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Pd estroverso- Claudia Mancina sul Riformista 2 novembre 2007

By 02/11/2007Politica

il Riformista, 2 novembre 2007 – Con tessere o senza, il Pd sia un partito estroverso – di Claudia Mancina

Non può troppo stupire che il tema del partito, evitato per tutto il corso della campagna delle primarie, sia improvvisamente esploso. La nascita del Partito democratico non è soltanto quella cosa tutta positiva, illustrata da una rosea retorica come l'incontro delle tradizioni riformiste italiane, oltre gli steccati della guerra fredda. È anche, e forse soprattutto, la presa d'atto del sostanziale fallimento dei tentativi di rinnovamento di quelle tradizioni da parte dei due principali partiti del centrosinistra.
Una presa d'atto anche troppo rinviata, e accettata forse più per la pressione di necessità esterne che per una scelta veramente libera, da parte di quei gruppi dirigenti che per più di un decennio si erano ostinati a disconoscere l'opportunità e l'auspicabilità di quest'esito.

Inutile dire che il discorso si riferisce in primo luogo al partito
più strutturato dei due, cioè i Ds. I Ds hanno incarnato nei loro
tormenti, nelle loro lacerazioni, nelle oscillazioni tra la
prospettiva del partito socialdemocratico e quella del partito
democratico, la difficoltà a pensare un nuovo tipo di partito dopo
la fine della guerra fredda. Questa difficoltà, sperimentata, in
modo meno drammatico, anche negli altri paesi europei, da noi è
stata moltiplicata dalla paralisi del sistema politico, che dura da
trent'anni, ovvero dalla morte di Moro, e poi dalla sua fine
traumatica negli anni Novanta. La gestazione del Partito democratico
comincia lì, e porta i segni di quel trauma. È per questo che è
stato difficile in tutti questi anni discutere con mente sgombra
della fine del partito di massa e di come sostituirlo. Ed è ancora
difficile, come testimonia l'improvviso e concitato dibattito di
questi giorni, nel quale si segnala per interesse il Forum
pubblicato ieri dal Foglio. Sembra inevitabile che ci si divida
ancora tra fautori del partito leggero (o liquido) e nostalgici del
partito pesante, o di massa. Qualcuno si ricorderà le discussioni ai
tempi della svolta di Occhetto. Anche allora c'era chi storceva la
bocca di fronte ai tentativi di modernizzazione, in nome del partito
di massa. Adesso come allora mi chiedo se davvero qualcuno creda che
un processo complesso come il declino del partito di massa possa
essere prodotto, o evitato, dall'intenzione di qualche dirigente.
Ciò è tanto poco vero che queste discussioni si fanno, in genere,
quando i fatti sono già avvenuti. Il partito di massa era già finito
negli anni Novanta, non certo per colpa di Occhetto, ma a causa
dell'evoluzione della società, che non aveva più bisogno delle
sezioni per socializzare e per acculturarsi. La sterile discussione
è servita soltanto a non affrontare il problema reale, quello per
cui sarebbe stato possibile fare qualcosa, che non era: partito di
massa sì o no, ma era: come governare questo processo, come cercare
di indirizzarlo ad approdi simili a quelli delle democrazie europee
e utili alla democrazia italiana?
Corriamo anche oggi un rischio analogo: quello di impelagarci in una
discussione sull'opportunità di fare un congresso tradizionale pochi
mesi dopo un evento significativo come l'elezione dell'Assemblea
costituente, o sulla questione delle tessere. Le tessere, è ovvio,
sono una metafora: del partito delle sezioni contro il partito delle
primarie, del partito degli oligarchi contro il partito del leader.
Ma questa è una falsa contrapposizione. Ha ragione Stefano Ceccanti,
nel citato Forum del Foglio, quando dice che c'è una terza
soluzione, ed è quella dei partiti delle grandi democrazie europee.
Terza rispetto al modello americano e al modello italiano. I partiti
delle grandi democrazie europee sono partiti, e non comitati
elettorali come quelli americani, anche se la preparazione delle
campagne elettorali, per vincerle, è la loro funzione fondamentale.
Sono partiti capaci di esprimere una forte leadership, ma non sono
partiti personali come Forza Italia. Sono partiti "estroversi", cioè
organizzazioni nelle quali non c'è una rigida distinzione tra
iscritti e simpatizzanti o elettori, e la spinta maggiore è a
conquistare consensi, non a confermare identità. Il Partito
democratico non può essere altro che questo

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MAGDA NEGRI

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