Il Riformista, 21 settembre 2007 – Ridurre i privilegi è giusto, ma non essenziale – di Claudia Mancina
l Parlamento non deve farsi dettare l'agenda da un Masaniello, è stato detto in questi giorni. Ed è vero: ma se l'agenda del
Parlamento è in grave ritardo su certi temi, o addirittura non li contempla? Questo è purtroppo il caso.
L'ondata di qualunquismo che sta montando nel paese è figlia del carattere storico degli italiani, è figlia della democrazia spicciola di Internet, ma è anche figlia dei ritardi della politica e della insensibilità dei politici. La risposta non può essere né quella di subire sperando che passi la tempesta, né quella – più nobile, ma non più razionale – di resistere eroicamente.
Congelare gli aumenti dei parlamentari e
introdurre maggiori controlli nell'uso dei benefit è necessario, ma
non basterà certamente ad arginare la marea, visto che non fa che
confermarne le ragioni. D'altra parte, osservare che i vizi della
classe politica sono condivisi dalla società civile, che il nostro è
il paese delle raccomandazioni, del nepotismo e dei concorsi
truccati, è giustissimo, ma non sposta di una virgola il problema.
Perché c'è una responsabilità generale della politica, che
dovrebb'essere onorata prima di qualunque altra cosa.
Questa responsabilità sta anzitutto nello stabilire le regole delle
istituzioni. Solo dopo averlo fatto in modo giusto ed efficace, si
possono denunciare i vizi della società civile. Ma se le istituzioni
non funzionano, se i partiti si mettono da sé in scena come soggetti
mossi solo da interessi e finalità particolari, se non si
preoccupano di spiegare le proprie posizioni e le proprie scelte
sulla base di ragioni pubbliche e condivisibili, c'è da stupirsi se
diventano oggetto di disprezzo? È triste dirlo, ma dopo il governo
Berlusconi, che si è dedicato prevalentemente agli interessi
personali del suo capo, oggi nella confusione delle lingue un solo
messaggio giunge chiaro ai cittadini, soprattutto a quelli non
politicamente educati: che ogni gruppo e gruppetto fa solo i propri
interessi. Le distinzioni tra persone e tra partiti, che ci sono e
non sono secondarie, appaiono irrilevanti sul grande palcoscenico
della società massmediatica. Oggi non c'è più un privilegio morale o
culturale di alcuni su altri. Il danno portato da una coalizione
come questa ricade su tutti. Ciò che è accaduto ieri al Senato non è
che l'ennesima conferma.
Allora, forse, invece di dividersi tra duri e morbidi, tra
resistenti e acquiescenti, bisognerebbe fare qualche diagnosi e
pensare qualche terapia. Sul piano della diagnosi, ha ragione
Panebianco quando afferma che il problema è che da troppo tempo la
politica si è mostrata incapace di decidere, quindi inefficiente e
in ultima analisi inutile. Se a ciò si aggiunge la contraddizione
dei messaggi mandati su temi importantissimi per la vita delle
persone – dalle tasse alle pensioni al lavoro – si capisce come si
risveglino i Masanielli.
Sul piano della terapia, si dovrebbe cercare di spostare il fuoco
dai comportamenti individuali a quelli collettivi, che incidono
molto di più sulla realtà e sull'erario. Giusto introdurre un giro
di vite sugli stipendi, le pensioni, i benefit, per ragioni di
immagine e perché i rappresentanti del popolo dovrebbero avere un
senso di dignità più fine. Ma non è questo il punto essenziale.
L'attenzione dovrebbe rivolgersi alle modalità della spesa pubblica
per partiti e gruppi parlamentari. In questo senso, la proposta
dell'opposizione di abolire le deroghe per i gruppi parlamentari,
anche se certamente mossa da intenti di parte, era giusta.
L'esistenza di gruppi anomali, a volte non corrispondenti a liste
elettorali, è una cosa molto più grave (e più costosa) di qualunque
privilegio.
Ancora più di fondo è la questione del finanziamento pubblico. Dire
che finanziare la politica è un fondamento della democrazia, cosa
senz'altro vera, non esaurisce certamente il tema di come e a chi
erogare il finanziamento. Gli esponenti del nascente Partito
democratico farebbero bene a introdurre nel Dna di questo partito un
nuovo modo di gestire il denaro pubblico, vincolandolo a statuti
democratici e bilanci aperti al controllo esterno, cose che nessun
partito oggi in Italia può vantare. Revisione del finanziamento
pubblico e modifica dei regolamenti parlamentari: questi due punti
potrebbero costituire l'ossatura di una risposta forte e non
subalterna all'attacco qualunquista. Si dirà che la composizione
della coalizione rende tutto ciò impossibile, confermando un circolo
vizioso tra cause ed effetti della crisi. Un modo di uscire dal
circolo vizioso c'è: il Partito democratico prenda con chiarezza
questi impegni con gli elettori e, quando si andrà ad elezioni,
chieda un voto per cambiare la politica.