Pubblico integralmente l’intervento di Giorgio Napolitano al Senato: ognuno faccia le proprie autonome valutazioni!
Intervento del Presidente Emerito
Sen. Giorgio Napolitano
Aula Senato
25 ottobre 2017
Il così controverso iter della nuova legge elettorale ha portato in primo piano esigenze e ragioni non facilmente componibili tra loro, da considerare obbiettivamente e soprattutto non solo in riferimento ad una pur rilevante contingenza come quella di cui parliamo.
Da un lato, è emersa con forza un’esigenza da tempo presente nell’esperienza e nell’evoluzione della vita pubblica non soltanto in Italia. Parlo della questione della capacità di decisione del sistema democratico, di fronte a cambiamenti epocali che richiedono risposte tempestive e incisive da parte delle leadership di governo. Questione che si acuisce quando si tratti di adottare provvedimenti volti a risolvere problemi di innovazione e cambiamento da troppo tempo sterilmente dibattuti e rimasti irrisolti.
Dall’altro lato, e qui ho ritenuto e ritengo di dover porre un mio personale forte accento, emergono le ragioni dell’equilibrio tra le istituzioni, i poteri e i ruoli propri di ciascuna di esse nell’ambito dei singoli ordinamenti costituzionali e in coerenza con l’assetto europeo.
Ecco, vorrei che almeno nel prossimo futuro, in diverse condizioni, si discutesse tra le forze politiche e in seno al Parlamento di tali questioni come questioni di interesse generale e di comune responsabilità politico-istituzionale.
Ma si può far valere l’indubbia esigenza di una capacità di decisione rapida da parte del Parlamento fino a comprimerne drasticamente ruolo e diritti sia dell’istituzione sia dei singoli deputati e senatori?
L’interrogativo è sorto in concreto nelle ultime settimane con la posizione della fiducia, da parte del governo, sulle parti sostanziali del testo prima che si aprisse in aula alla Camera il confronto sugli emendamenti all’articolo 1. Ma, mi domando, al di là delle opposte posizioni espresse a quel proposito dalle forze politico-parlamentari, esiste o no un dilemma di carattere generale da discutere insieme?
E il dilemma non è: fiducia o non fiducia, anche perché non è mai stata affrontata, neppure dinanzi alla Corte, una obiezione di incostituzionalità della fiducia.
C’è però stato, nell’esperienza italiana, ricorso alla fiducia in occasioni e in modalità molto diverse tra loro. Quali forzature può implicare e produrre il ricorso a una fiducia che sancisca la totale inemendabilità di una proposta di legge estremamente impegnativa e delicata?
E’ questo il punto che ho sollevato con le riserve e posizioni espresse nella vicenda concreta che sta ormai concludendosi in sede parlamentare. è questo che mi premeva assai più che auspicare qualche modifica del testo. In effetti, l’auspicio che si eliminasse l’ultima sopravvivenza della legge Calderoli promulgata nel 2005 non partiva da presunzioni di incostituzionalità della clausola relativa alla indicazione, in sede di procedimento elettorale, dei nomi del “capo della forza politica” e soprattutto del “capo della coalizione”.
Quell’auspicio partiva dall’esperienza da me fatta come Presidente della Repubblica degli equivoci che di lì erano scaturiti sul piano degli equilibri costituzionali, adombrando un’elezione diretta del Presidente del Consiglio.
Il punto critico era dunque ai miei occhi quello, ripeto, della totale inemendabilità della proposta di nuova legge elettorale.
Ora, sia chiaro, e non dovrebbe esserci necessità di ricordarlo, nessuno più di me poteva auspicare, all’unisono con il Presidente Mattarella, l’approvazione da parte del Parlamento, la più largamente condivisa, di una nuova legge elettorale. Questa, per circostanze ben note, era divenuta urgente, anche se dovremmo essere consapevoli dell’anomalia di troppi, frequenti cambiamenti in Italia di una disciplina che dovrebbe essere, ed è generalmente in Europa, costante per un lungo periodo. E non essere rivista alla vigilia di elezioni politiche generali.
Siamo sicuri che quella ora in votazione abbia un fondamento sufficientemente solido da proiettarsi in un orizzonte di ragionevole durata?
Ben prima di essere eletto Presidente, e poi nell’esercizio del mio mandato, avevo sollecitato e poi assunto come obbiettivo fondamentale nell’interesse del Paese l’adozione sia di una nuova legge elettorale sia della riforma della seconda parte della Costituzione.
Ma mi trovai dinanzi a un nulla di fatto, in tutta la legislatura 2008-2013, nonostante la formale condivisione di quegli obbiettivi da parte di partiti di entrambi gli schieramenti e a dispetto di promesse fatte e non mantenute.
Nel merito, ho apprezzato la scelta di fondare la nuova legge elettorale su un mix di proporzionale e maggioritario, nella scia della legge Mattarella del 1993, dalla quale sarebbe stato coerente mutuare anche la netta distinzione tra le candidature nei collegi e quelle nelle liste dei partiti. Davvero, non un semplice tecnicismo.
Infine, singolare e sommamente improprio ho giudicato il far pesare sul Presidente del Consiglio la responsabilità di una fiducia che garantisse la intangibilità della proposta in quanto condivisa da un gran numero di partiti.
Il Presidente Gentiloni, sottoposto a forti pressioni, ha dovuto aderire – e me ne rammarico – a quella convergente richiesta, proveniente peraltro da quanti avrebbero potuto chiedere il ricorso alla fiducia non già su tutte le parti sostanziali della legge, ma sui punti considerati determinanti, cosa che non ebbero la lucidità o il coraggio di fare.
E in definitiva ho compreso la difficoltà in cui si è trovato un Presidente del Consiglio che ho stimato e stimo per il modo in cui ha guidato e guida il Paese rafforzando la posizione dell’Italia come interlocutore valido sul piano europeo e internazionale.
Altro tema generale che si è, in rapporto a questa vicenda, ripresentato e resta per tutti noi da meditare è quello del come contrastare forme di ostruzionismo dilatorio o paralizzante in Parlamento.
Il tema è stato oggetto di una lunga storia in Italia, attraverso efficaci interventi già negli anni della Presidenza Iotti alla Camera. In verità su quella strada si sarebbe potuto andare più avanti se non fossero, ad esempio, rimasti sempre nel cassetto i progetti di riforma dei regolamenti parlamentari. Ma è corretto sostenere che ormai una linea anti-ostruzionistica può affidarsi solo a mezzi estremi, come il vanificare ogni ricorso all’istituto del voto segreto e il negare ogni libero confronto emendativo? E ciò a prezzo di qualunque costrizione di diritti e di ruolo del Parlamento e dei singoli parlamentari? Conviene che ci pensiamo bene tutti.
Si sa bene qual è stata la mia identificazione, potrei dire per un’intera vita, con la causa del fondamento parlamentare della nostra democrazia costituzionale. Ma è stato per me essenziale e tale resta la necessità, in pari tempo, di misure e comportamenti miranti a una maggiore funzionalità, efficienza, produttività nello svolgimento dei lavori parlamentari anche attraverso lo sveltimento e la credibilità dei tempi dell’esame di ogni provvedimento nelle Camere. Senza che il Parlamento stesso esorbiti dalle sue funzioni.
Tutto questo è essenziale anche per contrastare rigurgiti di una campagna anti-parlamentaristica che conta tristi precedenti storici in Italia.
Al punto in cui siamo, occorre guardare avanti, alla necessità di salvaguardare due beni vitali per l’Italia: la stabilità di governo e lo sviluppo di una funzione assertiva e costruttiva del nostro Paese nel processo di integrazione e unità dell’Europa cui è legato fondamentalmente il nostro comune futuro.
Più in generale vorrei richiamare il modo in cui nell’estate 2011 cercai di trarre le principali lezioni dall’esperienza del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Lo feci parlando a una vasta assemblea di giovani, nel contesto indipendente del Meeting di Rimini. Mi impegnai lì in un discorso di ampia prospettiva, oltre i tradizionali steccati politici: occorre mirare, dissi, a un grande sforzo collettivo – nato da un comune esame di coscienza – come quello da cui scaturì, dopo la Liberazione dal nazifascismo, la ricostruzione democratica, materiale e morale del nostro Paese. Cui si accompagnò la salvaguardia dell’unità nazionale messa in questione da impulsi separatisti e da pressioni di paesi confinanti.
Ancora adesso è la stessa drammaticità delle sfide, aggiunsi, del nostro tempo a rappresentare la molla per procedere in quella direzione.
Si richiede però più oggettività nelle analisi e nei giudizi, più apertura e meno insofferenza verso le voci critiche e le opinioni altrui.
C’è da risalire la china della sedimentazione, in questi decenni, nella sfera della politica, di chiusure, di faziosità, di derive verso meri scontri di potere, e anche di personalismi dilaganti come non mai in seno ad ogni parte.
La prospettiva, ribadisco oggi, non può essere che una: un nuovo senso di comune responsabilità, al di là delle alterne vicende della competizione politica democratica, e quindi della collocazione, in ciascun periodo, dei singoli partiti in maggioranza o all’opposizione. Solo così possiamo fare i conti con la vera e propria crisi di sistema che stiamo vivendo, in Italia e altrove.
Come ha di recente scritto uno dei nostri maggiori studiosi e analisti dei fondamenti e dei percorsi della politica, ci dibattiamo in quello che è perfino, in qualche modo, un “nuovo caos”, di fronte a fenomeni come il prevalere delle “particolarità dei sentimenti e delle passioni”, di psicosi di allarme e paura e di istinti di autodifesa: quasi che – secondo le parole dello studioso – “la democrazia stesse perdendo la ragione”, e perdendo così irrimediabilmente se stessa.
E’ dunque il momento di sollevare lo sguardo dallo scontro quotidiano, dalle sue angustie e dalle sue nevrosi di “fine legislatura”.
In questo spirito mi pronuncio, con tutte le problematicità e le riserve che ho cercato di motivare, per la fiducia al governo Gentiloni, per salvaguardare il valore della stabilità, per consentire, anche in questo scorcio di legislatura, continuità nell’azione per le riforme e per una più coerente integrazione europea, e mi pronuncio per la fiducia per sostenere scelte del Presidente del Consiglio fondate sulle prerogative attribuitegli dalla Costituzione e dalle leggi.