Il Riformista, 27 aprile 2010 – «saremo leali col Governo» – Le tre partite che Fini ha già cambiato – DI STEFANO CAPPELLINI
Ha spinto la «grande riforma della Giustizia» più volte annunciata da Silvio Berlusconi verso un binario morto. Ha rimesso in discussione la «trionfale marcia» verso il federalismo fiscale. E sulle riforme istituzionali ha provocato in pochi giorni un riposizionamento di Berlusconi stesso (che ora le rivuole a larga intesa) e dell'opposizione (che adesso non le vuole più, non se a dare le carte è il premier). Può anche essere che Gianfranco Fini alla fine sarà travolto dalla reazione berlusconiana, ma intanto non è male un primo bilancio degli effetti della sua ribellione interna.
Ai tre dossier – giustizia, federalismo, riforme – che devono essere nuovamente istruiti alla luce della nuova situazione nella maggioranza è lecito sommare un altro successo tattico del presidente della Camera: l'aver trasformato la questione dei festeggiamenti – o meglio, dei mancati festeggiamenti – per il 150° anniversario dell'unità d'Italia in un caso politico di prima grandezza. Alle dimissioni di Carlo Azeglio Ciampi, ufficialmente per motivi di salute, sono seguite altre dimissioni di personalità coinvolte nel comitato per le celebrazioni, ultime quelle del costituzionalista Gustavo Zagrebelski, e tutte sulle falsariga della denuncia finiana: «11 governo non si impegna sulla questione». Risultato: il ministro della Cultura Sandro Bondi è dovuto correre ai ripari cercando di arruolare al posto di Ciampi l'ex premier Giuliano Amato.
Non male, tutto sommato, per un leader uscito dalla direzione del Pdl all'Auditorium della Conciliazione potendo contare su soli undici voti (tredici secondo altre versioni, ma non cambia nulla).
Il piano di Fini si fa più chiaro ogni giorno che passa. Innanzitutto, sopire le polemiche. Mettere a riposo per un po' le voci dei propri ultras. Ribadire – lo ha fatto ieri ancora una volta – «lealtà» al governo e ferma volontà di portare la legislatura alla sua conclusione naturale. Non sono dichiarazioni di facciata. E non sono nemmeno, come qualcuno vuole intendere, un dietrofront o una ritirata. Il fatto è che la battaglia che Fini ha in testa ha bisogno di essere condotta dall'interno della maggioranza di governo e del Pdl, se vuole avere possibilità di successo. Una linea entrista, si sarebbe detto in altri tempi. Se Berlusconi vuole proseguire la guerra, per esempio esautorando i finiani con ruoli in Parlamento e nel partito, quella del premier deve apparire come un'aggressione, non come un atto di difesa o di reazione. Al tempo stesso, però, ogni occasione sarà buona per rimarcare il programma alternativo, per enfatizzare i contenuti della «destra moderna». A questo serve il tour televisivo. Su questo mandato sono al lavoro i colonnelli: filtrare, correggere, emendare, cassare, rimandare. Ognuna di queste azioni va messa in campo per correggere l'indirizzo del governo e riequilibrare lo strapotere dell'asse Bossi-Berlusconi.
E' probabilmente sulla giustizia che Fini può raccogliere i risultati più importanti e immediati. Per sfuggire all'isolamento interno, l'ex leader di An sta cercando di rinsaldare vecchie e nuove constituency: quella coi magistrati, già sperimentata ai tempi di Mani pulite, è in cima alla lista. L'incontro coi vertici dell'Anm, seppur in agenda da tempo, rappresenta oggi la chiara offerta di una sponda alla magistratura, alla quale vuol garantire che eventuali ritocchi all'ordinamento giudiziario non saranno effettuati asfaltando il punto di vista della categoria, e al tempo stesso suona come un messaggio chiarissimo al premier sul tema al quale è più sensibile: il salvacondotto giudiziario. Col legittimo impedimento che ha una data di scadenza, e con la necessità di portare a casa una versione definitiva del lodo Alfano, Berlusconi è nelle condizioni di dover trattare se non vuole passare il resto della legislatura appresso a nuovi provvedimenti ad personam. Non ci sarebbe dunque da stupirsi se la grande riforma della giustizia fosse archiviata dal premier in nome del realismo. Non c'è da rallegrarsene in assoluto: rischiano di rimanere carta straccia alcune soluzioni (su tutte, la separazione delle carriere tra pm e giudici) che meriterebbero una classe politica in grado di vararle senza subordinarle a interessi di consorteria. Ma non è questo il caso del governo Berlusconi. Ed è anche su questa debolezza che Fini conta per centrare i suoi obiettivi.
Quanto al federalismo, basta la reazione della Lega e la minaccia evocata da Umberto Bossi di elezioni anticipate a provare quanto l'intemerata finiana sui costi politici ed economici della devoluzione fiscale abbia messo in allarme il Carroccio. A differenza che sulla giustizia, qui Fini non ha in mano una leva parlamentare: la legge è già stata approvata. Ma intorno alla stesura dei decreti attuativi si giocherà una partita complessa, nella quale entrano in gioco molti attori: partiti, il Tesoro e le casse vuote dello Stato, parti sociali, l'opinione pubblica del sud (e non solo), senza contare che Fini pu spingere il Pd – che si è astenuto in Parlamento – a mutare posizione.
Cosa che è già avvenuta sulle riforme istituzionali. Su questo terreno gli effetti delle mosse di Fini sono evidentissimi. Dopo qualche giorno di incertezza, e di scontri interni, Pier Luigi Bersani ha scelto in modo netto di tendere la mano verso Fini. La proposta del «patto repubblicano» altro non significa che questo. E cosa se no? Non è e non sarà mai un cartello elettorale. Non prefigura governi tecnici o istituzionali. Serve a dire a Fini: se hai bisogno di una mano, siamo qua. Risultato: Berlusconi, voglioso di sottrarre a Fini l'interlocuzione privilegiata col Pd, improvvisamente si fa ecumenico e a reti unificate spiega che la Terza Repubblica va fondata con un'intesa bipartisan. Anche nel 2007, l'ultima volta che Fini e Casini si smarcarono pubblicamente da lui, il Cavaliere subito si fece bipartisan sulle riforme. E lo sventurato Veltroni rispose. Stavolta Bersani ha scelto Fini. E, intervistato da Repubblica, ha respinto al mittente l'offerta, agitando peraltro contro il Cavaliere una argomentazione già usata dal presidente della Camera: «Dov'è la bozza del Pdl?». In questo quadro, i margini che ha il governo per andare avanti su obiettivi come il semipresidenzialismo e affini sono davvero minimi.
Può essere che tutti questi avamposti finiani siano spazzati via da un gesto d'imperio di Berlusconi o dal concretizzarsi delle elezioni anticipate. Per ora, direbbero gli scacchisti, il pedone di vantaggio ce l'ha Fini.