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Intervista a Veltroni sul Corriere- 28 agosto

By 28/08/2007Politica

Corriere della Sera – 28 agosto 2007 – Intervista a Veltroni – Aldo Cazzullo

ROMA – Sindaco Veltroni, pure i suoi vecchi amici dicono che lei sia troppo buono. Che voglia piacere a tutti e non scontentare mai nessuno.

«Chi lavora con me sa che sono abbastanza tosto, molto più di quanto dicano. Non odio nessuno, ho rispetto e curiosità per gli altri, preferisco unire anziché dividere. Ma non ho mai avuto timore di esprimere idee controcorrente; a cominciare, dieci anni fa, dall'idea del Partito Democratico. E non ho timore di decidere. Altrimenti non avremmo chiuso 28 campi rom spostando 15 mila persone. Né avremmo concesso, unici in Italia, 1500 nuove licenze per i taxi. Si ascolta, si consulta, si tratta; ma, alla fine, si decide».

È per questo che dopo le ferie ha impresso un'accelerazione sul
Partito Democratico, dicendo: o così, o senza di me?
«L'ho fatto perché sono consapevole della posta in gioco. Il Partito
Democratico è la più grande possibilità, se non l'ultima, che si
presenti all'Italia per costruire una moderna forza riformista
emaggioritaria, che possa produrre la grande innovazione di cui il
paese ha bisogno. Si deve sentire che si sta aprendo un ciclo, come
quando sono andati al governo Reagan, Clinton, Sarkozy. L'Italia
rischia di morire di vecchiaia. Di parole. Di occasioni perdute. Di
veti. Di conservatorismi. Come ho detto al Lingotto, in un passaggio
che non è stato colto ma per me era decisivo: non parlo da uomo di
parte, parlo da italiano. Altrimenti non mi sarei impegnato in prima
persona. Stiamo assistendo a qualcosa di straordinario, di inedito
per la cultura politica italiana, di originale per la storia del
nostro paese e non solo».
Addirittura?
«Quando mai è accaduto che un partito nascesse per fusione anziché
per separazione, e in questo modo, con le primarie e la costituente
eletta dai cittadini? La nostra storia ha avuto pochi altri momenti
cruciali come questo. Penso alla Resistenza, una pagina
straordinaria che vide scalpellini e intellettuali, muratori e
sacerdoti battersi insieme per la libertà di altri, e un panettiere
di 18 anni lasciare sul muro della cella il saluto alla madre prima
di andare amorire. L'alzabandiera a scuola va bene,madev'essere
accompagnato dallo studio delle lettere dei condannati amorte della
Resistenza. Invece quest'estate mi si è accapponata la pelle a
leggere sui giornali di destra la denigrazione di quella stagione,
che preparò la rinascita del dopoguerra. E penso agli Anni '60: la
fine del gelo, l'arrivo della primavera, che a tutti sembrava di
vedere dal tettuccio apribile della 500. Poi il paese è stato
percorso da energie politiche confuse e contraddittorie».
Sugli Anni '80 i suoi due rivali, Letta e Bindi, hanno idee opposte.
«Guardi, ogni volta che tre persone di sinistra si incontrano in una
casa, a un congresso, in vacanza, parlano sempre del passato, spesso
con qualche forma di rimpianto. Come se il passato fosse il brodo
naturale in cui ritrovarsi ogni volta. Non partecipo al dibattito.
L'Italia ha bisogno di recuperare il senso di una motivazione
collettiva, attraverso l'ancoraggio a un sistema di valori, a
un'idea di democrazia che non è veto e non è "mors tua vita mea".
Tanti italiani si ribellano all'incapacità della politica di
decidere, e ne trovano insopportabili i toni. E' paradossale che tra
gli schieramenti ci sia più odio oggi di quando si combatteva la
guerra fredda. Perché questo scandalo se Lang e Attali accolgono la
chiamata di Sarkozy? Qual è il problema?».
Lei chi chiamerebbe, oltre a Gianni Letta?
«Ci sono molte persone che stimo nel centrodestra. Beppe Pisanu.
Stefania Prestigiacomo. Letizia Moratti. Intellettuali come Franco
Cardini, uomo di straordinaria levatura. Al centrodestra rivolgo un
appello: c'è un pacchetto di riforme in commissione Affari
costituzionali, dal rafforzamento dei poteri del premier alla
riduzione del numero dei parlamentari, su cui possiamo ritrovarci
d'accordo; perché non lo si approva? In Italia c'è un desaparecido,
il senso degli interessi generali; quello che aveva Trentin e hanno
Ciampi e Napolitano. Ci si fischia, ci si insulta con battute di
quart'ordine, anche per colpa dei media: i politici sanno che per
finire sui giornali basta dare all'avversario del cretino. Un giorno
Tremonti si paragona a Gandhi, il giorno dopo Bossi vuole
imbracciare i fucili. Parole gravissime;ma ancora più grave è il
silenzio di chi gli sta accanto. Se non altro, Caruso è stato
zittito dal suo stesso partito».
Lei però parla di conservatorismi anche a sinistra. Per superarli
occorrono nuove alleanze? Davvero il PD potrebbe aprire al centro o
andare da solo?
«Il centrosinistra ha vinto queste elezioni e governerà in questi
anni. Penso sinceramente che questo governo sia quanto di meglio
possibile, nelle condizioni date. Ha ottenuto grandi risultati sul
risanamento, ha raggiunto un accordo importante sul welfare. Penso
però che in prospettiva occorra una maggiore coesione programmatica.
Il programma di governo non dev'essere di 280 cartelle, ma di 10
punti, chiari, netti, identificabili. Enon è normale che a ottobre
forze della maggioranza partecipino a due manifestazioni
contrapposte, entrambe contro il governo. Io mi auguro che la
coalizione di centrosinistra sia consapevole di questo. In ogni
caso, il Partito Democratico deve sviluppare una sua vocazione
maggioritaria, costruendo, in un rapporto diretto con il paese, un
programma e una identità che ne espandano i confini. Attraverso un
grande choc di innovazione. Una semplificazione della vita pubblica.
Il rilancio delle infrastrutture. Una sterzata profonda verso la
formazione, la ricerca, l'innovazione. E una riforma del patto
fiscale».
Quale riforma?
«Nei prossimi giorni avanzerò una serie di proposte per riformulare
il patto tra lo Stato e i cittadini. Lo sciopero fiscale è una
follia. Ma non possiamo nasconderci la reazione che il fisco così
com'è oggi genera negli italiani. È evidente che il patto è in
crisi, e ne occorre un altro per un fisco meno oppressivo e uno
Stato più leggero ed efficiente. Un cittadino del Nord-Est che paga
le tasse e attende la Pedemontana da anni, capisce che i suoi soldi
non sono spesi bene».
Come un commerciante lasciato in balia di usura e pizzo, con i
clandestini che vendono merci contraffatte davanti al suo negozio,
come accade anche a Roma.
«Lasciare il tema della sicurezza alla destra sarebbe un regalo
immeritato. Si potrebbe dire che nei cinque anni in cui la destra ha
governato non è accaduto nulla: le rapine nelle ville c'erano prima
e ci sono ora. E tra i proprietari delle ville ci sono imprenditori
e anche operai che hanno coronato il sogno della vita, e hanno
diritto alla sicurezza. Dobbiamo lavorare per la prevenzione: c'è un
nesso tra delinquenza e povertà, e per questo occorre affrontare la
questione sociale che va crescendo in Italia, garantire il diritto
alla casa, assistere gli anziani che scivolano sotto la soglia di
sussistenza, integrare gli immigrati onesti. Ma dobbiamo lavorare
anche per il presidio del territorio. E per contrastare quanti,
stranieri o italiani, violano la legalità. Occorre essere molto duri
e molto severi: l'effettività della pena dev'essere una cosa seria.
Non è possibile che un truffatore si arricchisca dalla galera.Oche
un incendiario in galera non vada neppure.Oche circoli liberamente
chi si è macchiato di pedofilia. Dove per pedofilia intendo non solo
la violenza sui minori, ma anche il possesso e lo scambio di
materiale pedopornografico».
Che fare in questi casi?
«Occorre che queste persone siano messe nelle condizioni di essere
riconoscibili. Se per sei mesi un medico, un dirigente, un impiegato
è costretto ad affidarsi ai servizi sociali, dovrà pur spiegare
imotivi, renderli pubblici».
Sta dicendo che la privacy dei pedofili non le interessa?
«È così. Mi interessa l'integrità dei bambini. Combatto una società
predona, in cui gli adulti hanno a disposizione della propria
capacità di stupirsi l'integrità e l'esistenza stessa di un bambino.
Combatto una società che fa carta straccia dei valori, in cui il
dramma di una ragazza uccisa diventa spettacolo, dove com'è accaduto
a Londra quest'estate sei minorenni sono stati uccisi da loro
coetanei, o com'è accaduto a New York una ragazza viene violentata e
bastonata per un'ora e mezza senza che nessuno intervenga. Si è
voluta la società dell'io, in cui il prossimo è solo un concorrente;
eccone i risultati. E non accetto prediche da chi ha alimentato
questo Zeitgeist, questo spirito del tempo».
Si riferisce anche alla tv?
«Sì. In questi 15 anni si è costruito un grande circo Barnum che
oggi aGarlasco mostra il suo volto più orrendo. Non soltanto la Rai,
ma tutto il sistema televisivo pubblico o privato è chiamato a un
profondo cambiamento. Chi fa i palinsesti deve avere più fiducia in
se stesso e negli italiani. Perché per una pro loco che invita
Corona ci sono cento ragazzi che vanno in piazza a protestare, a
reclamare il diritto a una vita intelligente».
Fisco. Sicurezza. Nuovo ciclo. Il suo pare un programma di governo.
Filippo Andreatta ha esplicitato la voce che percorre il Palazzo: un
bis del '98, un'altra sostituzione di Prodi in corsa. Stavolta, con
lei.
«Da quando è in campo il Partito Democratico, il governo è più
forte. L'accordo sulle pensioni e sul welfare non sarebbe stato
possibile, se alla spinta conservatrice che veniva dall'altra parte
della coalizione non si fosse contrapposta da parte nostra una
spinta innovatrice. Com'è ovvio, il programma di un nuovo partito va
oltre i confini di una legislatura. Ma il mio obiettivo è
consolidare Prodi, non sostituirlo».
Quindi lei esclude di poter andare a Palazzo Chigi senza aver vinto
le elezioni?
«Lo escludo assolutamente. Non esiste al mondo che questo possa
accadere. Spero, mi auguro, lavoro perché il governo trovi la forza
di sviluppare il suo operato, che la legge finanziaria restituisca
uno slancio verso la crescita e lo sviluppo. E che il governo riesca
a trovare un accordo per la nuova legge elettorale».
Le va bene anche il modello tedesco?
«Il modello tedesco ha il vantaggio di ridurre la frammentazione, ma
il grande svantaggio che le alleanze si fanno dopo il voto, non
prima. Si può scegliere tra uno dei modelli europei consolidati. La
mia preferenza va a quello francese. Ma ricordo che il ministro
Chiti aveva fatto un buon lavoro, ottenendo un vasto consenso sulla
sua bozza. Si può ripartire da lì. Altrimenti verrà il referendum».
Da cui uscirebbe un legge che assegna il premio di maggioranza al
partito più votato anziché alla coalizione. Funzionerebbe?
«Sarebbe comunque meglio della legge che ha prodotto un Parlamento
nominato anziché eletto, in cui tre senatori contano più del voto di
milioni di cittadini».
Nella campagna per le primarie accade una cosa strana: coloro che
fino a poco fa difendevano i vecchi partiti sostengono lei, e gli
ulivisti che la pensavano come lei la avversano. Rosy Bindi aveva
detto: se Veltroni si candida, lo voto. Poi…
«Ricordo. Avevo ascoltato autentici peana, prima che decidessi di
candidarmi. Ma per Rosy ed Enrico continuo a non provare altro che
stima e affetto. So che talora si possono dire cose che non si
pensano, perché le si considerano opportune. So che dopo il 14
ottobre torneremo a lavorare insieme. Ora però sento usare argomenti
e stilemi come se io fossi il loro avversario nella campagna
elettorale per le politiche. La nostra gente apprezza l'unità. E mi
lasci dire, ame che com'è noto non sono un beniamino
degli "apparati", che trovo straordinaria la generosità con cui
militanti e dirigenti hanno accettato di sciogliersi in un partito
nuovo ».
Non ha ripensamenti? È stato davvero opportuno candidarsi?
«Non era conveniente; era giusto. C'ho riflettuto a lungo. Ne ho
parlato in famiglia, con gli amici più stretti. Mi sono
risposto: "Sono dieci anni che rompi le scatole a tutti con il
Partito Democratico, e ora che ti chiedono di guidarlo che fai?
Fischietti, ti giri dall'altra parte?". Mi sono guardato allo
specchio, e mi sono risposto che non avevo scelta. L'occasione è
storica, non per me né per la nostra parte politica; per il paese».
Ha ancora i dischi di De Gregori?
«Voglio talmente bene a Francesco, la nostra amicizia è così solida,
così forte, così reale, che nulla potrà mai mutarla».

Aldo Cazzullo

 

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