Oggi, Mercoledì 17 giugno, dalle ore 10 alle 12, in piazza Montecitorio a Roma si è svolta la manifestazione per chiedere l’immediata discussione delle numerose proposte di legge sulla riforma del divorzio, c.d. “divorzio breve”, presentate in Parlamento, e l’apertura di un vero dibattito politico su tutta la materia.
Hanno partecipato: l’On. Rita Bernardini (radicali), On. Marco Cappato (radicali), Antonella Casu (Segretaria Radicali Italiani), l'On. Maria Antonietta Farina Coscioni (radicali), l’On. Benedetto Della Vedova (PDL), l'On. Matteo Mecacci (Radicali), Michele De Lucia (Tesoriere Radicali Italiani), Bruno Mellano (Presidente Radicali Italiani), l’On. Magda Negri (PD), Sen. Marco Perduca (radicali), Sen. Donatella Poretti (radicali), l'On. Dario Rivolta (PDL), l’On. Maurizio Turco (radicali), l’On. Angelo Bonelli, l’avv. Alessandro Gerardi (Tesoriere Lega Italiana Divorzio Breve), Diego Sabatinelli (Segretario Lega Italiana Divorzio Breve).
Parlamentari che hanno presentato proposte di legge per la riforma del divorzio:
Sen. Vittoria Franco (PD), Sen. Marco Perduca (Radicali), Sen. Giuseppe Saro (PdL), Sen. Magda Negri (PD), On. Maurizio Paniz (PdL), On. Maria Antonietta Farina Coscioni (Radicali), On. Sesa Amici (PD).
La nuova edizione del rapporto sullo stato dei sistemi giudiziari redatto dalla Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej), divulgato l’8 ottobre 2008, contenente informazioni relative all’anno 2006 sullo stato della giustizia in 45 Stati su 47 membri del Consiglio d’Europa, ha assegnato all’Italia la “maglia nera” in tema di durata dei procedimenti di divorzio: nel nostro Paese, infatti, vigono i tempi piu’ lunghi nelle procedure in primo grado, con ben 634 giorni di attesa per giungere alla pronuncia di scioglimento del vincolo coniugale, segue la Francia con 477, il Portogallo con 325 e la Germania con 321 giorni;
il Cepej ha dunque chiesto al nostro Paese di mettere urgentemente in campo misure specifiche per tagliare i tempi dei procedimenti di separazione e divorzio al fine di aumentare la competitività e l’efficienza del nostro sistema giudiziario anche in questo delicato settore della giustizia civile;
a differenza di quanto stabilito nel resto dei 47 paesi membri del Consiglio d’Europa, in Italia infatti il procedimento che conduce allo scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale avviene in due fasi e prevede prima la separazione legale e solo successivamente il divorzio, con un tempo di attesa minimo tra i due provvedimenti, inizialmente fissato a 5 anni e, a partire dal 1987, ridotto a 3;
come documentato da uno studio ISTAT sull’evoluzione del fenomeno della separazione e del divorzio nel nostro Paese, l’attuale disciplina della separazione legale serve soltanto a prolungare il contenzioso tra i coniugi, ritardando la possibilità per la coppia di riorganizzare in modo stabile la propria vita, posto che la cosiddetta “pausa di riflessione” (periodo triennale di separazione) non serve né a far rimettere insieme i coniugi, né a impedire che si formino delle altre famiglie, contribuendo solo a lasciare a lungo in un limbo non adeguatamente regolato e protetto sia i vecchi che i nuovi rapporti;
l’attuale normativa sullo scioglimento del vincolo coniugale, prevedendo il necessario passaggio attraverso una pronuncia giudiziale di separazione prima di ottenere il divorzio, finisce per avere dei riflessi non irrilevanti sull’efficacia e la competitività dell’intero nostro sistema giudiziario se è vero, come è vero, che una buona percentuale dei circa tre milioni e ottocentomila procedimenti civili pendenti in Italia (cosiddetto “arretrato pendente”), è rappresentata proprio da cause di separazione, consensuale e/o giudiziale, iscritte a ruolo;
in particolare, da una indagine sul costo economico e sociale dei divorzi, della separazione e della volontaria giurisdizione, condotta in data 27 febbraio 2009 dall’istituto Eurispes, emerge che: a) la domanda di giustizia civile in materia di separazioni, consensuali e giudiziali, espressa in termini di numero di procedimenti civili iscritti presso il Tribunale Ordinario e la Corte di Appello, ha registrato, tra il 2001 e il 2007, un andamento disomogeneo, pur mantenendosi costantemente al di sopra dei 100.000 provvedimenti l’anno; b) le separazioni consensuali rappresentano, mediamente, il 68% del totale dei procedimenti iscritti presso il Tribunale Ordinario, contro il 32% delle separazioni giudiziali. Il loro numero si è mantenuto pressoché costante, con valori compresi tra un minimo di 73.300 iscrizioni (2006) e un massimo di 77.700 (2004). Nell’ultimo biennio, l’aumento è stato del 4,2% (da 73.300 a 76.400 procedimenti). Nello stesso periodo, il numero medio di procedimenti di separazione giudiziale iscritti annualmente presso il Tribunale Ordinario è stato di 35.700, con un incremento del 10,4% nell’ultimo biennio (da 32.900 a 36.300 procedimenti); c) le separazioni consensuali rappresentano, mediamente, il 70% del totale dei procedimenti definiti presso il Tribunale Ordinario, contro il 30% delle separazioni giudiziali. Il loro numero si è mantenuto pressoché costante, con valori compresi tra un minimo di 74.700 procedimenti definiti (2006) e un massimo di 77.300 (2003). Nello stesso periodo, il numero medio di procedimenti di separazione giudiziale definiti annualmente presso il Tribunale Ordinario, è stato di 33.300, con un incremento del 2,8% nell’ultimo biennio (da 32.700 a 33.700 procedimenti);
Sempre sulla base della citata indagine Eurispes, è possibile stimare il costo affrontato dallo Stato per i procedimenti di separazione, sia consensuale che giudiziale, in circa 89 milioni di euro per il solo 2006 (considerando un costo per procedimento di 815 euro e 109.192 procedimenti esauriti);