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La Repubblica 10 aprile
"Il Pd volerà se abbatte le oligarchie"
Gentiloni: mettiamo la scelta del leader nelle mani dei militanti
ROMA – Ministro Gentiloni, i sondaggi danno il Pd solo al 25 per
cento, e quindi sotto la somma attuale di Margherita e Ds. Sta
nascendo senza appeal il Partito democratico?
«Non giriamo attorno alle difficoltà, e chiamiamole per nome. La
difficoltà è fondare un nuovo partito, portatore di riforme
profonde, e allo stesso tempo trovarsi al governo. Non solo perché i
grandi progetti di cambiamento quasi sempre sono nati
all'opposizione, con le mani libere per la radicalità che serve in
queste grandi operazioni di rinnovamento. Ma anche perché le forze
riformiste scontano le difficoltà che abbiamo come governo».
«Aldilà delle questioni organizzative, c'è una difficoltà politica:
non riusciamo a declinare il Pd al futuro. Declinandolo al passato,
solo come compimento unitario della storia degli ex dc o degli ex
pci, quasi fosse un partito di ex, non costruiremo la forza
necessaria. Mi auguro che i congressi alle porte siano l'ultima
occasione in cui le origini contano più della destinazione».
Ce l'ha con gli ex popolari del suo partito?
«La Margherita arriva al congresso con un accordo unitario ma
certamente affaticata dal riaffiorare delle componenti originarie. E
più che il riemergere di identità, che sono preziose, ho visto in
queste settimane il riapparire di consuetudini e appartenenze di
ceto politico. Del resto, non c'è da stupirsi. Anche per la
Margherita se non prevale il progetto, riaffiorano vecchie logiche.
Soprattutto nel nostro partito, la cui forza non è negli apparati ma
nel rappresentare già la fusione di diverse identità».
Ha ragione allora Parisi, che pure è in polemica con Rutelli, che
per protesta andrà al congresso da semplice militante?
«Parisi verrà da militante, ma anche da ministro della Difesa, con
quel grado di libertà che va riconosciuto ai soci fondatori.
Tuttavia non vorrei che la denuncia dei rischi diventasse prevalente
sulla battaglia per rendere la Margherita e il Pd più adeguati agli
obiettivi. Siamo al conto alla rovescia. Nessuno può tirarsi
indietro».
Neanche Veltroni, che parla di fusione a freddo?
«Walter sottolinea questo rischio, e anch'io non ho visto finora un
processo tumultuoso ma una specie di prova di nuoto sincronizzato,
con tante belle statuine. Aggiungo che nella costruzione del Pd
soltanto come intesa tra ex comunisti e cattolici-democratici, si
sta sottovalutando il ruolo della cultura liberaldemocratica, che
pure è uscita vincente dalle prove terribili del Novecento. Ma tutti
questi rischi si evitano in un solo modo: facendo salpare la nave,
orientando la prua verso il futuro e ponendo le basi per un
confronto finalmente aperto sulla leadership».
Partendo dalla Costituente, con le primarie?
«Dopo i congressi, convocazione della Costituente in tempi molto
ravvicinati: luglio o al massimo ottobre. Ma è fondamentale
l'apertura di un processo fuori da Quercia e Dl. Con le primarie? E'
un'ipotesi, ci si sta lavorando. Ma non è tanto una questione di
regole. Le oligarchie tentano comunque di arroccarsi, di sfruttare
le rendite di posizione. Perciò, l'antidoto vero dovrebbe essere
di "movimento"».
Che vuol dire?
«L'ingresso in scena di una generazione politica che scommette di
potersi impegnare nel Pd. Una spinta nuova, così come 15 anni fa una
generazione decise di investire politicamente nei comuni, nelle
città, negli spazi aperti dalle nuove leggi elettorali».
Una nuova generazione che sta dentro o fuori i partiti?
«Fuori e dentro, quel che conta è che faccia irruzione e non sia
cooptata. Non possiamo immaginare l'apertura del Pd come un
intreccio fra oligarchie di partito e qualche esperto. Io penso
appunto a tutta una fascia generazionale, fra i 30 e i 40 anni, che
già è in pista ma che decide di lanciarsi nella nuova avventura
politica. La grande occasione potrebbe essere appunto l'assemblea
costituente e, successivamente, anche la scelta della leadership del
nuovo partito. Il leader sarà anche il nostro candidato premier. E
andrà individuato con un meccanismo che a mio giudizio dovrà
rovesciare lo schema che fin qui ci siamo portati dietro».
Anticipi la sua idea, ministro.
«Finora la scelta del leader è avvenuta in sede politica. E'
accaduto con Prodi nel '96, quindi con Rutelli nel 2001. Nel 2006 un
grande passo avanti: la designazione di Prodi compiuta
dall'establishment poi confermata dalla straordinaria mobilitazione
popolare delle primarie. Ma secondo me è arrivato il momento di
invertire il percorso: sia la base del Pd ad essere investita delle
decisioni, a scegliere la leadership fra diversi candidati, in
competizione fra di loro. Una cosa che non è mai accaduta negli
ultimi dieci anni. Uno shock democratico per il Partito democratico.
Se vogliamo evitare la fusione a freddo».