Avevo promesso all’ultima direzione regionale del Pd piemontese ad Orta che non avrei mai partecipato come candidata a votazioni di liste bloccate. E l’ho fatto mercoledì 24 settembre, molto contenta di cominciare non a parlare, ma a fare. Dovevamo eleggere il Direttivo del gruppo del Pd al Senato. Io da mesi avevo suggerito per iscritto ai capigruppo di osservare con precisione i nostro regolamento che prevede l’elezione a voto segreto e limitato (due o quattro preferenze uomo-donna) per tutelare le minoranze.
Il numero dei componenti del direttivo è i 12 e può essere aumentato con l’accordo dei due terzi dell’assemblea per evitare liste bloccate di origine esclusivamente correntizia. Avevo proposto liste in eccesso frutto anche di autocandidature. La presidenza del gruppo aveva avvisato i senatori ad autocandidarsi. Ma pare che l’abbiano fatto solo in tre: due noti magistrati e io. Stranamente io poi sono stata assorbita dalla proposta ufficiale di 14 e gli altri due invitati a ritirarsi. Ho protestato e chiesto che si tenesse la lista nella sua completezza. Il 90% dei senatori presenti non conosceva il regolamento ed era visibilmente spaventato dal procedere a voto segreto. I popolari hanno cominciato una microrivoluzione. Io ho tenuto duro e volutamente drammatizzato, proponendo di votare le liste bloccate a voto palese.
E ho ritirato la mia autocandidatura perché violava l’unità e l’autonomia del gruppo. Ne ho voluto esplicitamente fare un caso politico. Grande trambusto e congratulazioni imbarazzate alla sottoscritta. Ci siamo aggiornati giovedì 25 settembre e si è deciso che si voterà a voto segreto, da regolamento, anche se resta la lista bloccata e quindi è solo un indice di gradimento. I capicorrente hanno vinto a metà. Il regolamento è stato formalmente rispettato. Io mi sono rifiutata di stare in una lista bloccata e ritengo di aver segnato un punto a vantaggio del metodo democratico. I Popolai sono molo arrabbiati con me