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Piero Ignazi – La sinistra in Europa

By 24/09/2008Politica

Il Sole 24 Ore –  23 settembre 2008

L'Europa non è enormemente cambiata dal 1999 a oggi. Eppure mentre allora 13 su 15 Paesi della Ue erano governati da partiti e coalizioni di sinistra, oggi i partiti socialisti sono tutti sulla  difensiva Unica eccezione la sonora vittoria dei Psoe di José Luis  Zapatero, la scorsa primavera.

 

Che cosa è successo? Si tratta dì una crisi ciclica o di una china
irreversibile? Ovviamente non esiste, né nell'uno né nell'altro caso,
una risposta univoca e certa. Ma se ci concentriamo sui tre maggiori
Paesi europei – Francia, Germania e Gran Bretagna – possiamo
individuare linee di tendenza e fattori esplicativi comuni. Rispetto
alla fine del decennio scorso, è vero che non si sono avuti
sconvolgimenti epocali né sul piano sociale né su quello economico.
Però è arrivato a maturazione un processo iniziato almeno due decenni
prima, già negli anni 70. Da allora il sistema produttivo e la
struttura sociale in tutto l'Occidente hanno innescato una
trasformazione dal ritmo progressivamente accelerato mandando in
fibrillazione la stratificazione sociale e, soprattutto, le identità
sociali.

I partiti socialisti hanno sempre fondato la loro ragion d'essere e
le loro sorti elettorali sulla rappresentanza degli interessi della
classe operaia. Quando questa classe incomincia a ridursi
numericamente e a frammentarsi nei suoi interessi e nelle sue
priorità in virtù delle modificazioni strutturali dei sistemi
produttivi, i partiti socialisti riescono a sopperire alla riduzione
tendenziale del loro bacino elettorale di riferimento ampliando
l'appello ai "colletti bianchi" e alle professioni grazie soprattutto
a tematiche ispirate ai diritti civili. Il processo di ammodernamento
intrapreso dai partiti socialisti negli anni 80 e 90 viene stimolato
anche dalla concorrenza dei nuovi partiti verdi, i quali competono
per la conquista delle stesse componenti sociali: come sempre, la
concorrenza è un fattore vivificante. Il Ps francese e la Spd
tedesca, in particolare, hanno compensato la lenta, e allora
contenuta, emorragia di voti operai con la conquista del consenso dei
colletti bianchi e delle professioni intellettuali. La più rigida
divisione in classi della Gran Bretagna, nonché l'assenza di un
competitore libertario-ecologista, hanno invece rallentato
l'evoluzione del Labour britannico.

Tuttavia, mentre negli anni 90 Ps e Spd rintuzzavano l'offensiva dei
verdi e diventavano sempre più il partito dei "bobo", cioè dei
giovani urbanizzati, acculturati e impiegati nei servizi, entrambi i
partiti perdevano contatto con il loro storico elettorato di
riferimento, risucchiato dall'anomia sociale e dall'estrema destra
politica, soprattutto in Francia.Alle drammatiche elezioni
presidenziali del 2002 si scopre infatti che il "partito operaio"
francese non è il partito socialista e nemmeno quello comunista,
bensì il Fn di Jean-Marie Le Pen. E nei Land orientali della Germania
l'estremismo di destra conquista consensi soprattutto nei giovani
operai Nel tentativo di "modernizzarsi" Ps e Spd hanno perso contatto
con la loro base tradizionale. Diversa l'evoluzione in Gran Bretagna,
dove l'assenza di una credibile proposta dell'estrema destra e lo
scontro bipolare con i Conservatori ha consentito al Labour di
mantenere il suo elettorato operaio. Ma dopo un decennio di governo
anche per il New Labour le prospettive sono grigie. Il voto alle
recenti amministrative britanniche, benché non molto significativo,
ha però ribadito quanto già verificatosi alle elezioni politiche del
2005, e cioè una massiccia diserzione delle urne dell'elettorato
operaio.

I partiti socialisti europei sono preda di un paradosso dal quale non
usciranno facilmente. Si sono modernizzati, hanno adottato agende
economiche addirittura più liberiste dei conservatori per dimostrare
la loro conversione assoluta all'economia di mercato, hanno riformato
spesso in profondità- e a volte incautamente – il sistema di welfare,
hanno trascurato l'organizzazione di partito a vantaggio della
comunicazione tramite i media favorendo la personalizzazione delle
leadership, hanno allentato il rapporto con i sindacati (a loro volta
indeboliti dalla fuga dei lavoratori), hanno inseguito temi post-
moderni di nicchia (come i diritti dei gay) e, come sintesi di tutto
ciò, sì sono spostati al centro dello schieramento.

Se in un primo tempo questo spostamento ha avuto fortuna, anche
grazie a personalità come Blair e Schroeder, poi se ne sono pagate le
conseguenze: perché gli elettori preferiscono l'originale alla
fotocopia. Inoltre la riproposizione dell'agenda liberista è
diventata impossibile quando i concorrenti moderati vi hanno inserito
l'agenda valoriale neoconservatrice (sostanzialmente: Dio, patria,
famiglia). A questo punto la rincorsa non poteva andare oltre. Ma lo
strappo con la constituency originale era già consumato. Ora i
partiti socialisti sono in trappola, stretti tra il dinamismo del
neconservatorismo compassionevole sarko-cameroniano e l'aggressività
rancorosa della sinistra radicale. E, come dimostra il dibattito
precongressuale del Ps, la loro riflessione arranca tra schemi del
passato e ricerca di una via per coniugare giustizia sociale, diritti
e sviluppo. Se però i partiti del vecchio continente avessero, per
una volta, l'umiltà di guardare oltreoceano, troverebbero nei
democratici americani le linee guida di un pensiero liberal, ben più
convincente delle ricette "socialiste".

 

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MAGDA NEGRI

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