A parte i maleducati, gli ignavi e le persone troppo piegate da problemi personali…
Perché la gentile signora, oggi al mercato di Via Onorato Vigliani, mi rifiuta il volantino dicendo “A questo punto della mia vita ho concluso che è meglio che per me decidano altri”?
Interessanti analisi vengono da questo articolo, pubblicato ieri, domenica, sul quotidiano Domani.
Un po’ di numeri aridi e qualche conclusione: solo il 30% degli italiani è soddisfatto del funzionamento della democrazia, contro il 70% degli insoddisfatti.
Più deluse le donne, 73%, la fascia 30/50 anni..78%, residenti al sud 72%, ceti popolari 79%.
Delusione verso la democrazia che si rafforza e si accentua verso il processo elettorale.
Se guardiamo alle radici di questo comportamento, arriviamo alle aspettative e alle pulsioni emozionali che le persone riversano nel processo elettorale.
Spero che possiate vedere, nella scala pubblicata: solo per il 33% degli italiani le elezioni servono per dare un futuro al paese… E solo per il 32% servono per cambiare le cose.
Questa prospettiva è sostenuta maggiormente dalle persone anziane e dal ceto medio.
Vedete che poi il 18% pensa che le elezioni servano a ingannare il popolo, solo il 24% le vede come un’occasione per scegliere tra diversi partiti, il 17% le vede come occasioni per punire i partiti incoerenti che non hanno mantenuto le promesse.
In questo mare di emozioni e di pulsioni, archiviato quasi del tutto il voto ideologico, addirittura solo l’11% apprezza quello che a noi sembra un dato politico fondamentale, cioè avere governo responsabili delle proprie azioni, con leader autorevoli.
E, cosa per me quasi incredibile, solo al 12% interessa votare per difendere gli interessi della propria classe sociale e della propria famiglia.
Quindi il grande pericoloso disagio degli italiani verso la democrazia incorpora l’accresciuto distacco dei ceti bassi e popolari e del fastidio rancoroso del ceto medio.
Perché?
Ognuno darà la propria risposta, che non può riguardare solo i partiti, ma l’intera società e la classe dirigente italiana, incapaci “di individuare il perimetro di un nuovo senso di comunanza civica entro cui collocare i tratti complessivi e condivisi dell’evolversi sociale ed economico della nazione”.