Di seguito pubblico l'articolo del Sole 24 ore a titolo "Il Pd canta vittoria ma si divide sull'occupazione dell'aula". In grassetto le mie dichiarazioni in aula.
In serata il Pd cantava vittoria ma la giornata non era stata tutta a somma positiva. Già perché prima che Renato Schifani decidesse il rinvio in Commissione degli emendamenti sul Ddl intercettazioni, il gruppo dei Democratici al Senato aveva avuto un duro confronto sul tema «occupazione sì o no» dell'Aula.
L'ipotesi era stata già discussa, la scorsa settimana, in una assemblea che aveva votato un mandato al presidente Anna Finocchiaro per assumere tra le opzioni di battaglia parlamentare anche quella più estrema, l'occupazione. Un'ipotesi che aveva fatto saltare dalla sedia almeno una buona metà dei Democratici e fra loro voci autorevoli come l'ex presidente del Senato, Franco Marini, e il vicepresidente di Palazzo Madama Vannino Chiti. E ieri quelle voci si sono ritrovate in un'assemblea che ha diviso, ancora una volta, il Pd.
L'intervento più applaudito è stato quello di Magda Negri che più o meno ha detto così: dobbiamo avere un nostro profilo autonomo e non farci dettare la linea da "Repubblica" o dall'Idv.
Così come molto applaudito è stato Vannino Chiti che ha ricordato come perfino quando il centro-destra modificò 55 articoli della Costituzione a colpi di maggioranza non ci fu nessuna «occupazione» delle aule parlamentari. E comunque Chiti ha messo sul tavolo l'obiezione di coscienza «perché non si può obbligare un parlamentare a violare le norme del regolamento». Sullo spartiacque della legalità si sono ritrovate le varie correnti del partito, da popolari a dalemiani a veltroniani, e di fatto è sfumata l'opzione più estrema. Anche se c'erano molti, in modo trasversale, disponibili ad "occupare" come Vincenzo Vita o Achille Serra. «In realtà, questa opzione sconta la frustrazione della base del gruppo Pd che soffre il fatto di sentirsi irrilevante, cioè di non essere presenti sui media», raccontava Giorgio Tonini.
La sindrome dell'"essere invisibili" è quindi quella che ha spinto a mettere sulla scena politica un gesto eclatante «anche se perdendo di vista la legalità si mette in moto un'escalation di reazioni pericolosa», faceva notare Stefano Ceccanti. Fatto sta che tutto questo accadeva quando la giornata non aveva ancora preso il suo svolgimento. Ed era quello che faceva notare Nicola Latorre che non vedeva – come infatti è accaduto – uno scenario tale da mettere in moto una simile reazione.
E dunque è stato lui a far decantare gli umori – e malumori – e ad affidare alla presidenza del gruppo una scelta finale al termine della giornata ma senza prevedere voti di assemblea che avrebbero visto nuove divisioni pure sulle intercettazioni. «L'occupazione è stata l'arma, il deterrente per fare pressioni sulla maggioranza», dicevano i più stretti collaboratori di Anna Finocchiaro. Ma a dare l'aiuto fondamentale – più che la minaccia di occupazione dell'Aula – è stato il presidente della Camera.
E infatti, a fine serata e dopo l'altolà di Fini, è arrivata la decisione del rinvio in Commissione. «È una nostra vittoria, figlia di una battaglia parlamentare forte», diceva Anna Finocchiaro dando ragione a Fini perché «la maggioranza ha condotto un balletto indecoroso che ha svilito il ruolo del Senato, è dunque difficile dare torto al presidente della Camera».