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Ilvo Diamanti, la voglia di votare

By 20/02/2009Politica

La voglia di votare – ILVO DIAMANTI – Repubblica

La sconfitta di Soru, in Sardegna, ha travolto anche Veltroni, insieme al Pd. Il quale è calato di quasi 12 punti percentuali rispetto alle elezioni politiche di un anno fa, unica occasione in cui si fosse presentato con questa sigla. Tuttavia, al Pdl non è andata meglio.

Anzi ha perso addirittura qualcosa di più. D'altronde, alle elezioni regionali le liste autonomiste e quelle territorialmente più radicate (come l'Udc) ottengono performance importanti a danno dei partiti nazionali. La coalizione di destra, tuttavia, ha stravinto. Trascinata da Berlusconi. Il che aiuta a rammentare che in Sardegna ha perso anzitutto Soru. Per certi versi, un Berlusconi di sinistra, immaginato, per questo, come alternativa allo stesso Veltroni. Soru, d'altronde, è una figura autorevole. In questi anni ha dimostrato grande personalità, ponendosi, talora, in aperto contrasto con ampi settori del Pd. Fino alla crisi finale. Affrontando, per questo, le elezioni con un partito profondamente diviso.

Da ciò una lezione utile anche in ambito nazionale. Oggi tutti i partiti si sono personalizzati. Hanno cioè bisogno di un leader riconoscibile in cui riconoscersi. Ciò avviene ormai in tutte le democrazie. Tuttavia, è altrettanto vero l'inverso: nessun leader può affermarsi senza un partito presente nella società e nelle istituzioni. Il caso di Berlusconi fa scuola. Ha fondato un partito personale. Ma un "partito". Coeso, con un'organizzazione professionale e personalizzata al centro che si è progressivamente allargata anche in periferia. A cui egli fornisce identità e comando. Ma ogni volta che ha pensato di essere "personalmente" autosufficiente, anche la sua leadership è stata messa in discussione. Com'è avvenuto dopo la sconfitta di Fi e del centrodestra alle regionali del 2005. Allora, non a caso, è sceso nuovamente in campo, in prima persona, trascinando, da solo, Fi e il centrodestra fino al quasi-pareggio nelle elezioni del 2006. Per questo, nel 2007, ha "inventato" un partito più largo, il Pdl. Ancora in progress: celebrerà il suo congresso di fondazione fra un mese. Non per caso ha affrontato le elezioni sarde con tanta veemenza. Per imporre subito la sua leadership "dentro" il Pdl e "dentro" la coalizione.

Invece Veltroni è segretario di un partito che ancora non c'è. Eletto nell'ottobre 2007 attraverso una consultazione popolare definita impropriamente "primarie". Le quali sono una procedura per "selezionare i candidati a cariche elettive nazionali o locali" (Pasquino e Venturino, Le primarie comunali in Italia, Il Mulino). Tuttavia le "primarie" sono un nome magico. Evocano l'Ulivo, di cui il Pd è l'erede. Il soggetto politico unitario e a vocazione maggioritaria e a larga partecipazione popolare, sperato dagli elettori di centrosinistra. Per questo vennero proclamate, mentre la sfiducia montava contro il governo Prodi. Come un rito propiziatorio, celebrato per promuovere un nuovo leader e, insieme, un nuovo partito. Che, però, non è mai stato veramente "fondato". I Ds e la Margherita si sono sciolti, ma l'Assemblea Costituente, eletta in quell'occasione, dopo un anno e mezzo, non ha mai realizzato il suo compito principale: "costituire" il Pd. Domani, invece, le verrà chiesto, probabilmente, di ratificare l'istituzione di una "unità di crisi". Un governo, per definizione, provvisorio, presidiato dai leader di ex partiti. In altri termini: qualcosa di analogo all'Unione o all'Ulivo di un tempo. Dove, però, coabitavano tutti: dal centro a sinistra, da Mastella a Bertinotti. Mentre oggi la compagnia è ridotta agli ex Ds e Margherita, a loro volta frazionati e divisi da profonde ostilità personali. La scelta di ricorrere a un portavoce transitorio, per questo, appare rischiosa. Il problema non riguarda l'identità del leader designato. Dario Franceschini è figura adeguata, con una storia pulita. Tuttavia, per avere potere e credibilità, di fronte agli elettori e ai leader delle altre forze politiche, egli non può e non deve apparire una figura di passaggio, in attesa di qualcun altro. Con quale credibilità potrebbe affrontare le prossime elezioni senza una leadership davvero legittimata? A maggior ragione, come pensano di essere credibili altri leader – Bersani, Bindi, Letta o la Finocchiaro: non importa – pronti a candidarsi alla segreteria del Pd in autunno ma non adesso? Per timore di perdere la faccia insieme alle prossime elezioni? (E dove sta scritto che debba avvenire?).

Per questo crediamo necessario, oggi più di ieri, che il cosiddetto Pd, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, affronti una consultazione popolare ampia e una competizione vera. Da cui emergano un segretario vero e organismi veri che possano costruire un partito vero. Se non le primarie, qualcosa che ci somigli. Dove la partecipazione e il voto corrispondano all'iscrizione. Imponendo, per questo, agli elettori un contributo più impegnativo rispetto alle primarie vere e proprie. Si tratterebbe, peraltro, di una mobilitazione importante in vista delle prossime elezioni.

D'altra parte, gli elettori del centrosinistra hanno sempre risposto in massa a ogni offerta di partecipazione. È avvenuto nel 2005 e nel 2007, a livello nazionale. E in centinaia di città (per ultimo, a Bologna e Firenze), in occasione delle primarie. Gli elettori del centrosinistra: sono delusi, ma non rassegnati. Meritano rispetto e ascolto.

Meglio, altrimenti, dichiararlo subito: la biografia del Pd, prima ancora di iniziare, è già finita.

(20 febbraio 2009)

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MAGDA NEGRI

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