Segnaliamo su "Il Riformista" di oggi 15 Febbraio l'articolo di Claudia Mancina
Il centrosinistra oggi
non può che essere il Pd
di Claudia Mancina
Vorrei rispondere a Emanuele Macaluso, anche se ovviamente non mi aspetto che cambi opinione. Del resto la sua posizione sul Partito democratico non è di oggi, ma è stata espressa e argomentata con tenacia e acutezza già da molto tempo. La parola sinistra viene cancellata, dice Emanuele, e con lei la tradizione socialista. La prima cosa non è vera: la parola sinistra resta come centrosinistra, che è esattamente quanto ha fatto Blair, che quando ha cominciato a parlare di New Labour ha parlato anche di centre-left. E non per caso. Siamo o no convinti che le questioni sociali si pongano oggi in modo radicalmente diverso da come si ponevano nel ventesimo secolo? Liberalizzazioni contro nazionalizzazioni; riduzione delle tasse contro spesa pubblica; workfare contro welfare assistenziale; diritti civili; flessibilità, licenziabilità, meritocrazia. È un modo completamente diverso di declinare l’eguaglianza e il suo rapporto con la libertà.
Tutto ciò sta dentro la tradizione socialista? È ben difficile sostenerlo. Si può certamente affermare che è una elaborazione della tradizione socialista, che mette da parte gli aspetti più statalisti e keynesiani per sviluppare quei tratti di socialismo liberale che in verità sono sempre stati minoritari. Questa evoluzione è propria dei partiti socialisti e socialdemocratici in tutti i paesi, con l’eccezione parziale della Francia; è qui che si colloca il futuro Partito democratico. Quei partiti, però, possono permettersi di evolvere senza cambiare nome, perché sono stati da sempre partiti socialisti. Il piccolo particolare, troppe volte coperto di ambiguità, è che la storia della sinistra italiana è stata diversa. Macaluso parla di tradizione socialista, ma pensa alla storia del Pci, o almeno di una sua anima. E anche se pensasse alla storia del Psi, non potrebbe non vederne i limiti, non solo quantitativi. La storia della sinistra italiana è stata dominata dalla prevalente forza dei comunisti e dal sanguinoso conflitto tra comunisti e socialisti. Anche a seguito di queste caratteristiche della sinistra, si è sviluppata in parallelo la storia della Dc, in cui pure c’era una sinistra, ricca di forze e soprattutto di idee. L’inizio degli anni Novanta ha segnato la fine di queste tre tradizioni politiche. È o non è questa la storia italiana? È o non è completamente diversa dalla storia degli altri paesi europei? Non mi sto appellando a una necessità storica. C’è stato un momento nella vicenda politica recente nel quale sarebbe forse stato possibile piegare la storia in un’altra direzione. Se nel 1994, dopo la vittoria di Berlusconi, il Pds si fosse dedicato a ricostruire la sinistra secondo un modello mitterandiano; se il Partito popolare avesse deciso di collocarsi nella posizione di centro destra, come in tutta Europa, invece di spaccarsi tra destra e sinistra… Forse. Non sono storicista e penso che altre scelte fossero possibili, rispetto a quella, che accomunò allora i due avversari D’Alema e Veltroni, di andare ad una alleanza degli ex-comunisti e degli ex-democristiani. Ma quella scelta è stata compiuta, e da allora ha strutturato, nel male e nel bene, la politica italiana. Sporadici tentativi di costruire un partito socialista sono sempre abortiti, non tanto per il peso della tradizione comunista, quanto perché in contraddizione oggettiva e soggettiva con quella scelta e quelle che l’hanno seguita. Il Partito democratico è l’esito della storia di questi tredici anni. Non ci si può più chiedere se farlo o no. Ci si può solo chiedere se non sia troppo tardi. In ogni caso, se il Pd dovesse fallire, sarebbe una intera strategia politica ad arrivare al capolinea. E della sinistra non resterebbe molto.
Perché dunque fissarsi sul riferimento al socialismo? L’insistenza sul contenuto ideologico del termine socialismo non è diversa, a parti invertite, dall’insistenza della Margherita a non volerne sentire parlare. La questione non è ideologica. Il campo dei partiti socialisti è il campo del riformismo sociale e della lotta per l’eguaglianza e per la libertà di tutti e non di pochi. Su questo non c’è dubbio, e il Partito democratico non potrà, a regime, collocarsi altrove che nel socialismo europeo. Ma le resistenze della Margherita vanno comprese e accettate, per una fase. Quando ci sarà il Pd, sarà questo nuovo soggetto a prendere le decisioni politiche. E, si spera, con procedure democratiche. Né più pertinente mi sembra il riferimento polemico al compromesso storico. Non c’è niente di simile tra questo e il Pd, anzitutto per il quadro bipolare in cui oggi ci muoviamo. Ma anche per un’altra ragione, che diventa sempre più evidente. Il compromesso storico era un incontro tra massicce identità che non si proponevano affatto di farsi modificare e anzi erano destinate a separarsi di nuovo. Era per l’appunto un compromesso, un incontro a metà strada, dettato dall’emergenza. Il Pd sarà un soggetto politico nuovo nel quale si costruirà col tempo una identità politica e culturale nuova, più simile a quella dei vari centrosinistra europei. Questa è la vera sfida, che rende l’impresa appassionante per molti di noi, nonostante il grigiore burocratico con cui è portata avanti dai partiti. Allora, invece di attardarsi in questa sterile discussione sul socialismo, sarebbe il caso di chiedersi se il Pd non sia anche il modo di superare finalmente la distinzione, tutta italiana, tra laici e cattolici, che condiziona più che mai la nostra politica e l’attività di governo. E di chiedersi se l’inconsueta virulenza con cui la chiesa si sta lanciando contro i cattolici del centrosinistra non abbia anche l’obiettivo di affossare la prospettiva del Pd.