minimamente la
libertà di avanzare critiche, la libertà di dissentire, la libertà di
protestare civilmente contro decisioni e scelte che non condivide.
La democrazia non è un consiglio d'amministrazione. La minaccia
irresponsabile e pericolosa di intervenire "attraverso le forze
dell'ordine" dentro quei templi del sapere, della conoscenza e del
dialogo che sono le Università, è stata qualcosa di abnorme e di mai
visto prima. Puntuale, ancora una volta, è poi arrivata la smentita
del Presidente del Consiglio. "Sono i giornali che come al solito
travisano la realtà", ha detto da Pechino.
Ora: cambiando il fuso orario si può anche cambiare idea, e in questo
caso è un bene che ciò sia avvenuto. C'è però qualcosa su cui vale la
pena riflettere. Perché un'alta carica istituzionale si può
permettere sistematicamente di negare ciò che è evidente, ciò che per
giorni le televisioni hanno ritrasmesso sbugiardando l'ennesima
smentita? Perché il Presidente del Consiglio si sente autorizzato,
nel pieno della tempesta finanziaria che stiamo vivendo, ad invitare
i cittadini a comprare le azioni di questa o quella azienda? Perché
può arrivare ad annunciare una decisione non presa come quella della
chiusura dei mercati, facendosi smentire persino dalla Casa Bianca?
Se l'avessero fatto Gordon Brown o Angela Merkel sarebbe successa una
catastrofe. Siccome nel mondo sanno chi è, non è successo niente.
Ma perché coltiva questa impunità delle parole? Questa strategia
dell'inganno permanente nei confronti dei cittadini? La presunzione
che si possa promettere di tagliare le tasse che poi non si tagliano,
di fare delle mirabolanti opere infrastrutturali che poi non vengono
nemmeno progettate?
E' l'idea del potere che non è tenuto a rispondere dei suoi
comportamenti. E' un'idea del potere inaccettabile. E' la confusione
tra governare e prendere il potere.
Contro questi rischi l'opinione pubblica, la cultura, la coscienza
critica del Paese, l'antico amore degli italiani per una democrazia
viva e piena, devono farsi sentire.
Voglio essere chiaro: noi non pensiamo che questo governo sia la
causa di tutti i mali. Non saremo noi, a differenza di chi ci ha
preceduto nel ruolo di opposizione, a gridare al regime.
Il problema è che il governo Berlusconi è totalmente inadeguato a
fronteggiare la gravissima crisi che stiamo vivendo. E lo è per una
ragione semplice: perché non ha nel cuore l'Italia che produce e che
lavora, l'Italia che soffre. E' un governo che si occupa di
rassicurare i potenti di questo Paese, piuttosto che di combattere la
drammatica situazione di imprese e lavoratori.
L'Italia può essere altro. L'Italia "è" altro.
E' però vero che la fotografia dell'Italia attuale sta sbiadendo, ha
quasi del tutto perso i colori, e la ricchezza delle sfumature, della
modernità. I volti degli italiani appaiono sgranati e in bianco e
nero. Come le vecchie immagini di una volta, perché l'immobilismo che
già ieri ci condannava ad una crescita stentata rischia oggi, dentro
una crisi economica di questa gravità, di farci tornare
drammaticamente indietro.
Tornano indietro gli artigiani, gli operai. C'è stato un tempo in cui
la fatica, i sacrifici e il talento, la specializzazione, davano
dignità al lavoro e permettevano anche di metter su un laboratorio in
proprio, e poi magari una piccola fabbrica. L'ascensore sociale
funzionava, le condizioni di vita miglioravano. E comunque c'era la
speranza che questo potesse accadere.
Oggi come vive un operaio che fatica tutto il giorno, e che troppo
spesso in questo Paese sul lavoro rischia la vita, per 1.200 euro al
mese? Che speranza può avere di poter star meglio, se deve invece
preoccuparsi di essere messo in cassa integrazione, di arrivare in
fabbrica una mattina e di leggere nella bacheca di servizio che fra
sei mesi si chiude perché la produzione si ferma?
Tornano indietro le aziende, rischiano di tornare indietro i piccoli
e medi imprenditori. Quelli che sanno mettere a punto nuove tecniche
e creare nuovi prodotti, e che così hanno fatto crescere il Paese.
E' gente onesta, che esce di casa che è ancora buio e torna a casa
che è già notte, e fatica a dormire per la paura di non farcela e di
dover chiudere: perché l'affitto aumenta a rotta di collo, le
bollette paiono impazzite, la burocrazia è soffocante, la pressione
fiscale opprimente. Sognavano di crescere per poter competere meglio,
ma devono fare i conti con una realtà opposta: difficoltà ad avere
finanziamenti dalle banche, che anzi chiedono di rientrare
rapidamente dal debito, ed esportazioni che calano perché i clienti
americani, tedeschi e inglesi sono impegnati a ridurre al massimo i
consumi.
Qualche giorno fa, ad una azienda metalmeccanica del bresciano che ha
cinquanta dipendenti ed è attiva da mezzo secolo, è stato chiesto di
rientrare subito del fido e intanto hanno bloccato le carte di
credito. "E' una cosa umiliante", ha detto il titolare. Ecco uno
degli effetti di questa crisi: non conta la storia e la serietà di
un'impresa, si guardano solo i numeri e i conti. Quelli della banca,
non quelli dell'azienda.
E tornano indietro, non possono proprio a guardare avanti, i giovani,
i nostri ragazzi. Su un muro di Milano qualcuno ha scritto: non c'è
più il futuro di una volta. E' la cosa più grave. Ieri a vent'anni e
a trenta si raccoglievano i frutti dello studio o già si lavorava, e
comunque si pensava al domani convinti che sarebbe stato migliore
rispetto alla vita vissuta dai dei propri genitori.
Oggi i giovani italiani sono prigionieri della gabbia del precariato.
Sono storie umilianti, e sono tantissime. La risposta ad un annuncio
su Internet e l'invio di un curriculum, le cuffie in testa e il
microfono per rispondere alle telefonate, i 1.200 euro lordi promessi
dai selezionatori che diventano 800 e cioè 640 netti considerando i
giorni effettivi di lavoro.
Quattro euro l'ora. Una vita precaria e i sogni mortificati per
quattro euro l'ora. Ma si accetta, perché con il contratto a scadenza
si è sotto ricatto. E si accetta.
E quella foto dell'Italia è in bianco e nero, purtroppo, anche a
simboleggiare gli opposti, anche a dire dell'estrema ricchezza e
dell'estrema povertà che dividono in due un paese ingiusto.
Non siamo solo noi, non è la cattiva propaganda dell'opposizione ad
affermarlo, lo ha detto la Banca d'Italia, lo dice l'Ocse: la nostra
è una delle società più diseguali dell'Occidente, siamo uno dei paesi
nei quali la forbice tra chi ha tanto e chi ha poco o niente si è
fatta più larga.
L'Italia ha urgente bisogno di crescere e per questo ci vuole, lo
diciamo da mesi, un grande patto tra i produttori.
Siamo nel pieno della terribile, drammatica crisi finanziaria
internazionale, che sta producendo una grave recessione mondiale e
che si è abbattuta anche sul nostro Paese. Una crisi che
richiederebbe, da parte di chi governa, senso di responsabilità e
moderazione. Parole sconosciute a Berlusconi.
La crisi non va certo spiegata agli operai, alle imprese, ai ragazzi
che cercano o perdono un lavoro. Lo sanno bene, lo sapete bene, lo
vivete ogni giorno sulla vostra pelle. Lo sanno i pensionati, che
prendono ogni mese la stessa pensione e intanto pagano di più per il
pane, per la pasta, per le bollette della luce e del gas. Lo sanno le
famiglie italiane, che faticano ad arrivare alla fine del mese. Lo
sanno i sette milioni e mezzo di persone che vivono poco al di sopra
della soglia di povertà, 500-600 euro al mese, vicinissimi a quegli
altri sette milioni e mezzo che già stanno sotto. Fanno 15 milioni in
totale. Non esagera, la Caritas Italiana, quando lancia l'allarme
povertà.
C'è la crisi. Ed è vero che ci arriva dagli Stati Uniti. Ma nessuno
può farne un alibi o una scusa. Soprattutto non può farlo, non può
chiamarsi fuori, una destra che per anni ha diffuso a piene mani tre
tossine, culturali e politiche.
La prima è un'idea monca della libertà, quella che considera ogni
regola come un inciampo, che è figlia dell'ideologia del liberismo
selvaggio e dell'individualismo sfrenato. E la disinvoltura con cui
si fa una bella capriola e si diventa all'improvviso statalisti nasce
dal fatto che l'unico vero sistema che piace alla destra è quello nel
quale sia il mercato che lo Stato sono al servizio degli interessi
dei più forti.
La seconda tossina è la freddezza, lo scetticismo, l'ostilità perfino
nei riguardi dell'Europa. Ed è ovvio: l'Europa è coesione sociale e
crescita economica insieme, è un orizzonte che chiama a muoversi in
un sistema di regole e responsabilità comuni.
La terza tossina è il primato della finanza e di quella più creativa,
più disinvolta e più cinica possibile, nei riguardi del lavoro e
della produzione di beni e servizi. Vi farò tutti ricchi, perché il
denaro da solo moltiplicherà il denaro, tutti avrete il vostro albero
delle monete d'oro nel campo dei miracoli. L'impegno, la fatica, lo
studio, la pazienza e la tenacia non servono più, sono avanzi del
passato: tutto è facile, tutto è possibile, perché tutto è lecito.
La crisi, ha detto un grande economista come Paul Samuelson, "è
figlia di un insieme diabolico di avidità, indebitamento,
speculazione, laissez-faire, e soprattutto un'infinita incoscienza".
C'è il ritratto della destra, dietro queste parole. Anche della
destra italiana di questi ultimi quindici anni.
L'intervento dello Stato è "un imperativo categorico", ha detto
Berlusconi fulminato sulla via di Damasco. Ma sicuramente un giorno
arriverà una smentita anche di questa frase. Come quando, poche ore
dopo averla fatta, ha corretto quell'affermazione destinata comunque
a rimanere negli annali per la sua totale irrealtà: "la crisi non
avrà effetti sull'economia reale".
E' invece proprio l'economia reale l'emergenza vera di queste ore.
Cosa ha fatto il Presidente del Consiglio per difendere le piccole e
medie imprese o il potere d'acquisto dei salari e degli stipendi
degli italiani? Nulla, assolutamente nulla.
Cosa ha fatto, cosa sta facendo il governo per le famiglie? Ha
tagliato del 32 per cento il Fondo a loro destinato, e lo ha fatto
per coprire una parte dell'abolizione dell'Ici sulle abitazioni dei
più ricchi. Così, come ha denunciato l'Associazione famiglie
numerose, c'è un "signor Rossi" milionario, che ha 500 mila euro di
reddito annuo, diverse case di proprietà e non ha figli, che non paga
più l'Ici perché un "signor Rossi" che fa l'operaio, che ha 25 mila
euro di reddito annuo e vive in una casa in affitto con moglie e
quattro figli a carico, non riceve più i 330 euro che prima gli
arrivavano dal Fondo per le famiglie.
Insomma, dinanzi a una crisi che sta impoverendo ancora di più le
famiglie italiane, il governo cosa fa? Spende le poche, preziose
risorse per i più ricchi. E questi costosi regali li pagano tutti i
contribuenti, perché hanno meno servizi, perché pagano più tasse e
perché ricevono meno sostegni. Li pagano i Comuni, cuore del nostro
Paese, costretti per questo a scelte socialmente dolorose. Li pagano
gli italiani all'estero, anche loro cuore del Paese, anche loro
colpiti anche dalle scelte di questo governo.
Voglio dirlo chiaramente: il governo ha sbagliato tutte le previsioni
economiche, il governo ha fatto una Finanziaria che immaginava una
fase di crescita, il governo ha esplicitamente e drammaticamente
sottovalutato le conseguenze durissime che la crisi sta avendo sulle
famiglie e sulle imprese.
Si sono riuniti anche di notte per garantire sostegno alle banche,
quelle banche che devono restare indipendenti dalla politica. Ora si
riuniscano anche di notte per fare invece un grande piano per i
cittadini, per combattere la recessione e l'impoverimento della
società italiana.
Dalla crisi del '29 si uscì con il New Deal. Ora nel nostro Paese è
tempo di un Piano organico per la crescita e la lotta alla povertà e
alla precarietà.
L'Italia è un Paese migliore della destra che lo governa.
Le misure per stabilizzare la crisi finanziaria, prese a livello
europeo, sono giuste e necessarie. Ma non sono sufficienti. Ne
servono altre, indispensabili: il sostegno con un fondo di garanzia
alle micro e piccole imprese, un piano di investimenti in
infrastrutture e soprattutto un intervento per aumentare i redditi da
lavoro, i salari, gli stipendi, le pensioni degli italiani.
Abbiamo presentato proposte per sostenere l'economia reale. Se queste
priorità saranno riconosciute noi faremo, come sempre, la nostra
parte. La faremo, come ho detto, per l'Italia, non certo per
Berlusconi.
Noi da questa piazza non insultiamo nessuno e non gridiamo al regime.
La nostra sfida è chiara, ed è la stessa che lanciammo al Lingotto.
Non conservare quello che c'è. Non assegnare al riformismo il compito
di difendere anche importanti conquiste del passato.
No, è il tempo della costruzione dell'Italia del nuovo secolo. E' il
tempo del coraggio riformista, non della pigrizia conservatrice.
Le nostre proposte sono sul tavolo. Noi chiediamo di ridurre, a
partire dalla prossima tredicesima, il peso delle tasse sui
lavoratori dipendenti e sui pensionati. Proponiamo di destinare a
questa misura sei miliardi di euro, in un insieme di interventi che
valgono lo 0,5 per cento del Pil.
E' un intervento rilevante ma sostenibile per le nostre finanze
pubbliche, risanate dall'azione di un uomo che quando governava
pensava al Paese, e non a se stesso: Romano Prodi. E' un intervento
sostenibile, nel momento in cui si è introdotta una maggiore
flessibilità dei parametri europei all'interno dei vincoli del Patto.
La spesa pubblica, in Italia, deve essere ridotta. Senza esitazioni.
La nostra linea, però, è "spendere meno e spendere meglio".
Non "spendere meno" e basta, senza preoccuparsi di cosa ne sarà delle
scuole, degli ospedali, della sicurezza dei cittadini.
Abbiamo sempre detto "pagare meno, pagare tutti". E invece ora di
pagare meno non c'è traccia e la lotta all'evasione fiscale è
scomparsa dall'orizzonte. Il governo sta riproponendo la vecchia
ricetta: aliquote alte, pochi controlli, evada chi può. Complimenti:
è la strada maestra per andare tutti a fondo.
E vorrei porre qui la domanda che si stanno facendo gli imprenditori
e tutti gli italiani: dov'è finita la promessa di ridurre le tasse?
Di portare la pressione fiscale sotto il 40 per cento?
La verità è che le tasse le stanno aumentando Voglio ripeterlo: le
tasse stanno aumentando.
E questo proprio in una fase di recessione, quando si dovrebbe
consentire a chi ha redditi medi e bassi di poter aumentare i propri
consumi.
E poi: abbiamo sempre detto che la pubblica amministrazione deve
essere riformata. Dunque va bene la lotta ai veri fannulloni. Chi
lavora nel settore pubblico, a cominciare dai dirigenti, deve
metterci il doppio e non la metà dell'impegno di chi lavora nel
settore privato.
Ma la pubblica amministrazione è piena anche di persone
straordinarie, che mettono al servizio della collettività sapere e
competenza, in cambio di un reddito col quale faticano a vivere
dignitosamente. Penso agli infermieri e ai medici ospedalieri. Penso
agli agenti delle forze di polizia, che rischiano la vita e devono
chiedere l'anticipo sulla liquidazione per tirare avanti.
Penso alla scuola, alla ricerca, all'Università. Il governo ha fatto
due errori. Il primo: le ha ridotte a voci da tagliare, dimenticando
che sono un settore strategico per il futuro del Paese. Un settore da
riformare, anche in profondità, ma per investirci maggiori e non
minori risorse.
Stupisce lo stupore per la protesta che sta dilagando in tutta
Italia. E' una protesta giusta, perché consapevole, responsabile e
assolutamente non violenta. Come sempre dovrà essere, respingendo il
tentativo di radicalizzare lo scontro portato avanti dal governo. E'
un movimento senza bandiere né di partito, né di sindacato. Una
grande prova di autonomia della società civile. Le maestre insieme
alle mamme, gli studenti insieme ai rettori. Questo movimento ama la
scuola e la vuole cambiare, tanto che nelle piazze ci va anche per
fare lezioni all'aperto di fisica o di filosofia.
Il governo invece sta togliendo l'aria all'Università italiana, sta
impedendo l'ingresso di nuove leve di ricercatori e docenti
all'interno degli atenei, sta togliendo ogni prospettiva di poter
continuare a lavorare nel nostro Paese a giovani scienziati che hanno
fin qui fatto partecipare l'Italia a progetti come quelli del Cern di
Ginevra o hanno garantito il monitoraggio di vulcani e terremoti in
un Paese come il nostro. Giovani scienziati che si sono visti
bloccare l'assunzione dal governo Berlusconi del 2002 e che si vedono
arrivare il licenziamento dal governo Berlusconi del 2008.
"Prenda nota, signor ministro Giulio Tremonti – non sono io a dirlo,
ma è uno storico come Franco Cardini dalle colonne del "Secolo
d'Italia" – ritirare l'appoggio alle Università è un modo di rubare
ai poveri per dare ai ricchi. Un modo come infiniti altri. Ma è
l'esatto contrario di quel che avrebbe voluto il `suo' Robin Hood".
Il secondo errore è forse ancora più grave. Avete camuffato i tagli
sotto le mentite spoglie di una "riformetta" che ha mortificato la
dignità culturale e professionale dei docenti, la partecipazione dei
genitori e degli studenti, la natura di comunità educante della
scuola.
Voglio essere chiaro: ogni posizione conservatrice sulla scuola e
l'Università è sbagliata. Abbiamo bisogno della scuola dell'autonomia
e del merito. Di una scuola che abbia fiducia nella capacità di
scelta dei ragazzi. Di una scuola guidata da un progetto educativo
moderno e capace di promuovere opportunità sociali e merito, in un
contesto di permanente, indipendente, valutazione di qualità.
I conservatori sono quelli che si preoccupano di sistemare piccoli
particolari, come il grembiule e il ripristino dei voti. C'è bisogno
invece di una radicale riforma.
E voglio dire che se c'è una materia sulla quale il Paese dovrebbe
proiettare se stesso oltre le divisioni, è proprio una scelta di
fondo della scuola e dell'Università. Non si può ad ogni cambio di
ministro stravolgere la vita di milioni di famiglie, di ragazzi,
maestri e professori.
E' la sfida dell'innovazione della scuola, quella che ci interessa.
La scuola elementare italiana, una delle migliori del mondo, è il
frutto di decenni di elaborazione pedagogica, teorica e sul campo.
Che cultura, che pensiero, che innovazione c'è dietro il ritorno al
maestro unico o all'abolizione per via di fatto del tempo pieno?
E davvero qualcuno pensa che il fenomeno del bullismo si possa
risolvere con il voto in condotta? No. Non è così semplice, non è
così banale. Dietro questi atteggiamenti c'è molto di più. Dietro il
fatto che un bambino su cinque comincia a bere tra gli 11 e i 15 anni
c'è davvero un vuoto più grande. C'è il degrado e sociale e il
disagio familiare. C'è l'annoiarsi di fronte alla vita di chi forse è
spinto a conoscere il prezzo ma certo non il valore delle cose.
Quel vuoto a noi spaventa. Per voi è indifferente. Perché vi è
congeniale. L'avete alimentato con la vostra cultura
dell'individualismo e dell'egoismo. Con il vostro fastidio per ogni
regola morale. Con la vostra idea che contano non lo studio e il
lavoro, ma solo il successo facile. Quello che si raggiunge anche
senza saper far niente, basta apparire in televisione. Quello che si
può ottenere in ogni modo, anche prendendo le scorciatoie e passando
sopra gli altri.
Uno scrittore, che di mestiere fa anche il professore, ha raccontato
così i pensieri di una sua studentessa, di una ragazza come tante
della sua generazione: "Professore, ha presente il fascio di luce che
d'improvviso avvolge l'ospite d'onore e lo separa dal buio? Quella
chiazza bianca o gialla sul palcoscenico? Mi sono accorta – dice
questa ragazza – che è piccola, un cerchio minimo. Tutti non ci
possiamo entrare, e neanche parecchi. Lì c'è posto per pochissimi.
Per gli altri c'è il buio, il niente, al massimo un posto in platea
per applaudire chi ce l'ha fatta e crepare d'invidia. A me non piace
stare da una parte ad applaudire agli altri. Oggi a nessuno piace. Ma
non mi va nemmeno di uscire dal teatro e mettermi a battere chiodi o
sudare per due lire come mio padre e mia madre. Io quella luce la
voglio. Io li capisco quelli che bruciano le macchine a Parigi. Loro
la luce se la fanno da soli, e il mondo li guarda, arrivano le
telecamere e il buio non c'è più, non c'è più questo schifo di vita".
Questa cultura l'ha creata la destra. L'avete costruita voi. Non vi
interessa la scuola perché la vostra scuola è la televisione. E la
vostra diseducazione civile degli italiani rimbalza fin dentro le
scuole.
Fa rabbrividire la mozione della Lega sulle classi differenziate per
i bambini stranieri. "Famiglia cristiana" l'ha definita "la prima
mozione razziale approvata dal Parlamento italiano".
Che nella scuola dell'obbligo ci siano classi separate o test
d'ammissione per distinguere un bambino dall'altro è un danno per
tutti. E' un danno per i bambini italiani, che considereranno quei
loro amici diversi da loro, introiettando un concetto foriero di
catastrofi. E' un danno drammatico per i bambini immigrati, che si
sentiranno messi ai margini e respinti, e coltiveranno un senso di
separatezza che potrà essere molto rischioso in primo luogo per la
sicurezza della nostra società.
Quella mozione offende i bambini, umilia la scuola e il Parlamento.
La questione dell'insegnamento dell'italiano ai bambini stranieri è
una questione reale, che da anni la scuola elementare affronta con
successo e che dovrà ancora di più saper affrontare, attraverso lo
sviluppo dei corsi integrativi e non con la segregazione etnica.
Si chiama interculturalità. Ed è un altro esempio di come l'Italia
sia migliore, molto migliore della destra che la governa.
E' con l'Italia, allora, che dovete discutere e ragionare. Con la
scuola e l'università, innanzitutto. E poi in Parlamento: aprendo
quello spazio di confronto auspicato con la consueta saggezza dal
Presidente Napolitano, cercando soluzioni condivise e perciò stesso
durature, perché sottratte al conflitto politico immediato.
Noi vi facciamo una proposta: il Governo ritiri o sospenda il decreto
attualmente in discussione in Parlamento, modifichi con la Legge
Finanziaria le scelte di bilancio fatte col decreto e avvii subito un
confronto con tutti i soggetti interessati, giovani studenti,
famiglie, docenti. Fissando un tempo al termine del quale è legittimo
che le decisioni siano prese.
E' il tempo di dirsi chiaramente una cosa, anche autocriticamente:
nella scuola e nell'Università italiana forse si spende male, ma
certo si spende poco. E' il cuore del futuro del Paese, e per questo
voglio prendere un impegno: quando governeremo l'Italia, noi dovremo
fare quello che in questi giorni ha detto il Presidente francese. E
cioè un grande sforzo per l'istruzione, per la formazione dei
giovani. Sarkozy ha annunciato che all'Università sarà
progressivamente destinato il 50 per cento in più di risorse. E' una
assoluta priorità, che non si può non vedere e che non ha colore
politico. Quando noi governeremo, faremo altrettanto.
Se le cose cambiano, va cambiato anche il modo di guardarle. Alla
parola "costi" si deve sostituire la parola "investire".
Vale, questo, per la grande frontiera dell'ambiente, per il
gigantesco problema del surriscaldamento globale, per la strada
indispensabile delle energie rinnovabili.
Basta col pensare che tutto, quando si parla di questioni ambientali,
sia solo un costo da sopportare. "Costi irragionevoli", ha detto il
Presidente del Consiglio di fronte ai nostri partner europei.
L'ambiente e l'economia non sono nemici tra loro. Il Pil può salire
mentre contemporaneamente aumenta la tutela della natura e migliora
la qualità della vita. Anzi: il Pil sale solo se al centro dello
sviluppo c'è la sostenibilità, c'è la riconversione dell'economia.
Davvero non si capisce perché se la Germania è riuscita a creare, nel
comparto delle fonti rinnovabili, duecentomila posti di lavoro negli
ultimi dieci anni, da noi non possa avvenire qualcosa di simile. O
perché non sia possibile seguire l'esempio della California, che
puntando sull'efficienza energetica ne ha creati un milione e mezzo.
E ad ogni modo: solo se gli impegni internazionali assunti
dall'Italia saranno confermati, come è dovere di un grande paese
europeo, sarà giusto studiare momenti di flessibilità per venire
incontro alle esigenze delle imprese nell'attuale situazione.
Il Partito Democratico vuole essere il grande partito dell'ecologismo
moderno, fatto non di pregiudizi antiscientifici, ma dall'idea che
sia proprio l'ambiente, scegliendo la via della "rottamazione" del
petrolio, della fine della dipendenza dai combustibili fossili, degli
investimenti sulle fonti rinnovabili, del potenziamento del trasporto
pubblico, a poter garantire la nostra ricchezza di oggi e il domani
dei nostri figli.
Alle mie spalle, la vedete, c'è una bellissima frase di di Vittorio
Foa: "pensare agli altri, oltre che a se stessi, e pensare al futuro,
oltre che al presente".
Valgono, queste parole, per l'ambiente. E valgono per il drammatico
corto circuito che nella nostra società si sta creando per colpa di
un'equazione tanto ingiusta quanto sbagliata: più immigrazione uguale
insicurezza, straniero uguale estraneo, diverso, "altro" da sé,
minaccia per il proprio territorio, la propria casa, la propria
incolumità. E quindi nemico da allontanare, da respingere, da
cacciare.
Non ci stancheremo mai di ripeterlo e mai di fare di tutto per
rendere concreto questo principio: la sicurezza è un diritto
fondamentale di ogni cittadino. Chiunque lo colpisce va perseguito,
qualunque sia la sua nazionalità. E basta con la vergogna di troppi
delinquenti, non importa se italiani o stranieri, arrestati dalla
polizia e poi scarcerati dopo pochi giorni, o di condannati che
evitano il carcere grazie a una serie infinita di premi e benefici.
Però quell'equazione no, non si può fare. Non si può negare uno dei
fondamenti della nostra civiltà: sono gli individui che commettono un
crimine che vanno puniti. Mai i gruppi, mai le comunità etniche,
sociali o religiose.
La madre del razzismo è la paura. Il problema è che ad alimentarla
c'è anche l'uso politico dell'immigrazione. Il massimo dell'ipocrisia
in chi, come il governo, dovrebbe avere l'onestà di dire che da
quando ci sono loro gli sbarchi sono raddoppiati, le espulsioni sono
ferme e si sta creando una nuova bolla di clandestinità.
La paura, ha detto bene Ilvo Diamanti, "paga". In termini elettorali
e di consenso, almeno nell'immediato. "Per contrastare il razzismo",
ha scritto ancora Diamanti, "si dovrebbe combattere la paura. Invece
viene lasciata crescere in modo incontrollato. E molti, troppi, la
coltivano, questa pianta dai frutti avvelenati che cresce nel
giardino di casa nostra".
Molti, troppi episodi si sono verificati negli ultimi mesi, nelle
ultime settimane. Di quasi tutti si è detto "il razzismo non
c'entra". Ma non è razzismo l'assassinio di Abdoul, ucciso per una
scatola di biscotti al grido di "sporco negro"? Non ci sono
l'ignoranza, l'estraneità e l'ostilità verso "l'altro" dietro
l'aggressione di un ragazzo cinese alla fermata di un autobus? Non
dobbiamo pensare che ci sia razzismo dietro il fermo violento da
parte dei vigili e il pestaggio di Emanuel? Dietro quel negargli
persino il cognome?
E c'è un episodio che mi ha colpito particolarmente. In una scuola di
una provincia italiana i bambini avevano disegnato, insieme alle loro
maestre, delle sagome da mettere vicino alle strisce pedonali per
dire agli automobilisti di rallentare. Queste sagome ritraevano loro.
Erano bambini e bambine. Erano di colori diversi. Qualcuno deve aver
pensato che c'era qualcosa di sbagliato nel fatto che ci fossero
ritratti di bambini neri e di bambini bianchi insieme, e ha pensato
di andare, di notte, a sbiancare con la vernice le sagome scure.
Razzismo strisciante, vigliaccheria e pretesa di insegnare la propria
aberrante idea di ciò che è giusto: il peggio del peggio riunito in
un solo gesto.
Ecco qualcosa di fronte al quale noi non siamo e non saremo mai
indifferenti. Qualcosa che noi combattiamo e combatteremo sempre.
L'Italia non è non sarà mai un Paese razzista.
E domando: la libertà e la democrazia non sono diminuite e ferite
quando si ripetono atti di odiosa e intollerabile omofobia, che
allontanano le nostre possibilità di convivenza civile e allargano il
discrimine che vive sulla propria pelle chi non gode di leggi di pari
opportunità e non è adeguatamente tutelato contro i reati d'odio?
L'Italia è un paese migliore della destra che la governa. La sua
storia racconta un paese migliore.
Un bravo giornalista lo ha detto bene. Nei decenni successivi alla
guerra, i nostri dialetti erano lingue ben strutturate, che
resistevano tenacemente alla penetrazione dell'italiano. Allora
nessuna Lega pensò di differenziare i ragazzi. Nessun ministro
italiano immaginò mai di separare i piemontesi dai calabresi, i
lombardi dai siciliani, i veneti dagli abruzzesi. Eppure quella era
un'Italia nettamente divisa in classi, piena non solo di differenze
linguistiche ma di diseguaglianze sociali. Ma quell'Italia non fu mai
razzista, non fu mai "differenziata".
L'Italia non può diventare questo proprio oggi, nel tempo che vede
incrociarsi culture, popoli e persone. Noi non permetteremo che
accada. Noi continueremo a credere che alla paura e anche alla sua
percezione va data risposta, e che insieme va data risposta a chi
arriva qui, lavora onestamente, e chiede integrazione, chiede diritti
civili, chiede di poter votare, a cominciare dalle amministrative.
L'Italia è un Paese migliore della destra che la governa.
Moltiplicano l'ingiustizia in un Paese ingiusto.
Scelgono l'immobilismo in un Paese fermo.
Alimentano l'odio in un Paese diviso.
Cavalcano la paura in un Paese spaventato.
Ma l'Italia, nonostante tutto, resta migliore.
Stanno facendo dell'Italia un deserto di valori e la chiamano
sicurezza.
Stanno cercando di creare un pensiero unico e lo chiamano gradimento,
consenso.
Stanno calpestando principi e regole della vita democratica e la
chiamano decisione.
Ma l'Italia, nonostante tutto, resta migliore.
C'è l'Italia delle 250 mila persone che con una firma si sono strette
attorno ad un ragazzo di ventotto anni che rischia ogni giorno la
vita e che continua a combattere contro la camorra con le sole armi
che possiede e vuole usare: la passione civile, il coraggio delle
idee e la straordinaria forza della scrittura, che arriva lì dove la
violenza e la stupidità di uomini che non valgono nulla non
arriveranno mai.
A Roberto Saviano va il grazie di tutti noi che oggi siamo qui in
questa piazza.
Lo stesso grazie va alle forze dell'ordine, ai magistrati, agli
imprenditori coraggiosi e alle associazioni che ogni giorno
contrastano l'illegalità, resistono alla sopraffazione, tengono viva
la speranza. Ad ognuno di loro va il grazie di tutti gli italiani
onesti e perbene, di tutti coloro che non si rassegnano a pensare che
le cose continueranno ad andare così perché così è sempre stato e
nulla può cambiare.
Un'altra Italia è possibile. L'Italia della legalità, e non della
furbizia. L'Italia della responsabilità, e non dell'esclusivo
interesse personale. L'Italia del merito, e non dei favori. L'Italia
della solidarietà, e non dell'egoismo. L'Italia dell'innovazione, e
non della conservazione.
Oggi da questo luogo meraviglioso noi vogliamo far arrivare agli
italiani un messaggio di fiducia.
Le cose possono cambiare. Le cose cambieranno. Non c'è rassegnazione
che non possa cedere il passo alla speranza. Non c'è paura che non
possa essere vinta dalla consapevolezza di sé e dall'apertura agli
altri. Non c'è buio dopo il quale non venga la luce.
E allora dell'Italia tornerà a vedersi tutto il meglio. La civiltà di
un popolo che sa accogliere ed includere. La creatività e il talento
di generazioni di donne e di uomini che hanno sempre cercato il
nuovo. Il coraggio di chi ha traversato il mare, di chi ha lasciato
la propria terra per lavorare e fare più ricco il Paese. La tenacia
di chi ha rischiato per fare impresa e di chi si sacrifica per
difendere legalità e sicurezza.
E' la nostra meravigliosa Italia. Quella che è stata e quella che può
essere. Quella che sarà con il nostro lavoro, il nostro coraggio, la
nostra voglia di futuro.
Un'altra Italia è possibile. La faremo insieme.