Relazione di minoranza al DDL sulle intercettazioni telefoniche – Sen. Legnini
AULA SENATO 31 maggio 2010
È da diversi anni che il dibattito politico e parlamentare sottolinea l’esigenza di una modifica della disciplina delle intercettazioni telefoniche, essendo venute in evidenza alcune criticità nel loro utilizzo e nella loro diffusione. L’interesse di gran lunga prevalente, che ha mosso gran parte delle forze politiche di entrambi gli schieramenti, è stato quello della tutela della riservatezza delle persone,molte volte violata anche in danno di chi non era indagato ed era estraneo alle attività di indagini. L’unica vera istanza proveniente da una parte della pubblica opinione era e rimane questa, l’esigenza cioè di tutelare l’immagine, l’onorabilità, la privacy di chi, legittimamente, abusivamente o casualmente captato nei colloqui telefonici, si fosse ritrovato esposto alla dannosa pubblicità della propria vita privata sui mezzi di comunicazione a grande diffusione.
Occorreva un intervento legislativo non semplice perché il diritto costituzionalmente garantito alla tutela della vita privata e alla libertà e segretezza delle comunicazioni (artt. 2 e 15 Costituzione) vanno bilanciati con altri precetti, di eguale rango costituzionale, quelli della libertà di stampa e del diritto di (e all’) informazione (art. 21 Costituzione), dei principi dell’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Costituzione), del giusto processo (art. 111 Costituzione) e del dovere dello Stato di garantire ai cittadini la sicurezza personale (art.117 Costituzione comma 2 lett.h).
L’auspicato intervento riformatore si è rivelato vieppiù complesso in virtù della necessità di non derogare, attenuare o compromettere alcuni dei suindicati principi a discapito di altri, non soltanto perché la lesione di uno di essi si porrebbe in contrasto con la Carta Costituzionale ma anche perché solo il loro integrale rispetto, da attuare con un assetto normativo armonico, costituisce garanzia di rispetto dei principi di democrazia, libertà, legalità e dei diritti dei cittadini alla corretta e integrale informazione, alla sicurezza e al rispetto dei loro diritti soggettivi individuali e collettivi.
L’intervento normativo si è rivelato ancor più difficile in presenza delle note anomalie del sistema dell’informazione nel nostro Paese, del rilevante tasso di criminalità organizzata e di reati contro la pubblica amministrazione, della difficoltà in atto da molti anni nei rapporti tra la magistratura inquirente e i titolari di funzioni pubbliche elettive e non.
Ci provò il Governo Prodi nella passata legislatura con un suo DL, che fu approvato dalla Camera dei Deputati quasi all’unanimità (con sette astensioni) e con la convergenza dei gruppi dell’attuale maggioranza di centrodestra, del nostro Gruppo e di quello dell’IDV, che realizzava un accettabile equilibrio tra i valori e gli interessi in gioco.
Ci hanno provato diversi gruppi e singoli parlamentari in questa legislatura con diversi DDL aventi un contenuto tra loro divergenti, fino a quando l’attuale Governo ha deciso di presentare un suo DDL già esaminato dalla Camera e oggi al nostro esame in seconda lettura.
Ricordo che il Gruppo del PD al Senato ha presentato due testi, quello n. 932 a firma dei Senatori Casson, Finocchiaro ed altri, e quello n. 718 a firma dei senatori Della Monica ed altri di contenuto sostanzialmente analogo. Le proposte del nostro Gruppo avevano esattamente l’ambizione di affrontare e risolvere i problemi che ho evidenziato all’inizio, relativi alla tutela della riservatezza delle persone, all’eliminazione degli abusi nell’uso e nella diffusione delle intercettazioni, salvaguardando appieno la libertà di stampa e il diritto all’informazione, il pieno e corretto utilizzo di tale importante strumento di ricerca della prova nell’azione di contrasto alla criminalità comune e organizzata, alla responsabilizzazione in capo ad un magistrato inquirente e al personale a ciò delegato nell’obbligo di non diffondere le intercettazioni prima che esse diventassero pubbliche sulla base delle regole processuali, della distruzione e divieto di diffusione delle comunicazioni irrilevanti per le indagini. Una linea di intervento chiara alla quale si è contrapposto il DDL del Governo e della maggioranza , che ha portato oggi qui all’esame dell’aula del Senato, dopo un lungo iter in 2a Commissione, un impianto normativo inaccettabile e peggiorativo financo del testo licenziato in prima lettura dalla Camera.
Riassumo i punti, ormai noti, che sono per noi inaccettabili e per modificare i quali ci batteremo con determinazione con i nostri emendamenti e con la forza dei nostri argomenti, che trovano un ampio consenso nel Paese, nonché ricorrendo a tutti gli strumenti regolamentari a nostra disposizione.
1 Innanzitutto vengono posti limiti e condizioni di ammissibilità delle intercettazioni del tutto inaccettabili. L’art. 1 c. 10 rappresenta un superamento solo apparente, ma non reale del richiamo agli evidenti indizi di colpevolezza quale presupposto per l’autorizzazione delle intercettazioni (ma anche delle videoriprese e dell’acquisizione di tabulati). Di fatto si reintroduce tale improprio requisito di legittimità in forma di presupposti individualizzanti (art.267, comma 1, lettere b) e c)) e di parametro interpretativo alla cui stregua il giudice deve valutare la sussistenza di gravi indizi di reato (cfr. il richiamo agli artt. 192, commi 3 e 4 e 195 comma 7).
L’attribuzione al giudice collegiale del tribunale distrettuale della competenza ad autorizzare le intercettazioni, determinerà non solo la paralisi degli uffici giudiziari distrettuali ma paradossalmente favorirà le fughe di notizie in violazione della privacy, in quanto gli atti di indagine saranno messi a disposizione di un numero più esteso di persone e dovranno “viaggiare” non poco per raggiungere la destinazione. Inoltre, l’attribuzione al giudice collegiale della competenza ad autorizzare le intercettazioni è chiaramente asistematica, considerando che il giudice monocratico può disporre non solo di misure cautelari personali, ma può anche irrogare un ergastolo, in sede di rito abbreviato.
Ancora, la previsione dell’assenso scritto del Procuratore della Repubblica quale condizione di ammissibilità della richiesta di intercettazione da parte del pubblico ministero, con inevitabili ricadute negative sulle indagini e sull’efficienza dell’amministrazione della giustizia, costituisce un evidente ulteriore passo verso la gerarchizzazione delle procure.
Altresì gravemente lesiva dell’azione investigativa è la prevista limitazione temporale della durata delle operazioni captative (60 gg. per i reati ordinari con massimo di 15 gg. di proroga in casa), eccessivamente restrittiva e del tutto inadeguata alla complessità di accertamento di taluni reati.
Altrettanto irragionevole appare il divieto di utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti – salvo riguardino reati efferati, quali quelli distrettuali, quelli di pedopornografia o quelli di criminalità organizzata – o anche nello stesso procedimento, qualora il fatto sia diversamente qualificato e per esso non ricorrano i presupposti per le intercettazioni.
Si consideri, altresì, che la (peraltro limitata) esclusione dei soli reati distrettuali (si escludono dalla deroga persino i delitti di criminalità organizzata di cui all’art. 407, c. 2, lett a c.p.p. o quelli per cui l’arresto in flagranza è obbligatorio ex art. 380 c.p.p.) dalla disciplina dei limiti di durata e dei presupposti delle intercettazioni (basterebbero i sufficienti indizi di reato) è del tutto insufficiente, in quanto le intercettazioni per i reati satellite (necessarie soprattutto all’inizio delle indagini) sarebbero comunque precluse..
L’estensione (art. 266, c.p.p. come modificato dall’art. 1 comma 9 d.d.l.) a tutte le intercettazioni ambientali, a prescindere dal luogo in cui si svolgano, del requisito della necessaria finalizzazione alla osservazione dell’attività criminosa in corso (oggi previsto solo per ambientali da svolgersi in luoghi di privata dimora), oltre a depotenziare le attività di indagine, comporterà che non sarà mai possibile ottenere autorizzazioni ad intercettazioni ambientali per indagare su un reato già commesso, sia esso anche un omicidio o una strage. Un’assurdità palese anche per un’altra ragione: l’A.G. indaga per definizione sui reati già commessi, quasi mai per finalità di prevenzione.
Un chiaro vulnus al principio di ragionevolezza deriva dall’equiparazione alle intercettazioni, quanto al regime di ammissibilità, dell’acquisizione dei dati di traffico telefonico o telematico, che in quanto relativa ai soli dati “esterni” e non invece al contenuto delle comunicazioni, non può in alcun modo essere assistita dalle stesse garanzie né essere soggetta alle medesime limitazioni previste per le intercettazioni (art. 1 comma 9) .
La nuova disciplina rischia, peraltro, di violare il diritto alla difesa di cui all’art. 24 Cost. nella misura in cui, diversamente dalla normativa attuale (art. 132, comma 3, codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al d. lgs. 196 (2003 e succ. mod.), impedisce alle parti private di richiedere al fornitore, in taluni casi, anche in virtù del decreto motivato del pubblico ministero, l’acquisizione di tabulati utili alla dimostrazione della fondatezza della propria tesi difensiva.
La disposizione, volta a sanzionare con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, l’utilizzo in assenza del consenso dell’interessato di registrazioni, effettuate fraudolentemente, di conversazioni alle quali l’autore abbia partecipato o sia stato presente (emendamento cosiddetto D’Addario), priva i cittadini della stessa possibilità della tutela giurisdizionale dei diritti, in violazione dell’art. 24 Cost., in quanto consente di utilizzare le suddette registrazioni solo “nell’ambito” di procedimenti giurisdizionali e non anche nelle fasi precedenti, quando cioè si debbano acquisire prove per denunciare, ad es. un estorsore o uno stalker.
Nel contesto delle innovazioni sopra ricordate, particolare preoccupazione destano la procedura di ammissione, i limiti temporali di durata e la quasi soppressione di fatto delle intercettazioni ambientali. L’attribuzione al Tribunale del capoluogo di distretto in composizione collegiale, del potere autorizzatorio, seppur differito di un anno, implicherà un accrescimento di incombenze burocratiche e di passaggi procedimentali (che già si verificheranno per applicare altre condivisibili disposizioni, quali quelle relative alla gestione della riservatezza delle registrazioni e alla tenuta dei registri) di enormi proporzioni.
L’autorizzazione all’utilizzo dello strumento di indagine delle intercettazioni, dovrà essere scritta e motivata dal P.M., condiviso e sottoscritto dal Capo dell’Ufficio, inviato unitamente all’intero fascicolo delle indagini al Tribunale competente, a volte distante centinaia di chilometri, con dispendio di risorse e di tempo per il personale; dovrà essere esaminata da un collegio dopo tutte le registrazioni di rito negli uffici, dovrà essere nuovamente trasportato alla Procura richiedente e così per le successive proroghe degli esigui termini di durata previsti. Un numero incalcolabile di magistrati inquirenti e giudicanti, di personale delle cancellerie e coadiuvanti, autisti etc. maneggerà le richieste e i fascicoli, li trasporterà, li depositerà occupando un tempo di lavoro enorme, e rendendo oggettivamente concreto il rischio della violazione del segreto, con la paradossale conseguenza che la tutela della riservatezza sarà più a rischio in futuro rispetto alla disciplina vigente. Il tutto per attuare un principio di controllo ex ante delle condizioni di ammissibilità che sarebbe molto più semplicemente conseguibile con altre più ragionevoli misure. Relativamente alla previsione della ristretta durata delle attività di indagine, per rimediare ad un’estensione a volte irragionevole e costosa delle operazioni captative, si introducono limitazioni temporali inaccettabilmente brevi che di certo non coincideranno con la tempistica imprevedibile nella commissione dei reati, rendendo così le indagini casuali o inefficaci. Che cosa succederà se le attività criminose si consumeranno dopo l’ora X di scadenza della possibilità di intercettare, è facile immaginarlo.
Così come è facile prevedere che con i sofisticati sistemi a disposizione della criminalità, i tempi di commissione dei delitti saranno parametrati ai rischi di essere intercettati o meno entro i limiti temporali prefissati autolesionisticamente dal legislatore. E non si dica che tali rischi non valgono per i reati di mafia e terrorismo. Costituisce un dato notorio che durante le indagini si perviene all’individuazione delle attività illecite proprie della criminalità organizzata attraverso l’accertamento di reati comuni , quali le estorsioni, l’usura, le truffe, il traffico di stupefacenti etc. Comprimere in misura così vistosa le indagini su tali reati , significa fare un regalo alle bande criminali organizzate.
Risibile, se non fosse che si tratta di questione molto seria, è la soluzione adottata per limitare le intercettazioni ambientali, uno strumento di indagine molte volte prezioso e risolutivo per l’accertamento di reati gravi. Subordinare il ricorso a tale strumento di indagine alla condizione che nel luogo si sta commettendo un reato, significa annullare di fatto la possibilità di disporre intercettazioni ambientali.
2 -Particolarmente gravi sono le disposizioni che riguardano la libertà di stampa e il diritto dei cittadini all’informazione
Sul punto cruciale relativo alla libertà di informazione, la prima significativa limitazione del diritto di cronaca deriva dall’inasprimento delle pene per la rivelazione illecita di atti coperti da segreto (art. 1, c. 26, con un massimo di sei anni di reclusione) o per la pubblicazione arbitraria di atti processuali (con la previsione dell’arresto fino a 30 giorni – già oggi previsto- o dell’ammenda fino a 5.000 euro, 10.000 nel caso di pubblicazione di intercettazioni, tabulati, video-riprese) nonché dall’estensione della responsabilità da reato dagli enti (in particolare i giornali) ai sensi del d. lgs. 231/2001, che possono giungere fino a 464.000 euro, limite massimo che la maggioranza propone di ridurre con apposito emendamento dopo le proteste degli editori. Ma la modifica più significativa nel testo licenziato dalla Commissione riguarda la disposizione di cui all’art.1 c.5, che precludeva finanche la pubblicazione per riassunto (o nel contenuto: v. abrogazione art. 114, c. 7 c.p.p.) degli atti di indagine, ancorché non più coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini o al termine dell’udienza preliminare. Tale vulnus del diritto di e all’informazione era peraltro aggravato dal divieto di cui all’art. 1, comma 5, cpv. “2-ter” , della pubblicazione anche per riassunto o nel contenuto, delle richieste e ordinanze emesse in materia di misure cautelari, della documentazione e degli atti relativi ad operazioni captative anche laddove non sussista il segreto investigativo, così precludendo totalmente la cronaca giudiziaria relativamente a fatti di interesse pubblico. A fronte della gravità e abnormità di tali disposizioni e dopo la generalizzata protesta della stampa italiana, la maggioranza si è orientata a tornare, con una delle proposte emendative presentate, al testo della Camera ‘consentendo’ la pubblicazione per riassunto, il che attenua ma non elimina la grave lesione alla libertà di stampa.
I suddetti divieti appaiono tanto più incompatibili con gli artt. 21 Cost. E 10 CEDU, ove si consideri il rilevante inasprimento sanzionatorio previsto dal disegno di legge per i reati in materia di pubblicazione degli atti, che rischia di inibire del tutto la libertà di stampa e quindi di privare i cittadini del diritto a ricevere informazioni su fatti di rilievo generale.
Ove poi si consideri che tale rilevante inasprimento sanzionatorio non è neppure riferito a condotte lesive della privacy delle parti processuali o dei terzi estranei alle indagini, ben si comprende come questa scelta non possa in alcun modo giustificarsi neppure in ragione dell’esigenza di tutelare beni giuridici di rilievo costituzionale, ma appaia nettamente in contrasto con gli artt. 21 Cost. e 10 della Convenzione europea dei diritti umani e funzionale soltanto a privare i cittadini del diritto di e all’informazione.
Ciò è peraltro asseverato dalla previsione , di cui all’articolo 1, comma 8, della sospensione obbligatoria (anche) del giornalista dalla professione, in ragione della sua iscrizione nel registro degli indagati per violazione del divieto di pubblicazione, qualora l’organo titolare del potere disciplinare ravvisi elementi di responsabilità e ritenga il fatto grave (art. 115, co. 2, c.p.p., modificato dall’art. 1, comma 8, ddl). Norma, questa, che viola la presunzione di innocenza e rischia peraltro di avere un effetto deterrente rispetto al diritto di cronaca.
2 Altre disposizioni molto discutibili sono quelle relative alle intercettazioni indirette e casuali a carico dei parlamentari e loro collaboratori, alla speciale disciplina prevista per gli agenti dei servizi, all’introduzione dell’astensione obbligatoria del Giudice e sostituzione del P.M. che abbiano pubblicamente rilasciato dichiarazioni concernenti il procedimento affidatogli, alla fissazione di tetti di spesa per le intercettazioni ripartiti tra il livello nazionale, distrettuale e circondariale e altre disposizioni minori.
Alle gravi preoccupazioni espresse da noi e provenienti dal Paese, la maggioranza e il Governo hanno tentato di porre rimedio con gli emendamenti depositati nei giorni scorsi in vista dell’avvio della discussione in Aula. Senonché, alle limitate e insufficienti proposte in senso migliorativo del testo licenziato dalla Commissione, quasi del tutto coincidenti con il ripristino del testo approvato in prima lettura alla Camera, si è aggiunta una disposizione, quella relativa alla riscrittura delle disposizioni transitorie, che rischia, se approvata, di far saltare o nella migliore delle ipotesi aggravare un numero non quantificabile di procedimenti pendenti. Infatti, sulla base di detto emendamento, gran parte delle ”novelle” recate nel testo in discussione si applicano anche ai procedimenti pendenti, quindi a tutti i procedimenti. Quale impatto avranno ad esempio le disposizioni sull’astensione obbligatoria di Giudici e P.M., il nuovo regime di utilizzabilità delle intercettazioni, la durata delle stesse, oltre i limiti previsti nel testo, sui provvedimenti ancora in fase di indagine o udienza preliminare o dibattimentale?
È facile immaginare la carica demolitrice di tale abnorme diposizione, contrastante, come mai avvenuto prima, con il principio del tempus regit actum in un numero enorme di procedimenti, compreso quelli di più stringente attualità relativi a diffusi fenomeni di corruzione che tanto sconcerto hanno determinato nell’opinione pubblica.
E quali effetti produrranno le norme restrittive del diritto di cronaca sugli atti già resi pubblici o disponibili ai difensori delle parti?
Dunque, il testo e gi emendamenti che la maggioranza e il Governo chiedono a quest’Aula di approvare in questi giorni, costituiscono un pasticcio normativo, con disposizioni confuse e dannose, che castrano irrimediabilmente i più efficaci strumenti di indagine, che affievoliscono in modo inaccettabile il diritto all’informazione come mai era avvenuto nella nostra storia repubblicana, che oggettivante renderanno più agevole delinquere e più difficile scoprire e perseguire chi delinque.
Si voleva accrescere la tutela e il rispetto della riservatezza delle persone e noi eravamo e siamo d’accordo. Ma sarà davvero così con i viaggi da fare per ottenere le autorizzazioni, la moltiplicazione degli occhi e delle mani sui fascicoli segreti delle indagini, la pur fondata esigenza di distruggere le intercettazioni irrilevanti entro tempo ristretti che determinerà la necessità di una loro selezione e quindi visione o ascolto alla presenza dei difensori?
E chi garantirà la correttezza del riassunto da pubblicare, la sua lunghezza, la sua idoneità a riferire la completezza dei fatti anche nell’interesse degli indagati?
E che cosa ne sarà di questa nuova categoria di atti che in virtù delle disposizioni processuali sarà pubblica ma non sarà pubblicabile sulla stampa? Quali saranno le nuove modalità diffusive di informazioni non pubblicabili ma di enorme interesse per l’opinione pubblica? E che succederà quando tali atti pubblici ma non pubblicabili saranno pubblicati dalla stampa straniera? Dovremo andare all’estero per esser informati sui fatti del nostro Paese o potremo utilizzare i moderni strumenti telematici, internet, per attingere informazioni dall’estero e per rimediare al divieto di pubblicazione in Italia, sanzionato con il carcere?
E che ne sarà delle indagini nelle quali si scoprirà, magari a distanza di anni, che il delitto fu consumato il primo o il centesimo giorno successivo alla cessazione della possibilità di proseguire nelle intercettazioni?
E quali saranno i prezzi che dovremo pagare in termini di sicurezza e di tutela delle vittime dei reati, quando fra alcuni anni avremo contezza del fatto che imputati di estorsioni o usura in realtà appartenevano alle molte mafie del nostro Paese ma ciò non fu possibile accertarlo?
Insomma, gli interrogativi sono tanti e coinvolgono interessi rilevantissimi che hanno a che fare con i fondamenti della nostra democrazia e del nostro stato di diritto.
La realtà è che di fronte a noi vi erano e vi sono due linee chiare per affrontare e risolvere problemi che esistono:
a) quella di limitare fortemente le intercettazioni e quindi l’efficacia delle attività di indagine, con oggettivo indebolimento della sicurezza dei cittadini e del contrasto alla criminalità di ogni genere, nonché di comprimere la libertà di stampa;
b) quella di vietare e bloccare la diffusione delle intercettazioni abusive o estranee alle indagini e ai procedimenti penali, responsabilizzando e sanzionando magistrati, polizia giudiziaria e personale per la violazione del segreto d’ufficio e la strumentalizzazione nell’uso e nella diffusione delle intercettazioni non rilevanti per fini di giustizia, in tal modo tutelando la riservatezza dei cittadini e la corretta ed efficiente amministrazione della giustizia. Noi sosteniamo questa seconda linea, che rappresenta ciò che i cittadini chiedono.
Voi avete scelto la prima strada, quella che indebolirà ulteriormente il nostro già collassato sistema giudiziario e costituirà il più grave attacco alla libertà di stampa mai concepito nella storia repubblicana.
Ecco perché abbiamo il dovere sacrosanto di contrastare in ogni modo questo disegno di legge, con tutti i mezzi democratici a nostra disposizione in Parlamento e nel Paese.
Si è svolto un lavoro molto approfondito e puntuale in Commissione giustizia e per questo ringrazio i colleghi che con grande passione e competenza hanno affrontato, prospettando puntualmente proposte alternative, ogni aspetto di questo controverso provvedimento.
Non ci avete voluto ascoltare, non avente inteso accogliere neanche le più ragionevoli delle proposte. Avete scelto di tirare dritto, di sconquassare l'impianto investigativo del nostro Paese che si è consolidato e perfezionato nel corso degli anni e di cui pure il Governo si vanta in coincidenza di questo o quell'operazione di cattura di latitanti o di operazioni di polizia particolarmente incidenti sulle attività criminose. Non ci avete voluto ascoltare, non avete voluto ascoltare l'allarme di tutta la magistratura. Ascoltate almeno il serio e fondato allarme del Procuratore Nazionale Antimafia, di tutte le forze di polizia, di tutti i giornalisti, gli editori, gli scrittori e gli intellettuali del nostro Paese e soprattutto delle vittime dei reati. Se non lo farete, vi assumerete una gravissima responsabilità nei confronti dell'intero nostro Paese.