Torino – Sabato 27 gennaio, come in tutti i distretti d'Italia, si è tenuta a Torino la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario. L’indomani sulle pagine de La Repubblica, nella bella intervista sui problemi della giustizia al Presidente del Csm Nicola Mancino, leggo accenti nuovi e più equilibrati. Mi suscitano una riflessione sull’inaugurazione torinese, cui ho assistito, in cui Antonio Patrono, esponente del Csm, ha avuto toni meno aperti rispetto a quelli di Mancino nell’apprezzare le riforme fatte o in cantiere – salvo le polemiche sull’indulto- in attesa della riforma del Codice di procedura penale. Nelle parole di Patrono e del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Torino Giancarlo Caselli sono riecheggiati la critica all’indulto, l’auspicio di arrivare a un processo rapido e garantito, che scoraggi ogni tattica dilatoria, l’amarezza per i fondi insufficienti che non consentono la riorganizzazione degli uffici. E ancora, la rivendicazione di una specifica attenzione della Procura di Torino per i processi riguardanti le condizioni e gli incidenti sul lavoro e le malattie professionali, etc.
Ma non c’era- ribadisco – l’ampiezza di valutazione politica del Presidente Mancino, che- credo- proporrà alla magistratura italiana una stagione nuova.
Particolare triste e folkloristico: il coordinamento dei comitati spontanei torinesi distribuiva un volantino sui problemi della giustizia e dell’ordine pubblico dove, accanto a proposte condivisibili, come quella di prevedere pene più severe per chi si brucia i polpastrelli per impedire controlli sulle impronte digitali, incredibilmente si accusava la classe politica di distrarre l’opinione pubblica con diatribe lontane dalla sensibilità popolare quali i Pacs. O il doppio cognome per i figli.
Bell’esempio di come si possa fare la faccia feroce, perdendo credibilità. Non avrei mai immaginato simili manifestazioni di bieco conservatorismo da parte di soggetti che hanno organici rapporti con il mondo della sinistra.
Infine, una nota di costume: in una platea quasi tutta anziana e maschile, nella scenografia di un cerimoniale dal ritualismo a tratti obsoleto, tre donne magistrato spiccavano, nella loro immobile posa, sedute come su un trono, incorniciate dal rosso delle toghe.