Corriere della Sera, 4.1.08 – LA SFIDA ITALIA-SPAGNA – SE LA POLITICA E' UN PROBLEMA – di MICHELE SALVATI
Non è vero che la Spagna ha superato l'Italia in termini di reddito pro capite a parità di potere d'acquisto, ci fa sapere Romano Prodi. E ci ricorda che la nostra economia è comunque più forte di quella spagnola, sia perché il reddito pro capite va moltiplicato per un numero assai maggiore di abitanti (grossomodo 59 milioni contro 41), sia perché essa dispone di una struttura industriale più robusta, articolata e competitiva. (leggi tutto)
Fa benissimo a ricordarci queste cose il
nostro presidente del Consiglio, di fronte alla tendenza degli
italiani a denigrarsi e degli spagnoli a celebrarsi. Nel dicembre
scorso, in occasione del sorpasso denunciato dai dati Eurostat,
pochi avevano sottolineato la natura convenzionale delle stime del
reddito reale pro capite e, a maggior ragione, dello stesso reddito
misurato a parità di potere d'acquisto: entrambe dipendono da
ponderazioni che lasciano spazio a risultati parzialmente
discordanti. Non troppo discordanti, tuttavia. Se l'economia
spagnola continuerà a crescere ad un ritmo doppio di quella
italiana, non passerà molto tempo (due anni, quattro?) prima che
tutte le possibili stime, quale che sia il metodo adottato,
confermino il sorpasso. Ed è questo il problema vero: che l'economia
italiana cresce poco e da troppi anni, non solo in confronto con la
Spagna, ma con tutti i Paesi con i quali ha senso confrontarci. La
parola declino è meglio lasciarla agli storici: dieci anni di
regresso rispetto a Paesi vicini e confrontabili sono cosa diversa
dalla lunga decadenza degli stati italiani, o dello stesso impero
spagnolo, tra il XVII e il XIX secolo. Già indicano, però, la
presenza di intoppi gravi nel processo di crescita che le classi
dirigenti di un Paese non hanno la capacità di identificare o la
forza di affrontare e di risolvere. Sarà pur vero che «la macchina
Italia, dopo un cambio di gomme e un rifornimento di fiducia, sta
girando ad una velocità che non raggiungeva da anni»: da un
presidente del Consiglio in carica non possiamo aspettarci altro se
non parole di ottimismo. Ma Prodi è il primo a sapere che questa
velocità è ancora insufficiente a raggiungere i concorrenti, e che
vi sono problemi gravi che non sono stati, nonché risolti, neppure
affrontati.
Fuor di metafora, a me sembra che le nostre classi dirigenti abbiano
a disposizione analisi serie degli ostacoli che frenano la crescita
del Paese: gli intoppi sono stati identificati, sono profondi ed
esigono un intervento deciso e mantenuto per un periodo non breve.
Quel che manca è la forza per attuarlo e la capacità di resistere
alle reazioni che esso può provocare. La politica non può tutto –
specie quando gli intoppi risiedono in comportamenti diffusi e in
mentalità radicate, quando la malattia è entrata a fondo nella
società – ma può molto ed è comunque l'unico strumento di cui
disponiamo. Oggi, però, la politica è parte del problema, non della
soluzione: se si vuole che essa giochi il ruolo virtuoso che ha
giocato in Spagna, è dunque dalle riforme istituzionali che bisogna
partire. Nel suo messaggio il Presidente della Repubblica ha
dedicato poco spazio alla politica, ma ha toccato il punto centrale.
Dopo aver apprezzato «lo spirito di dialogo che si è aperto sulle
riforme» egli formula un auspicio che dovremmo tutti
condividere: «Occorre assolutamente evitare che l'occasione vada
perduta».