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Pirani su Repubblica: la scuola nel paese dei balocchi 20 ottobre 2007

By 21/10/2007Politica

La Repubblica, 20 ottobre 2007 – LA SCUOLA NEL PAESE DEI BALOCCHI – MARIO PIRANI

Non credo che l'opinione pubblica abbia afferrato il valore della reintroduzione degli esami di riparazione, anche se la formula odierna è assai più articolata di quella in vigore fino al 1995, quando il ministro D'Onofrio (primo governo Berlusconi) ebbe la brillante idea, con l'appoggio, però, dell'intero Parlamento, di abolirli. E, infatti, sarebbe ingiusto addossare tutta la responsabilità di quella misura al ministro Udc che firmò il decreto.
Era quello il punto culminante di una deriva che dal '68 in poi vide nella destrutturazione di ogni gerarchia scolastica, in particolare di quella tra docente e discente, la via per arrivare a una scuola di massa di stampo egualitario.Una scuola che, eliminando anche su scala studentesca la formazione di élites, assicurasse a tutti i giovani, nessuno escluso, una formazione sufficiente. L'insegnamento di don Milani che si basava su due pilastri, la valorizzazione della figura del maestro e lo sforzo per insegnare a tutti, anche con modalità nuove e particolari per i meno dotati, venne via via distorto nell'automatismo delle promozioni generalizzate quale che fosse il grado di apprendimento.
Gli insegnanti vennero esautorati dalla possibilità di premiare e punire i loro alunni con un voto che veniva perdendo di significato pratico. La condotta non contò più ai fini del profitto e anche il bullo più protervo sapeva di potersela cavare, al massimo, con qualche giorno di sospensione. La figura del docente perse di conseguenza, tranne quelli dotati di particolare carisma, ogni autorità di ruolo.
La pedagogia imperante imbrigliò in forma di direttive, norme burocratiche, imposizioni didattiche l'assieme di dissennatezze che si era venuto accumulando e le chiamò «riforme», firmate con un unico disegno e qualche variabile, da ministri di sinistra e di destra. Il berlusconismo, poi, incentivò la nefasta teoria della scuola come azienda (le famigerate tre I: impresa, inglese, internet) per cui i clienti-studenti avevano ragione per principio, qualunque cosa pretendessero e i commessi-insegnanti dovevano cercare di adeguarsi, pena le reprimende del direttore aziendale, un tempo preside.

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Letizia Moratti accentuò il permissivismo, svuotando l'esame di Stato, abolendo l'esame finale di ammissione, incrementando il lassismo dei diplomifici privati. Infine, in un impeto di sincerità, cancellando l'aggettivazione di Pubblica dalla denominazione del ministero, che si chiamò semplicemente dell'Istruzione (ora, col centro sinistra, l'aggettivo è tornato). Frattanto si passò per legge dal diritto allo studio, garantito dalla Costituzione, al «diritto al successo formativo», dove non c'è spazio per l'insuccesso e che nessuna costituzione può assicurare. Ci pensò l'inventiva pedagogista: chi alla fine dell'anno si mostrava assolutamente carente gli si dava un voto virtuale, un sei rosso, come veniva chiamato, perché era scritto sui quadri finali con questo colore. Poi lo si nascose in nome della privacy e la carenza è stata, finora, resa nota per lettera ai genitori, con l'informazione che, per ogni materia con insufficienza grave, il loro figliolo era gravato da un «debito» che avrebbe dovuto saldare negli anni seguenti. Ma in tutto quest'arco di tempo solo uno studente su 4 si è dimostrato capace di saldare i debiti entro la fine del successivo arco scolastico. La maggioranza ne esce fino al termine dei corsi con una serie di promozioni che si portano in seno una sequela di bocciature, cancellate artificiosamente. Magari si iscrive a Lettere qualcuno che seguita a scrivere cuor col q, da sempre insufficiente in italiano e latino; o a ingegneria chi non è mai riuscito a risolvere una equazione. Si è giunti all'assurdo che molte facoltà universitarie si siano viste costrette ad organizzare per i nuovi iscritti corsi di italiano, per insegnar loro almeno la grammatica e la sintassi. Questo spiega la ragione di quelle classifiche internazionali che condannano i nostri ragazzi agli ultimi posti in Europa. Il che non vuol dire – si badi bene – che non vi sia una corposa aliquota di alunni di eccellenza e che, quando, come ormai sovente avviene, completano i loro corsi all'estero risultino fra i più preparati. Si tratta, infatti, di giovani studiosi, avvantaggiati, però, dall'esser figli di famiglie dove la cultura è di casa e/o di buone condizioni economiche. L'egualitarismo permissivo ha prodotto una scuola dove la differenza di classe sociale genera una ingiustizia assai più grave che nel passato. L'abbandono di ogni principio di autorità, la cancellazione di ogni concetto di limite, la delegittimazione degli insegnanti ha indotto una parte crescente di giovani ad immaginare che la scuola sia un luogo da attraversare di tappa in tappa, anche senza eccessiva fatica e sforzo, dove ogni tipo di comportamento è tollerato ed impunito, dove non esiste sanzione, dove i più scansafatiche e i bulli si affermano e prevalgono nel gruppo, mentre chi studia e si comporta bene è considerato un fesso, perché tanto, alla fine, il risultato appare equivalente. Quest'anno il numero di ragazzi che si avviano alla conclusione del ciclo scolastico carichi di debiti inesigibili è di ben 800mila, il 41% dell'intera popolazione scolastica delle superiori! Matematica, italiano, lingua straniera e latino, materie decisive per la formazione, sono proprio quelle dove si accumulano i debiti. Sono dati impressionanti e va dato atto al ministro Giuseppe Fioroni e alla sua vice, Mariangela Bastico (fino a ieri Margherita e Ds), di essersi mossi con coraggio e intelligenza per arginare il torrente di ignoranza che rischia di sommergere la gioventù di questo Paese e per ridare ruolo, senso e dignità alla scuola pubblica. Il «ritorno all'ordine» da loro intrapreso si è mosso in questo anno e mezzo in più di una direzione: è stato rivalutato l'esame di Stato, immettendo nella commissione giudicatrice la metà di commissari esterni, più il presidente; è stato reintrodotto lo scrutinio di ammissione alla terza media; briglie più severe sono state tirate per impedire che i «diplomifici» privati seguitino a sfornare «facili» titoli di studio, la scuola dell'obbligo è stata alzata a 16 anni. Ora hanno compiuto il passo decisivo, abrogando la possibilità di trascinare il carico di debiti da un anno all'altro. A differenza dei vecchi esami di riparazione, si è però previsto un meccanismo di supporto permanente e gratuito per gli alunni in difficoltà. Per renderlo operante sono stati stanziati 150 milioni nella Finanziaria. Secondo questo meccanismo dopo il primo quadrimestre si procede a un primo scrutinio e chi risulterà impreparato dovrà frequentare nel pomeriggio corsi di recupero che la scuola è obbligata ad organizzare. Una seconda verifica si avrà al termine del secondo quadrimestre. Chi risultasse ancora in deficit avrà a disposizione corsi di ripetizione gratuiti (anche se le famiglie possono optare per una assunzione diretta del recupero, a loro carico). Entro il 31 agosto scatta la terza prova. Chi la supera è promosso, chi no ripeterà l'anno. In concomitanza anche l'ampio spettro della condotta è stato investito dal nuovo spirito che sembra animare viale Trastevere. È inutile ricordare qui – le cronache ne sono piene da anni – i ricorrenti episodi di bullismo che devastano la vita scolastica. Finora, in base allo Statuto dei diritti dello studente, potevano essere al massimo puniti con 15 giorni di sospensione. La punizione, inoltre, non incideva sulla valutazione di merito (in seguito al depotenziamento del 7 in condotta). Ora basta. Con un decreto del Consiglio dei ministri lo Statuto è stato modificato. Gli atti di prepotenza e violenza verranno sanzionati, commisurandoli all'infrazione o al reato. La bravata occasionale è altra cosa dall'aggressione sistematica al ragazzo down. Ma per i violenti recidivi, i vandali, i diffusori di filmati osceni e simili sarà possibile l'allontanamento per l'intero anno scolastico, che risulterà perduto, e la non ammissione all'esame di Stato. La punizione potrà essere accompagnata da misure sociali. Ad esempio chi insulta e perseguita un disabile sarà obbligato a frequentare ed aiutare per un certo periodo una comunità down, così da acquisire consapevolezza della gravità del suo comportamento. Il risarcimento degli atti di vandalismo addebitati alle famiglie. Naturalmente, per assicurare garanzia giuridica alla punizione, è previsto un organismo interno di ricorso. Questi i tratti essenziali della svolta in atto. Essa rappresenta un recupero di valori essenziali dell'insegnamento scolastico, può dare ai giovani un di più di impegno e di fatica ma anche un grado di cultura ben più solida per l'avvenire. Soprattutto una possibilità di maggiore eguaglianza sociale nel grado di apprendimento. La svolta – che dalle colonne di Repubblica abbiamo auspicato da anni – ha incontrato, peraltro, le prime ostilità. Non ci riferiamo alle comprensibili manifestazioni di piazza dei tanti giovani che vorrebbero nulla mutasse e il percorso scolastico restasse privo di ostacoli (ma anche di qualità formative). Il Paese dei Balocchi ha, infatti, sempre rappresentato una attrattiva fino al giorno delle orecchie d'asino. No, ci preoccupa di più il riemergere delle antiche preclusioni da parte di quei grumi della sinistra, impersonati in questo caso dalla Cgil-Scuola e da Rifondazione, che ha bollato l'iniziativa di Fioroni come un ritorno alla scuola selettiva. Costoro dovrebbero riflettere al fatto che la destra, quando è stata al governo, si è mossa invece proprio nella direzione da loro auspicata. Non a caso pochi giorni fa il senatore leghista Calderoli, l'autore della legge elettorale «porcata», ne ha tentata un'altra delle sue con un odg, approvato da una coorte di demagoghi irresponsabili, teso a silurare il decreto Fioroni. È sperabile il governo tenga duro, non trovino eco queste critiche e non si ripeta, come su altri temi, il solito compromesso al ribasso per snaturare e togliere forza esecutiva alle misure approvate.

 

 

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