Sabato c’è stata, a Roma, una grande manifestazione, tantissime donne, anche anziane, tantissime ragazze, anche giovanissime. Tv e giornali se ne sono occupati soprattutto per due aspetti. Il primo: la contestazione nei confronti delle ministre del centrosinistra e l’allontanamento dal corteo di alcune esponenti di Forza Italia (o come si chiama adesso). Il secondo: un certo qual risorgente “separatismo” femminista nel cui nome i maschietti sono stati emarginati un po’ come capitava negli anni Settanta.
È evidente che l’intolleranza non va mai né sottovalutata né giustificata, e che il “separatismo” (ma di maschietti, risalendo per il corteo, se ne trovavano molti, e Armando Cossutta, che ha sfilato a braccetto della moglie, non risulta sia stato svillaneggiato) suona vagamente retro. Ma chiamare in causa, come in molti (molte) hanno fatto, il “vento dell’antipolitica”, che avrebbe soffiato impetuoso anche sabato pomeriggio, mi sembra onestamente fuori luogo.
Anzitutto perché bisogna mettersi d’accordo su che cosa sia, questa benedetta «antipolitica». Io non riesco a vedere niente di «antipolitico» nel fatto che per motivi politici si contestino (poco importa qui se a torto o ragione) degli uomini politici o, come nel nostro caso, delle donne politiche.
La manifestazione di sabato – una manifestazione senza simboli di partito e senza bandiere – è stata una manifestazione carica di significati politici. E dunque non sarebbe male, anzi, sarebbe un buon esercizio riformista, cercare di coglierne il senso, invece di limitarsi ad esecrare qualche slogan estremista e qualche urlaccio di troppo.
I raffronti con il femminismo di un tempo aiutano poco. Non sono tornate le streghe. Decine di migliaia di donne e di ragazze, nella giornata contro la violenza sulle donne, sono scese in piazza certo per protestare con forza (come è giusto, anzi, sacrosanto, ma pure un po’ scontato) contro la violenza in questione, ma anche e soprattutto per evidenziare, con altrettanta e forse ancor maggiore forza, che nell’ottanta per cento dei casi chi la pratica qui è un italiano, e che per le donne il luogo meno sicuro non è una strada buia ma la propria casa. Perché gli aggressori sono in grandissima misura loro familiari o persone con i quali hanno relazioni anche significative, nonni, padri, zii, mariti, conviventi, fidanzati, amici, L’«antipolitica» non c’entra niente. Perché già sottolineare questo dato di fatto significa esprimere un punto di vista politico. Molto parziale, e anche molto radicale, se volete, come quasi per definizione succede ai movimenti collettivi che, come è noto, non rappresentano e non debbono rappresentare l’interesse generale e non hanno e non devono avere funzioni di governo. Ma, insisto, politico. Molto politico. Tanto più in un paese, come l’Italia, in cui si fanno ben poche politiche per la famiglia ma in compenso, e non soltanto nel Family day, ci si abbandona volentieri a celebrazioni retoriche e sin troppo rassicuranti, almeno nelle intenzioni, della famiglia medesima, quasi che questa, immune dal male, rappresentasse di per sé il rifugio più sicuro e l’antidoto più efficace agli orrori del tempo. Tanto più in un paese, come l’Italia, in cui, sull’onda dell’emozione suscitata da un orribile fatto di violenza e di sangue perpetrato da un clandestino rom e romeno contro una donna, prende corpo non solo e non tanto un pacchetto di misure, ma una filosofia della sicurezza che individua nell’altro (nell’altro povero, nell’altro clandestino, nell’altro che giunge da torbide lande a turbare la nostra vita sin lì serena) il pericolo principale e il nemico pubblico numero uno. Tanto più in un Paese, come l’Italia, in cui la tendenza a governare sull’onda di «emergenze» vere o presunte, e dell’allarme sociale che queste determinano, è antica e perennemente si rinnova.
Io non credo che i partiti (e parlo qui dei partiti del centrosinistra, e in primo luogo del nascente Partito democratico) debbano far proprio, e tanto meno far proprio acriticamente, senza mediazioni, quel che ha mandato loro a dire, anche contestandone le rappresentanti, il corteo di sabato. Ma sono convinto, da riformista, che debbano ascoltarlo con attenzione, perché qualche ragione riformista con tutto il suo estremismo al femminile quel corteo ce l’ha, non fare spallucce prendendosela con l’«antipolitica» dilagante e con l’estremismo risorgente. Alcune mie autorevoli amiche sabato non hanno potuto dire la loro in tv, a proposito della manifestazione, sul palco approntato all’uopo da La7. Me ne dispiace, ma non ne farei un dramma. Chissà perché ho l’impressione che i drammi siano altri.
Paolo Franchi
26/11/2007