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La nota di Enrico Morando su Dpef

By 09/10/2008Maggio 27th, 2024Politica

Relazione su Nota di Aggiornamento del DPEF 2009-2013- intervento in aula

Tutti i parlamenti del mondo, in queste ore, stanno discutendo della drammatica crisi finanziaria in atto, delle sue cause profonde ed immediate, delle scelte che le istituzioni pubbliche e le autorità di regolazione dovrebbero mettere in atto per farvi fronte. Tutti i parlamenti, meno il nostro.

Per questo, voglio tornare a rivolgere al Governo un invito pressante: ritiri per integrare – o integri senza ritirare – la Nota di Aggiornamento presentata il 26 settembre scorso, e la utilizzi per dire al Parlamento e al Paese quali scelte ha già compiuto o intende compiere – nell'ambito nazionale e, soprattutto, nelle sedi europee ed internazionali – per cercare di limitare gli effetti della crisi finanziaria in atto sull'economia reale.

Nella Nota di Aggiornamento  – che pure è stata presentata qualche giorno fa, a crisi dei mercati finanziari pienamente in corso – il Governo ignora completamente il tema. Anzi. Individua tra i mutamenti della realtà che obbligherebbero ad aggiornare il DPEF di Luglio fattori di crisi – come il prezzo dei prodotti energetici e delle materie prime – che in realtà nel frattempo hanno cambiato di segno (e in ogni caso erano perfettamente noti a Luglio), mentre ignora la crisi finanziaria globale.

Come si giustifica questo silenzio?

Va esclusa la debolezza delle capacità previsive, anche perché – almeno alla fine di settembre – non c'era più bisogno, in questo campo, di ricorrere alle portentose doti divinatorie dell'attuale Ministro dell'Economia. Né mi sembra convincente l'argomento della cautela, nel rapporto con mercati nervosi e volatili: quella che si viene diffondendo è una gravissima crisi di fiducia, e dubito che il silenzio delle autorità politiche possa contribuire a ripristinarla.

Dunque, il Governo parli attraverso la riscrittura della Nota di Aggiornamento e faccia propri gli indirizzi che il Parlamento vorrà fornirgli, attraverso l'apposita Risoluzione. Sia chiaro, non sto dicendo che il Governo non abbia fatto e detto nulla: ho preso atto positivamente delle rassicurazioni e delle garanzie sui depositi dei risparmiatori. Credo di poter dire che è apprezzabile l'orientamento del Governo per una iniziativa europea.

Io sto dicendo altro: sto dicendo che il rischio che stiamo correndo è tale da pretendere un'iniziativa organica delle autorità politiche volta a scongiurarlo. E che questa iniziativa deve essere sviluppata dal Governo sulla base di un atto di indirizzo parlamentare. Che deve essere generale, per poter essere gestito con la necessaria flessibilità, ma non generico. Un atto di indirizzo che noi del Partito Democratico siamo pronti a concordare col Governo, per dare il senso dell'impegno corale del Paese di fronte alla tragedia incombente.

È questo il senso della Risoluzione che abbiamo presentato, distinta in due parti. Nella prima, cerchiamo di rispondere con precisione alla domanda: quale iniziativa può essere sviluppata, e a quale livello, per ridurre l'impatto della crisi finanziaria sull'economia reale, sui posti di lavoro, sui redditi delle famiglie, sulle imprese italiane? La nostra risposta è chiara: ci vuole una iniziativa europea, che vada ben oltre il coordinamento promesso e non attuato, volta a ricapitalizzare le banche, così da riportare un po’ di fiducia e da impedire il collasso del credito verso imprese e famiglie.

Nella seconda parte della Risoluzione, sosteniamo che la politica economica e fiscale programmata dal Governo nel DPEF di Luglio e confermata dalla Nota dovrebbe cambiare di segno: da restrittiva e prociclica – come il DPEF programma  che diventi nel 2009 e rimanga per tutto il periodo di programmazione  – a responsabilmente espansiva e anticiclica, come abbiamo proposto – inascoltati – già con gli emendamenti al Decreto 112 del Luglio scorso.

Rapidamente, sul primo punto.

Chi ha parlato nei mesi scorsi  di Europa estranea alla tempesta e di basso rischio di trasferimento all'economia reale, si è sbagliato. E di grosso. La crisi finanziaria in atto nell'economia globale investe direttamente l'Europa e – determinando il dissolversi della fiducia nei mercati – può causare gravi danni all'economia reale, con la distruzione di un gran numero di posti di lavoro e il fallimento di migliaia di imprese.

L'interconnessione e l'interdipendenza tra le banche e gli intermediari finanziari europei sono tanto profonde e tanto diffuse da rendere interventi di salvataggio e di stabilizzazione sviluppati alla dimensione nazionale del tutto sproporzionati rispetto all'obiettivo, quando non addirittura controproducenti, per gli imprevedibili effetti indotti presso gli altri partners europei. L'esempio di ciò che sta accadendo nel rapporto tra Regno Unito e Irlanda è lì da vedere.

D'altra parte, gli stati nazionali non possono sviluppare interventi di salvataggio o di prestazione di garanzia di ultima istanza su singole banche, poiché questa linea di intervento è al tempo stesso inefficace e foriera di nuove difficoltà, per l'azzardo morale indotto. Non solo. Di fronte a scelte nazionali di prestazione di garanzie a carico del bilancio pubblico, viene fatto di chiedere: dove sono, negli esausti bilanci pubblici degli stati nazionali, le risorse necessarie per dare un seguito a quegli impegni, quando ciò si rivelasse necessario?

In Europa il principale problema sembra essere quello della (troppo) elevata leva finanziaria delle grandi Banche, capace di provocare un effetto di sottocapilitazzazione di tutto il sistema. Ecco perché è indispensabile che sia l'Unione Europea nel suo complesso – superando veti e contrapposte pregiudiziali di ogni singolo Stato membro, manifestatisi ancora in occasione dell'ultimo vertice a Quattro, conclusosi con un drammatico nulla di fatto – a sviluppare un'immediata iniziativa volta alla ricapitalizzazione del settore bancario, o attraverso l'iniezione diretta di fondi pubblici, o attraverso l'obbligo di convertire obbligatoriamente il debito in capitale azionario (ad esempio, attraverso la Banca Europea degli Investimenti).

Naturalmente, questo intervento deve accompagnarsi a quello che conduce ad un immediato ridisegno della regolamentazione dei mercati finanziari e delle istituzioni bancarie europee, andando decisamente oltre le inefficaci forme di regolamentazione  nazionale ancora in vigore. Si dovranno a quel punto concordare con gli altri Paesi membri – e in particolare con i partners dell'Area Euro – le modificazioni al Patto di Stabilità e di Crescita che sono indispensabili per l'attuazione di questo intervento di stabilizzazione e consolidamento.

Sul secondo punto, noi partiamo da ciò che è ben rappresentato – in modo che non lascia spazio a dubbi – nel grafico di pag. 31 (Grafico II.2.3) dello Studio dei Servizi del Bilancio di Camera e Senato. Il grafico dà conto della direzione della politica di bilancio rispetto alla posizione dell'economia italiana nel ciclo.

Lì si vede bene che la politica di bilancio dell'Italia, che nel 2008 si è mantenuta ancora in un'area di ragionevolezza – espansione fiscale in sede di ciclo negativo, cioè di bassa crescita – è programmata dal Governo collocarsi stabilmente nel quadrante della irragionevolezza – in Europa, si è usato in passato il termine "stupidità" – cioè nel quadrante della politica di restrizione fiscale durante il ciclo negativo. Ininterrottamente, fino al 2011, con un lievissimo spostamento positivo nel 2012 e '13.

Noi pensiamo che ci sia bisogno di una svolta. E, nella Risoluzione, ne delineiamo i contorni. Subito una riduzione – e l'interna redistribuzione tra i diversi soggetti economici e sociali – della pressione fiscale, a partire dalla restituzione del fiscal drag, attraverso un aumento della detrazione IRPEF per lavoro dipendente (per un onere complessivo di 3 miliardi di Euro nel 2009); una riduzione del prelievo fiscale sulla quota di salario da contrattazione di secondo livello (per un onere di 1,5 miliardi di Euro), così da favorire – anche per questa via – la positiva conclusione del confronto in atto per la riforma del modello contrattuale; e una specifica detrazione per le donne lavoratrici con figli (l'avvio della Dote fiscale dei figli, per un onere iniziale di 1,5 miliardi).

Proponiamo di finanziare questo intervento attraverso la riduzione della spesa corrente e la riqualificazione della Pubblica Amministrazione, adottando le tecniche operative e le procedure previste dal ddl n. 746, primo firmatario Ichino, ricorrendo ad una sistematica opera di comparazione tra le performances dei diversi segmenti, dei singoli dirigenti, degli uffici e dei singoli dipendenti della Pubblica Amministrazione, così da ottenere un generale adeguamento ai migliori risultati con le minori spese. Pensiamo si debba proseguire nell'opera di riduzione dell'evasione e dell'elusione fiscale, impiegando ogni Euro recuperato per la riduzione della pressione fiscale sui contribuenti leali. Proponiamo di rifinanziare investimenti pubblici in infrastrutture materiali e immateriali (ricerca, formazione, telecomunicazioni), anche utilizzando forti economie di spesa corrente primaria.

In questo contesto – cioè nel contesto di una politica al tempo stesso rigorosa ed anticiclica – potremo sviluppare come Paese – assieme, maggioranza e opposizione – l'iniziativa volta ad ottenere un impegno della Unione Europea – e dell'EuroGruppo in particolare – per il finanziamento di progetti europei in infrastrutture materiali e immateriali (in larga parte già definiti in sede comunitaria) attraverso l'emissione di Eurobonds garantiti sul merito del credito dell'Unione Europea in quanto tale. Una proposta che – avanzata in tempi ormai lontani da Jacques Delors, davvero lungimirante – riemerge ciclicamente nel dibattito di politica economica e viene alla fine accantonata, magari a favore di allentamenti del Patto di Stabilità per investimenti pubblici nazionali, che rischia di essere parte del problema, più che credibile soluzione dello stesso.

Roma, 7 ottobre 2008

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MAGDA NEGRI

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