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Parisi su repubblica – No al sistema tedesco

By 23/07/2007Politica

"Basta con le commistioni tra la politica e gli affari" – Parisi "Dico no alla riforma stile tedesco" – CLAUDIO TITO

ROMA – Con il sistema tedesco vogliono tornare al proporzionale e anche nel centrosinistra c'è chi immagina soluzioni centriste.Arturo Parisi boccia senza mezzi termini la legge elettorale vigente in Germania, difende il referendum e avverte – anche chi come Rutelli parla di alleanze di "nuovo conio" – che «dopo il centrosinistra c'è solo il centrosinistra». Il ministro della Difesaconferma che voterà per la Bindi nella corsa al Pd ma non è contento di come si sta costruendo il nuovo partito: rischia di essereprigioniero delle correnti come la vecchia Dc.La scorsa settimana, intanto, è stato siglato l'accordo con i sindacati sulle pensioni.

Lei è soddisfatto?
«Soddisfatto. Un accordo ispirato al riformismo possibile, ilriformismo che preferisce affrontare gli stretti sentieri dei fatti,invece di affidarsi alle autostrade delle parole. Ma soprattutto è un accordo che mette fine alla stagione delle furbate della Cdl».

Perché furbate?
«Sapendo che tanto non sarebbero stati loro a governare, la Cdl aveva dato ad intendere di risolvere i problemi scaricandoli tutti sul governo successivo promettendo tutto e il contrario di tutto. Dalla modalità del rientro da Nassiriya alla iniqua e rozza soluzione della questione pensioni. E, come se non bastassero le furbate, per rendere ulteriormente avvelenata la loro eredità per il governo successivo, avevano aggiunto quel bel regalino di legge  elettorale che in modo impareggiabile Calderoli ha definito una porcata. Tra furbate e porcate, è proprio un miracolo se la barca continua a navigare. Imbarcando certo acqua ma andando sempre avanti».

La sinistra radicale, però, sta vivendo l'intesa sugli scalini come una sconfitta. Il governo è in pericolo?
«Se dovessimo cercare sconfitti ne troveremmo dappertutto, non solo nella parte della sinistra radicale che manifesta oggi la sua insoddisfazione. Ma per la stabilità del governo, quello che conta è che vinca la coalizione che davanti agli elettori ha preso l'impegno di superare lo scalone e allo stesso tempo di dare una risposta alternativa nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica».

Lei è tra i promotori del referendum. Il dibattito sui tre quesiti sta caratterizzando a sufficienza il confronto nel Pd? Un "buon Democratico" dovrebbe essere un referendario? Rutelli, ad esempio, contesta l'alleanza con Fini che ha votato la "porcata".
«Certo che non tutti i sostenitori del referendum possono dire disostenerlo allo stesso titolo visto che alcuni degli attuali
referendari sono i medesimi che appena due anni fa questa legge l'hanno votata. Mi sia tuttavia consentito distinguere quelli come Fini, Martino e tanti altri che si sono non solo ravveduti ma attivati in difesa del bipolarismo, e quanti invece come Follini e Casini continuano a battersi contro il referendum proprio perchè nemici del bipolarismo. Semmai sono i "coraggiosi" che in questi mesi hanno attaccato il referendum che dovrebbero spiegare chi tra loro ha più coraggio: Follini che continua a difendere la posizione centrista di sempre o chi, da una posizione di centrosinistra, avanza la proposta di un'alleanza "di nuovo conio" suggerendo dietro lo stesso nome di centrosinistra un ritorno al centrismo e, diciamo, l'ammorbidimento dell'attuale sistema bipolare?».

Cioè il "nuovo conio" rutelliano evoca soluzioni centriste?
«Io so solo che il "conio" del centrosinistra è uno solo. Ed è
quello col quale ci siamo presentati agli elettori. Lo stesso che i
partiti dell'Unione hanno solennemente sottoscritto impegnandosi a
rimettere l'esito del governo Prodi nelle mani e solo nelle mani
degli elettori. Questa è la principale. Come sempre ogni subordinata
ha come solo effetto quello di indebolire la principale. Questo per
il presente. Ma anche per il futuro che è il tempo del quale si fa
carico il Pd: l'unica alternativa al centrosinistra è il
centrosinistra».
Pensa la stessa cosa anche del sistema elettorale tedesco? Fassino,
e non solo, sta insistendo molto su questo modello.
«Dice bene. Fassino e non solo, visto che vedo aprirsi una gara per
il copyright del sistema tedesco. La realtà è che attorno alle legge
elettorale vanno dipanandosi due disegni contrapposti. Da una parte
il ritorno al proporzionale e il superamento del bipolarismo con la
copertura di una legge alla tedesca, e dall'altra la difesa del
bipolarismo attraverso il premio maggioritario. Il problema non è
tuttavia il sistema tedesco, ma che il sistema sarà inevitabilmente
tedesco all'italiana. Hai voglia a prendere col Pd il 35%. Il
governo sarebbe rimesso nelle mani delle manovre parlamentari e dei
Casini di turno, i Casini di sempre».
Eppure la legge tedesca sembra l'unica su cui centrodestra e
centrosinistra possano convenire.
«Il guaio è che questo sistema rende impotenti i cittadini e i
governi, aumenta il potere dei capipartito assicurandoli circa la
loro stabile presenza al potere. E d'altra parte è proprio grazie a
questo disegno consociativo, più che per la passione per la
scrittura bipartisan delle regole, che i vertici dei principali
partiti dei due poli cominciano a scambiarsi occhiate amorose e non
solo occhiate».
Ma lei, per una grande intesa con l'opposizione su riforme
bipolariste che chiudano finalmente la transizione, sarebbe pronto a
sacrificare anche il governo?
«Ho ancora sul tavolo la scheda n.1 del programma dell'Ulivo del
1996, che nel titolo e alla prima riga affidava le riforme ad "un
patto da scrivere assieme". E questo nonostante che il centrodestra
di allora fosse certamente meno affidabile di quello di oggi. Io
sono ancora lì. Alla necessità di un patto storico stretto in nome
dell'interesse del Paese. Ma un patto di questo tipo si scrive alla
luce del sole, attraverso un confronto aperto con tutto il
centrodestra, non all'ombra investendo illusoriamente su tentazioni
e divisioni di corto respiro».
Nel frattempo, appunto, Rutelli ha presentato il manifesto dei
coraggiosi.
«Non è il coraggio che mi preoccupa. Ma la sua assenza, la stessa
che dopo la rivendicazione a gran voce dell'elezione di un vero
segretario politico che sollevasse Prodi degli oneri della guida del
Pd, aveva prodotto la bella idea di un candidato unico. Attraverso
lo spiraglio restato aperto sono entrate ora altre candidature che
in parte hanno corretto la piega imposta dai vertici dei partiti in
nome del supposto valore della loro unità e coesione interna».
Ma non c'è il rischio che il Partito Democratico si trasformi in un
partito di correnti come la Dc?
«È quello che sta già capitando a causa del rifiuto da una parte del
voto disgiunto tra candidato e delegati, e dall'altra della scelta
di associare ad ogni candidato una lista rigorosamente coerente con
la sua linea politica».
E allora tra Veltroni, Bindi e Letta chi voterà?
«Lo dico a ragion veduta, senza nascondermi nessuna delle differenze
che ci hanno segnato in passato, la Bindi. La più coraggiosa. Quella
più capace di interpretare soggettivamente e di produrre
oggettivamente il nuovo. E quella che con minore timidezza ha
ascoltato e sottoscritto le ragioni del referendum».
E invece la imbarazza quel che sta capitando nell'Unione e nei Ds
con l'inchiesta Bnl-Unipol?
«L'ho già detto e lo ripeto. Guardare dal buco della serratura delle
intercettazioni è cosa che ritengo scorretta ma soprattutto inutile.
Come avrei potuto cooperare per tanti anni e addirittura pensare un
futuro comune in uno stesso partito se avessi dubitato anche solo un
momento della dirittura morale e del disinteresse personale dei
dirigenti ds con i quali condivido responsabilità politica e di
governo e ai quali manifesto stima e solidarietà? No! I problemi che
mi preoccupano sono sotto gli occhi di tutti. Non abbiamo bisogno di
intercettazioni. Chi vuol vedere deve solo guardare. Il nostro
problema è la commistione tra politica ed economia. Una mescolanza
antica e, nel campo democratico, all'origine penso alle cooperative,
una mescolanza addirittura gloriosa. Ma oggi in tempi completamente
diversi e su una scala diversa una mescolanza assai pericolosa e
incompatibile con le istituzioni e le regole della democrazia
liberale».
Cosa è cambiato?
«La malattia che oggi dobbiamo combattere ha da tempo un nome:
berlusconismo. Una malattia che in emulazione con l'azione di
Berlusconi, talvolta con l'alibi di difendersi da lui e in qualche
caso in cooperazione con lui, ha aggredito la nostra democrazia.
Dobbiamo invece isolare il problema politico e, soprattutto in
occasione della costruzione del Partito democratico come partito
nuovo, discuterne con libertà, lealmente e direi fraternamente,
senza doppiezza e senza complicità. Sapendo che ora siamo nello
stesso partito, nessuno potrà guadagnare delle altrui disgrazie.
Nella consapevolezza, però, che la mancata soluzione impedirà la
nascita di un partito nuovo».

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MAGDA NEGRI

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