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“Il miracolo” di Umberto Ranieri- Il Riformista 7 maggio

By 07/05/2008Politica

Il Riformista, 7.5.08

IL MIRACOLO CHE DURA DA SESSANTA ANNI

di Umberto Ranieri

Da vent'anni i libri sono protagonisti del gran palcoscenico della
Fiera di Torino. Un luogo in cui si confrontano idee, posizioni,
esperienze diverse e in cui il pubblico incontra i propri autori. La
Fiera ospita ogni anno un paese. L'anno prossimo toccherà all'Egitto.
Ospiti di quest'anno sono gli scrittori israeliani. Autori che
appartengono alla cultura mondiale, non solo a quella israeliana.
Voci di tolleranza che nelle loro opere si misurano con il tema,
cruciale nel mondo in cui ci tocca vivere, della comprensione
dell'altro. Un manipolo di faziosi ha promosso il boicottaggio di
questo evento: gli scrittori israeliani, secondo costoro, non
dovrebbero essere ospiti della Fiera. Si decreta un ostracismo ad una
letteratura tra le più vitali e appassionanti del nostro tempo. Una
pretesa intellettualmente meschina. Una grossolana faziosità.
Conforta che il Presidente della Repubblica abbia accettato l'invito
degli organizzatori a presenziare all'inaugurazione. Un gesto forte e
coerente con quanto affermato sulla situazione mediorientale nel suo
discorso di insediamento. In prima fila nell'oltranzismo
antisraeliano si è distinto Tariq Ramadan. Ambiguo ed enigmatico
intellettuale musulmano. Aduso a promuovere appelli che chiedono il
boicottaggio di Israele piuttosto che contribuire, con la ricerca e
gli studi, a fare giustizia di demagogia e manicheismi. A turbare
Ramadan c'è il fatto, come egli dichiara, che l'invito degli
scrittori israeliani alla Fiera di Torino avvenga nel 60°
anniversario della fondazione dello Stato di Israele. Quello che non
va a genio, quindi, è che Israele esista.
Liberiamo il campo dalla questione attorno a cui negli ultimi anni si
sono concentrati i maggiori equivoci. Non è in discussione la libertà
di critica alla politica dei governi israeliani. Né c'è chi sostiene
che esprimere critiche ad Israele sia una pratica antisemita. Il
punto è la contestazione, a sessanta anni dalla sua nascita, del
diritto dello Stato di Israele ad esistere. La legittimità dello
Stato di Israele si fonda sul dato storico che esso fornì un riparo
agli ebrei esposti alla furia dell'antisemitismo e fu sanzionata da
un voto dell'Assemblea delle Nazioni Unite. La Risoluzione 181, del
29 novembre 1947, che ripartiva la Palestina in uno Stato ebraico e
in uno Stato arabo, fu il coronamento di un movimento nazionale, il
sionismo, nato alla fine del 19° secolo come risposta al fallimento
dell'emancipazione degli ebrei in Europa.

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Il sionismo non fu una propaggine della rapacità dell'Europa
ottocentesca verso le colonie e le materie prime. Fu un movimento di
liberazione nazionale. Decimati dai pogrom e dalle persecuzioni, gli
ebrei che ritornavano nella loro patria ancestrale non erano emissari
di una potenza straniera. Anzi. Essi recidevano i propri legami con i
paesi d'origine. Il sorgere di Israele, occorre ricordarlo, ebbe
conseguenze penose per i palestinesi. La guerra del '48-'49 provocò
lo smembramento della loro comunità. Difficile dimenticare tuttavia
che furono gli Stati arabi a rifiutare la Risoluzione 181 che
prevedeva la nascita di uno Stato palestinese contiguo a quello
israeliano, furono quei regimi a incoraggiare la comunità araba ad
iniziare la guerra civile e a invadere la Palestina il 15 maggio del
1947 con l'obiettivo di distruggere Israele.
Sono trascorsi 60 anni. La pace è ancora lontana. Nessuno in questo
conflitto ha il monopolio della sofferenza; né la responsabilità per
le atrocità di guerra sono esclusive di una parte soltanto. In questa
tragica disputa sia gli ebrei sia gli arabi hanno commesso atti di
imperdonabile violenza. Hanno spesso imboccato la via sbagliata. Oggi
spetta ad entrambi, israeliani e palestinesi, trovare quelle modalità
realistiche che consentano di raggiungere la pace. La creazione e la
stessa esistenza di Israele appaiono, agli occhi di un laico come lo
scrittore Grossmann, un miracolo. Lo Stato di Israele ha dato al
popolo ebraico una volontà nazionale e una capacità di difesa
straordinaria. «Vivere con la spada sguainata» è stato il destino di
Israele. Ma il costo politico del successo militare si è rivelato
sempre più alto.E il timore di un annientamento a tratti apocalittico
non ha mai abbandonato Israele. Nemmeno le vittorie militari lo hanno
permesso.Ecco perché la politica,anche nella drammatica realtà
mediorientale, deve tornare ad essere il fattore decisivo per
perseguire obiettivi di sicurezza e di pace. C'è da augurarsi che a
60 anni dal primo conflitto fra i due contendenti, israeliani e
palestinesi ritrovino il filo di negoziati efficaci. Sappiano
intendersi. Anche la letteratura può dare una mano. Secondo la
definizione di Kafka, «la letteratura rende finalmente possibile lo
scambio di una parola sincera da uomo a uomo». Chissà se lo capiranno
Vattimo e Ramadan.

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MAGDA NEGRI

www.magdanegri.it

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