BUSSOLE di ILVO DIAMANTI – Il Partito democratico fra nuova e vecchia politica
La straordinaria partecipazione alle primarie del PD, domenica scorsa, riflette una domanda di partecipazione molto ampia, nella società. E soprattutto fra gli elettori di centrosinistra. Lo abbiamo scritto, nei giorni scorsi: più che di "antipolitica" dovremmo parlare di "iperpolitica". Visto che le mobilitazioni, negli ultimi mesi, si sono moltiplicate. Coinvolgendo masse imponenti di persone. Spinte, come si è detto, da una grande richiesta di cambiamento e di novità. Però, vale la pena di aggiungere: non solo.
Come ha suggerito Alfio Mastropaolo, dietro alla partecipazione di
massa che ha "premiato" le primarie del PD, non c'è solo il "nuovo",
ma anche il "vecchio". Il contributo della tradizione;
dell'organizzazione dei partiti; delle cerchie personali. Logiche di
appartenenza "ideologica", ma anche personale e particolaristica.
Basta scorrere i dati della partecipazione su base regionale. A
livello nazionale hanno votato 3 milioni e mezzo di elettori. Tra
cui, va chiarito, anche giovani con meno di 18 anni (ma più di 16) e
immigrati. Per cui si tratta di una base più ampia dell'elettorato
chiamato a votare alle consultazioni politiche. Tuttavia, calcolato
sul voto alla lista "Uniti nell'Ulivo" nel 2006, il peso degli
elettori alle primarie risulta egualmente molto rilevante: il 29%.
Ciò significa che ha votato alle primarie quasi un elettore su tre.
La distribuzione per regione, però, fa emergere una geografia
particolare. Molto diversa dal passato. Non tanto per l'affluenza
nelle regioni del Nord: significativa ma, comunque, al di sotto
della media nazionale. Né per il buon grado di partecipazione
registrato nelle "regioni rosse". Soprattutto in Emilia Romagna e in
Umbria (oltre il 30%). Ma per la clamorosa mobilitazione che ha
caratterizzato le regioni del Mezzogiorno. In Abruzzo l'affluenza
alle primarie copre il 40% dei voti ottenuti nel 2006 (alla Camera)
dalla lista "Uniti nell'Ulivo". In Puglia il 34%. In Sardegna il
32%. Ma vette insuperabili vengono toccate in Campania: 44%. E ancor
di più in Basilicata: 53%. Fino al record della Calabria, dove i
voti validi alle primarie costituiscono il 70% di quelli ottenuti
dall'Ulivo un anno e mezzo fa. Certo, vale la pena di ripeterlo: c'è
una quota di minorenni e di immigrati. Ma si tratta, comunque, di un
dato cosmico.
Peraltro, la struttura del voto, su base territoriale, in questa
occasione non riflette quella di due anni fa, che legittimò Prodi in
vista delle elezioni del 2006. Rispetto ad allora, in tutte le
regioni del Centronord si osserva un calo di voti (validi) più o
meno sensibile. In particolare in Lombardia (-232.000), Emilia
Romagna (-204.000), Toscana (-168.000) e in Veneto (-89.000). Anche
nel Lazio, dove Veltroni ha trascinato la partecipazione al voto, si
assiste a un ripiegamento sensibile rispetto alle primarie del 2005
(- 86.000 voti validi). D'altra parte era prevedibile, visto che due
anni fa alle primarie avevano partecipato gli elettori di tutta la
coalizione, per eleggere non il segretario di un partito, ma il
candidato premier. Invece, contrariamente alle aspettative, in larga
parte del Mezzogiorno, domenica scorsa si verifica una crescita dei
voti, in alcuni casi molto consistente. Soprattutto in Puglia
(+54.000), Abruzzo (+13.000), Basilicata (+17.000), Campania
(+106.000) e, appunto, Calabria (+ 87.000).
Ciò permette di precisare l'osservazione da cui siamo partiti. La
grande partecipazione alle elezioni primarie di domenica scorsa
sottolinea una stagione "iperpolitica" piuttosto che "antipolitica".
In cui, però, convergono e si cumulano spinte diverse. Domande
di "cambiamento", ma anche "continuità". La grande partecipazione
alle primarie, infatti, ha raccolto e aggregato movimenti ed
elettori d'opinione, alla ricerca di nuovi modelli di rappresentanza
politica. Insieme ad ampie componenti ancora "fedeli" ai partiti
tradizionali (e auto-dissolti: DS e Margherita); a settori, estesi,
di voto "personale" e particolarista; e a solide clientele locali.
E' un grande calderone, questo PD. Nel quale confluiscono componenti
nuove, ma anche vecchie. (E, vogliamo precisare, il "vecchio" non è
necessariamente peggio; talora, anzi, è anche meglio del "nuovo").
Ci vorranno molto coraggio e grande determinazione per costruire
un "partito nuovo", capace di assorbire e coagulare l'eredità
dei "partiti vecchi". Così pesante e localizzata. Ma, soprattutto,
per costruire un partito che sia davvero "nazionale", in grado di
superare i limiti territoriali del passato, anche recente. Il
centrosinistra, infatti, nella seconda Repubblica, ha mantenuto la
geografia elettorale del Pci. Tanto che Marc Lazar, facendo
riferimento ai Ds, aveva parlato di una "Lega di centro". Mentre nel
Nord non è mai riuscito a imporsi. Anzi, alle elezioni del 2006 si è
ridotto a una "minoranza assediata". Oggi, le primarie descrivono un
PD fin troppo "meridionalizzato".
Non sarà facile, con questa geografia e con questa base elettorale
costruire un soggetto politico riformista e innovatore. Walter
Veltroni, il sindaco di Roma: dovrà governare i localismi del suo
partito. Dovrà, inoltre, "unire" la Basilicata al Veneto; la
Calabria alla Lombardia. Come dire: ri-unire l'Italia.
(18 ottobre 2007)