Nicola Rossi, Peppino Caldarola e sembra anche Mercedes Bresso, hanno deciso in vario modo di non partecipare – scegliendo una qualche posizione di quelle presumibilmente in campo – alla stagione Congressuale dei DS. E’ già successo, sotto congresso, specialmente nel biennio 1989-91. E’ accaduto che se ne andassero intellettuali, dirigenti… che poi, di volta in volta, altri si avvicinassero o tornassero.
Un movimento complesso, di singoli e di gruppi che ha accompagnato il superamento del PCI, l’evoluzione dal PDS ai DS sino all’emergere della soggettività politica dell’Ulivo, sino ad oggi.
Anche questa non partecipazione è un atto di libertà, che si legittima in sé e va rispettata. Non condivido gli appelli più o meno convinti, del tipo “…ripensateci”.
Se lo fanno ci hanno già pensato.
Per Nicola Rossi, i DS sono uno spazio non agibile per i riformisti, per Mercedes Bresso c’è un eccesso di ambiguità nel processo verso il PD che ci allontanerebbe troppo dal PSE, per Peppino Caldarola la sua “resa” è dovuta al fatto che non c’è la massa critica per bloccare, sostituire il processo verso il PD, e il gruppo dirigente che, inesorabilmente sta guidando il partito dei DS verso la sua estinzione.
Mercedes non me ne vorrà, ma la sua non-scelta non mi ha molto stupita. Nel 2005, quando parte del gruppo dirigente piemontese aprì una vertenza con quello nazionale, per presentare alle elezioni regionali, anche in Piemonte la lista dell’Ulivo.
Mercedes non considerò questa battaglia come dirimente. Anzi, la convinceva di più la presentazione delle liste distinte, DS e Margherita, e della sua, la lista Bresso.
E’ evidente quindi che l’Ulivo soggetto politico propedeutico al PD non era già nella sua sensibilità politica. O forse i passi successivi le sono sembrati ancora più insoddisfacenti.
Le motivazioni che mi hanno più incuriosito sono – però – quelle di Peppino Caldarola, come motivate da lui stesso su “Il Corriere” di oggi.
Angius non è disposto all’alleanza organica con Mussi per una coraggiosa e spregiudicata alleanza, un MIDAS dei DS, per bloccare il percorso e cambiare il gruppo dirigente. Quindi non vale la pena discutere, argomentare, dare una battaglia di minoranza, investire su di essa.
Qui c’è troppo e troppo poco.
Troppo ardimento tattico, subito caduto, e troppa poca fiducia nelle proprie ragioni politiche.
Come scrivevo qualche giorno fa nel blog, troppo “umor nero”.
Ma mi dispiace davvero, per quella sincera amarezza che sento nelle sue parole, il senso di solitudine ferita che non vuole celare, l’orgoglio di una militanza che vuole chiudere “in piedi”, non in ginocchio.
Ma dove vedi tutta questa genete pronta a genuflettersi, ad abdicare, Peppino?