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Miserendino – Intervista a Veltroni – 26 aprile

By 26/04/2008Politica

Veltroni: «Sfregiano la democrazia. Ora dobbiamo rafforzare il Pd»

Lettura dei giornali di buon mattino, interviste, manifestazione, telefonate. Insomma lavoro tanto, riposo poco. Siccome gli esami non finiscono mai e domani ci sono ballottaggi importanti, il 25 aprile Walter Veltroni lo passa così. Con qualche differenza da Berlusconi, che ci tiene a rimarcare: «In una data come questa, che per gli italiani significa il ritorno della libertà, il futuro premier non solo snobba la ricorrenza, come ha sempre fatto, ma non trova di meglio che incontrare Ciarrapico, uno che il fascismo non l'ha mai rinnegato. Francamente lo considero uno sfregio, spero che anche per molti elettori e alleati di Berlusconi questo sia il momento di cominciare a dire qualche parola»

 

Magari si illude. Però Veltroni, nonostante tutto, è pieno di energie
e ha voglia di lanciare un messaggio, anche all'interno del
partito: «Non si torna indietro. Strategia, scelte programmatiche e
linguaggio sono giusti, però adesso dobbiamo farlo, il Pd. Bisogna
valorizzare i giovani, stare dove sta la gente e fare una gigantesca
battaglia culturale». Veltroni ironizza sulla «scoperta della Lega»,
sogna una televisione che rompa la cappa del pensiero unico che già
si sta diffondendo nel paese, e avverte la Destra: «Deve scegliere
che linguaggio usare. Se è quello di Fini, siamo sulla strada
sbagliata».

Segretario, che Pd vede dopo queste elezioni?
«Inizio con qualche dato. Il primo è che abbiamo un partito
riformista del 34%, che in Italia non c'è mai stato. Si è superato il
muro dei 12 milioni di voti, con un incremento che è stato al Senato
di 1 milione e 800mila voti, a fronte di un decremento del Pdl di
800mila».

La percentuale del Pdl è la somma di An e Fi del 2006, solo che hanno
votato meno persone…
«Ma noi aumentiamo e loro diminuiscono. Abbiamo avuto un voto molto
importante nelle principali città del nord, nelle grandi aree urbane,
al nord e al centro. A Roma abbiamo avuto il 41% dei voti. Il Pd è
diventato al nord il primo partito in moltissime città, e rimango
sorpreso quando sento fare i raffronti col 2006».

Perché?
«Per il Pd il raffronto va fatto nel 2007, ossia qualche mese dopo
l'inizio dell'esperienza di governo del centrosinistra. Purtroppo
questa esperienza è iniziata con 100 persone nell'esecutivo,
l'indulto, e una legge finanziaria pesante. È proseguita con una
crisi di governo a metà, con una instabilità permanente. Sono andato
a vedermi i dati delle provinciali del 2007, abbiamo incrementi che
vanno dal 10 al 15%. Nel 2007 i sondaggi quotavano il Pd al 24%, noi
abbiamo recuperato 10 punti percentuali e, cosa importante, l'abbiamo
fatto in un clima politico molto negativo, segnato da una crisi di
rapporto tra vecchio centrosinistra e società italiana e segnato da
qualcosa che bisogna indagare a fondo e che riguarda non solo
l'Italia ma tutta l'Europa. Ieri (giovedì, ndr) c'era qui Tony Blair
e ci siamo ricordati di quando iniziammo l'esperienza del nuovo
Labour e dell'Ulivo. In Europa i socialisti erano in quasi tutti i
governi, adesso sono rimasti sette, dei quali due in grandi
coalizioni, Germania e Austria. Nel nord Europa non ci sono più
esecutivi socialdemocratici, in Olanda ci sono forze di destra che
emergono, in Francia non si è più vinto dopo Mitterrand, l'unica
eccezione è la Spagna, grazie a Zapatero. C'è in Europa una crisi
sociale molto grave che in Italia si combina agli effetti devastanti
prodotti da quella che chiamerei la mutazione dello spirito pubblico
di questo paese, che dura da vent'anni. Pensiamo al problema della
sicurezza, quella personale ma anche sociale. Quella attuale per
vasti strati è una condizione segnata dall'insicurezza, compresa
quella di chi vede trasformare il proprio contesto sociale urbano
dall'arrivo dell'immigrato, dell'altro, che viene vissuto come
pericolo. Su questo ha trovato forza la campagna della Lega. Tutta
l'Europa vive lo stesso fenomeno, per l'Italia c'è una difficoltà in
più, che non possiamo ignorare: dal '45 il centrosinistra non ha mai
vinto le elezioni».

Nel senso che non è mai stato maggioranza nel paese…
«Nella storia italiana non c'è mai stata una prevalenza numerica di
un centrosinistra riformista, questo è il problema che noi abbiamo
cominciato ad affrontare, dando all'Italia per la prima volta quel
che non ha mai avuto, ossia un grande partito riformista. In realtà,
nonostante la sconfitta nella sfida per il governo, da queste
elezioni esce confermata l'ispirazione strategica del Pd».

Invece sembra che qualcuno inizi a metterla in discussione…
«Vediamo. Primo, l'andare da soli ha pagato. Se avessi dovuto
ascoltare tutti gli iperprudenti che mi consigliavano di
ripresentarmi con la vecchia coalizione, adesso noi saremmo un
mucchietto di cenere. Basta vedere il dato della sinistra arcobaleno
per capire quale rottura di relazione c'è tra il vecchio
centrosinistra e il paese. E quando vedo qualcuno che trasforma le
bandiere del Partito democratico in bandiere rosse penso che va nella
direzione sbagliata. Non è quella la soluzione. L'ultima cosa da fare
è pensare che il futuro sia il ritorno al passato. Invece il futuro è
nel proseguire questa grande sfida. Il nostro non è un partito di
sinistra camuffato, ma una grande realtà del centrosinistra che va
valorizzata. La scelta di fondo è quella giusta. Secondo, anche le
scelte programmatiche sono giuste. In 4 mesi abbiamo rivoluzionato il
linguaggio del centrosinistra italiano, pensiamo ai temi delle
infrastrutture, del fisco, della semplificazione burocratica, della
sicurezza. L'ho chiamata la rivoluzione dolce, e per fortuna
l'abbiamo fatta, altrimenti avremmo pagato un prezzo altissimo.
Quando qualcuno dice che dobbiamo scegliere tra Colaninno e i
lavoratori, dice la cosa più sbagliata del mondo. Quella scelta di
vecchia identità non funzionerà mai. I Ds due anni fa al Senato
avevano il 16 per cento. Vogliamo tornare lì? No, le scelte sono
giuste, ma adesso dobbiamo fare il partito».

Ossia entrare in contatto con l'Italia profonda.
«Significa fare un partito moderno. I partiti moderni non sono né
leggeri né pesanti, questa discussione è cominciata fuori da noi, e
ci ha investito anche grazie a una certa fragilità culturale che ci
accompagna. I partiti sono dove sta la gente, nelle fabbriche, nelle
scuole, nei quartieri, su internet, nelle professioni. Serve,
semplicemente, un moderno partito di massa».

Non mi dica il modello Berlusconi, o della Lega…
«Per carità. Adesso una delle grandi scoperte di opinionisti,
televisioni e giornali, è il modello organizzativo della Lega. C'è da
sorridere. È lo stesso di due anni fa, non è cambiato, solo che i
voti gli sono arrivati per la rottura del rapporto tra centrosinistra
e paese. La Lega è un fenomeno complesso ma non si può cambiare il
giudizio a seconda di quanti voti prende».

Ma secondo lei che cos'è il Carroccio?
«È l'impasto di molte cose diverse. C'è la spinta a liberarsi di
lacci e lacciuoli che è il tratto positivo, e poi ci sono gli
elementi di cultura individualista, corporativa, particolarista che
sono pericolosi e devono essere contrastati. Ricordo che noi al nord
siamo andati bene perché abbiamo cominciato a parlare il linguaggio
di chi vuole lavorare e produrre, liberandosi da tutto quello che
impedisce di crescere. Io sono più preoccupato del voto del sud,
perché il vero problema noi l'abbiamo avuto lì, dove il Pdl ha
intercettato lo stesso tipo di pulsione che ha intercettato la Lega
ma senza pagare il prezzo della sua presenza. La realtà è che la
gente ragiona sulla base di un approccio poco politicista».

Però i giornali abbondano di rampogne e di suggerimenti nei suoi
confronti. Ad esempio "il Riformista"…
«Liberiamoci dai condizionamenti dei giornali che vengono letti
prevalentemente da quelli che fanno politica. Il Riformista, peraltro
di proprietà di un parlamentare eletto dal Pdl, vende 2000 copie e fa
la spiega a noi che abbiamo preso 12 milioni di voti. Mi verrebbe da
dire: per prima cosa pensa a vendere di più tu… ».

Torniamo al partito. Questo voto favorisce la crescita di una nuova
classe dirigente o tutto torna alle vecchie logiche dei partiti di
origine?
«Io voglio un partito che stia dentro la società e che vada avanti
nel rinnovamento. C'è una nuova generazione di dirigenti del Pd,
persone che hanno 40 anni e che devono assumere responsabilità di
primo livello. Penso al ruolo fondamentale che devono avere i
segretari regionali in una struttura federale. Ci sono energie
enormi, che non possono essere soffocate da un gruppo dirigente
indisponibile a questa operazione di allargamento e rinnovamento.
Radicamento nella società significa anche gruppi dirigenti
selezionati sulla base di una relazione con la vita reale dei
cittadini. Quindi meno gruppi di potere, meno presunzione, meno auto-
referenzialità e più capacità di esprimere la ricchezza della vita.
Un partito deve avere organismi dirigenti forti, autorevoli e
rappresentativi. Dobbiamo essere in grado di approfondire l'analisi
sulla società italiana, anche in relazione a quello che sta
succedendo in Europa. Ci tengo a questo raffronto con la dimensione
europea perché i problemi con cui facciamo i conti sono legati alle
profonde mutazioni sociali di un continente che sta invecchiando. Un
partito nuovo deve avere un sistema di studi, di fondazioni, come
Italiani Europei, la Nes, Astrid, serve una rete di centri di ricerca
che allarghi e arricchisca l'elaborazione del pensiero critico del
Pd. Ci vuole una grande battaglia culturale».

La cosa più difficile, in Italia.
«Sono stufo di un certo atteggiamento remissivo nei confronti di uno
spirito del tempo che sta giustiziando i valori e lo spirito pubblico
di questo paese. Ho chiesto a molti colleghi stranieri cosa sarebbe
successo se nel loro paese un candidato avesse eletto a eroe un
mafioso. Mi hanno risposto dicendo che sarebbe una cosa incompatibile
con qualsiasi carica pubblica. In Italia invece questo è possibile».

Anzi, fa aumentare i voti…
«In Italia si va affermando una autentica dilapidazione del valore
della solidarietà e del rispetto degli individui. Noi abbiamo bisogno
di una grande battaglia culturale in cui anche il mondo cattolico
deve fare la sua parte: la volgarizzazione della società, la spietata
individualizzazione, il genocidio di ogni idea di regola e di spirito
pubblico non è da considerare meno delle grandi questioni etiche,
perché ci possono essere grandi attenzioni al tema della vita, però
poi quelli che vivono si trovano una società senza valori,
disumanizzata, dove le regole sono scritte dai rapporti di forza
individuali e di categoria. Con rischi per la stessa convivenza».

Bisogna avere strumenti potenti.
«Bisognerà cercare di entrare anche nel settore televisivo con
strumenti nuovi, e nel mondo di internet. Faccio un esempio. Noi
faremo il governo ombra che sarà una grande struttura di proposta e
di critica, in rapporto coi gruppi parlamentari. La mia idea è che a
fianco di ogni ministro lavorino i capigruppo delle commissioni
parlamentari e questi parlamentari dovranno essere le forze migliori
del Pd. Ma siccome prevedo che nei prossimi mesi la televisione
pubblica e privata sarà sotto una cappa di uniformante pensiero
unico, servirà dell'altro. Faccio una previsione: spariranno dai
telegiornali tutte le notizie di cronaca nera, l'allarme sicurezza
sparirà, come accadde dal 2001 al 2006 quando l'allarme cessò pur
essendo aumentati i reati. Se ne è riparlato quando i reati sono
diminuiti, anzi si è fatta campagna elettorale su quel tema con tutte
le bocche da fuoco disponibili. Ecco perché credo che accanto al
governo ombra servirà una struttura di informazione televisiva ombra
che tutte le mattine possa raccontare tutto ciò che è stato
censurato, tagliato, negato. È così che si fa in una democrazia. Si
rispetta, si propone, però si controlla».

Chi saranno i capigruppo di Camera e Senato?
«La mia opinione è che nella scelta non ci può essere altro che la
volontà dei gruppi parlamentari. Quello che decideranno per me va
bene, lo dico sinceramente. Però non posso accettare che a una
persona come Anna Finocchiaro, che ha fatto una battaglia di grande
coraggio, non le si riconosca il merito e la riconoscenza per averla
fatta. Se lei e Antonello Soro intendono essere candidati io sono
perché i gruppi esprimano la loro opinione su questa possibilità di
conferma. Questa è una strada, poi nel 2009 dopo le europee si può
rivedere la scelta. Se invece c'è l'idea di andare a una soluzione
diversa, si verifichi quali sono le possibilità. I nomi di cui si
parla a me vanno tutti bene. L'importante è che a decidere siano i
gruppi parlamentari nella loro piena autonomia. Ci sarà da fare per
tutti in uno spirito unitario e di responsabilità collettiva. Ci sono
i capigruppo, le cariche parlamentari, il governo ombra e un gruppo
dirigente che si dedichi a radicare il partito nel nord e nel sud,
quindi spazio per l'impegno pieno di tutte le risorse di cui il
partito dispone».

Domani ci saranno i ballottaggi. Se a Roma Rutelli dovesse perdere
tante questioni si ingarbuglieranno…
«Rutelli deve vincere, per Roma e per il paese. Il dato del Pd nella
capitale è molto alto, ma è chiaro che votare 15 giorni dopo la
vittoria di Berlusconi non è facile. Dipende da quanta gente si
recherà alle urne».

I giornali della destra dicono che se perde la sua leadership
risulterà indebolita…
«Sarebbe stato vero se fossi stato candidato sindaco. Ma diciamo le
cose come stanno. C'era qualcuno che pensava di vincere le elezioni
prima che iniziasse la campagna elettorale? Il clima è cambiato negli
ultimi due mesi, grazie alla rimonta del Pd. Bisogna ripartire da
qui, senza strutture leaderistiche, con tante personalità di
generazioni diverse che lavorino insieme, quali che sia il risultato
di Roma. Se dovessimo perdere, per risalire l'onda serve più
determinazione, non meno».

A proposito di Roma. La campagna della Destra è stata particolarmente
dura, Fini non ha lesinato gli insulti. Vede possibilità di dialogo
con questa maggioranza?
«Il fatto che Fini abbia definito una salma Rutelli e che bisogna
fargli una pernacchia quando parla, e pensare che può sedere sullo
scranno su cui sono stati seduti Pertini, Iotti, Scalfaro, sono due
cose incompatibili».

E quindi?
«La Destra deve decidere: se vuole usare un linguaggio da scontro
frontale non può pensare di trovare un'opposizione che non reagisce.
Se invece vuole avere un atteggiamento di dialogo, ci troverà fermi
ma dialoganti».

Forse hanno capito che al paese piace il linguaggio dello scontro.
Berlusconi ha detto che l'ha rimandata in Africa e che rimanderà
Rutelli sul motorino.
«Non rispondo alle battute da bar. La realtà è che loro cavalcano un
linguaggio e un clima che c'è nel paese. Una ragione in più per
impostare anche una grande battaglia culturale, oltre che politica.
Il Pd deve servire a questo. Perché anche dall'opposizione riuscirà a
fare un grande servizio al paese contrastando le politiche del
governo e preparandosi alle prossime sfide per la guida del Paese».

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MAGDA NEGRI

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