Cristina Mochi – 2 gennaio 2009
"Fin da bambina ero sicura di non voler diventare moglie e madre". "Ho più possibilità oggi di quando ero ventenne, per profondità di pensiero e intuito"
Ogni giorno in laboratorio, la fondazione per le donne africane e un libro in uscita
ROMA – Il cervello non ha rughe. Se continua a lavorare sodo, si rinnova continuamente, anche dopo gli ottant'anni. Anzi, a differenza di altri organi, può perfino migliorare. "Con la mia attività lo dimostro: oggi ritengo di avere più possibilità di quando avevo vent'anni, per profondità di pensiero e intuito", racconta il premio Nobel Rita Levi Montalcini. Poi, da scienziata, spiega che il merito di un tale prodigio è tutto della plasticità neuronale: se non intervengono malattie come l'Alzheimer, il nostro cervello supplisce alla perdita di neuroni con la capacità di quelli rimasti di trovare circuiti alternativi.
A giudicare dal suo caso, la teoria funziona: alla soglia dei
cent'anni (li compirà il 22 aprile) la professoressa va in
laboratorio all'Ebri (European Brain Research Institute, con sede a
Roma) tutte le mattine, ha da poco pubblicato il libro "La clessidra
della vita" e lavora a uno nuovo. Non solo: segue puntualmente i
lavori della Fondazione da lei ideata per dare un futuro alle donne
africane. "Speriamo di arrivare a diecimila borse di studio assegnate
entro aprile" dice Giuseppina Tripodi, da oltre quarant'anni sua
fidata collaboratrice. "Per la professoressa sarà senza dubbio questo
il regalo più gradito".
Quando si iscrisse a medicina sperava infatti di seguire l'esempio di
Albert Schweitzer, che curava "gli ultimi del mondo" in Africa. Ma
prima si trovò a combattere contro il volere del padre, ingegnere,
proprietario di una fabbrica di ghiaccio, che non approvava che le
figlie femmine si dedicassero allo studio: "Mi disse solo 'non posso
impedirtelo, ma non ti approvo'". Poi arrivarono le leggi razziali e
la giovane Rita, che nel frattempo si era laureata a Torino e
lavorava presso l'Istituto di anatomia comparata, venne sospesa
dall'attività accademica. "Allestii allora un laboratorio di neuro-
embriologia in camera da letto". Dove operava embrioni di pollo con
aghi sottilissimi. Renato Dulbecco, suo compagno di studi, ricorda
ancora la destrezza e la precisione da artista con le quali la
ricercatrice muoveva le mani. Fu in quella camera, di fatto, che pose
le basi per la scoperta (realizzata più tardi, negli Stati Uniti)
dell'Ngf (Nerwe Growth Factor), il fattore di crescita nervoso, che
le valse il Nobel.
Il cervello non ha rughe però qualcuno, forse, è più bello degli
altri…
"Non credo, l'intelligenza non è del tutto programmata alla nascita.
Insomma, non è genetica. Le donne, per esempio, valgono esattamente
quanto gli uomini, anzi, sono dotate di una maggiore flessibilità
cerebrale. Purtroppo nel corso della storia sono state tenute lontane
dall'istruzione. Ma là dove hanno accesso al sapere, i risultati non
mancano. È uscito da poco un libro sulle donne matematiche in Russia:
sono tante e hanno capacità che prevalgono anche su quelle degli
uomini".
Lei ha faticato a farsi valere?
"Solo all'inizio. Fin da bambina ero sicura di non voler diventare
moglie e madre. Vedevo in famiglia una prevalenza assoluta di mio
padre e lo temevo molto: due più due non faceva quattro davanti a
lui, che pure era un matematico. Mia madre, pittrice, dovette
smettere di lavorare dopo il matrimonio. Ma, sul lavoro, c'è sempre
stata sintonia con i colleghi maschi. Certo, oggi è tutto cambiato,
le donne non sono obbligate a scegliere tra lavoro e famiglia e gli
uomini, in casa, sono più collaborativi".
Il mondo le sembra più razionale di ieri?
"Viviamo ancora dominati da bassi impulsi, come cinquantamila anni
fa. Perché il nostro cervello ha una componente arcaica e limbica
(che ha sede nell'ippocampo) che è aggressiva, emotiva e affettiva ed
è quella che ha permesso all'australopiteco di salvarsi, quando è
sceso dagli alberi e ha affrontato il mondo. L'altra componente,
cognitiva e neocorticale, è molto più recente e corrisponde alla fase
dello sviluppo del linguaggio. Purtroppo questa parte non riesce
ancora a controllare quella più antica che, anzi, nei momenti estremi
(guerre, crisi, carestie) torna dominante. Sono le condizioni
ambientali, in definitiva, a metterla in funzione: nei regimi
totalitari, per esempio, l'attività del cervello arcaico è al
massimo".
Ma lì risiedono anche le emozioni: dobbiamo metterle a tacere?
"Occorre tenerle sotto controllo. Ed è quello che andrebbe insegnato
anche a scuola. L'educazione è ancora troppo legata al binomio
vittoriano punizione-premio. I bambini non sono cuccioli di cane,
hanno una componente cognitiva sulla quale bisogna far leva fin dalla
nascita".
Le neuroscienze in questi anni hanno raggiunto molti traguardi. A
quando una cura per l'Alzheimer?
"Ci lavoro giorno e notte. L'Ngf da me scoperto nel 1940 è una
molecola proteica che trasforma una cellula qualsiasi in un neurone.
Provata sui topi, ha dimostrato di essere in grado di bloccare
l'Alzheimer e così è stato anche nei pochissimi casi umani nei quali
è stata utilizzata. Io sono alla disperata ricerca di fondi perché il
farmaco possa essere messo a disposizione di tutti: purtroppo
l'industria, finora, non ha voluto investire".
Nonostante il Nobel…
"Il premio non mi ha portato alcun vantaggio economico (è stato
devoluto in beneficenza) e devo ringraziare il presidente Ciampi che
nel 2001 mi ha nominata senatrice a vita. Non avendo pensione né
onorario, mi trovavo in difficoltà economiche".
A proposito di Parlamento, che effetto le hanno fatto i nostri
politici quando li ha visti da vicino?
"Escluse poche persone di grande valore, come Anna Finocchiaro, non è
un mondo che mi piaccia. Quando c'era Prodi andavo regolarmente in
Parlamento. Tra l'altro abbiamo obiettivi comuni: anche lui ora entra
nell'attività a favore dell'Africa…".
Lei è a favore del testamento biologico e della ricerca sulle cellule
staminali. Crede che ci sia un conflitto insanabile tra scienza e
fede?
"Ognuno può essere della religione che vuole: cristiana, musulmana…
io sono della religione laica (sorride). Ma non c'è affatto contrasto
con la ricerca. Non si possono mettere lucchetti al cervello, perché
è la sola cosa che ci differenzia dagli animali. Quanto al testamento
biologico, credo che ognuno abbia diritto di uscire con dignità dal
mondo".
Lei a suo tempo è stata un cervello in fuga. Cosa consiglia ai
giovani universitari di oggi?
"L'Italia è stata suicida: il meglio dei nostri cervelli è sempre
andato all'estero da dove, trovandosi benissimo, non fanno ritorno.
L'Italia dovrebbe richiamarli, ma solo in base al merito e non per
appartenenza ai gruppi di potere. Ma la meritocrazia in Italia non
esiste: non è un bel momento".
Più oggi di ieri?
"Il passato non era migliore, tutt'altro. Se pensiamo alla totale
subalternità della donna, le cose sono molto migliorate".
Ma le donne hanno raggiunto una piena parità di trattamento, ora che
il ministro Brunetta le vuole mandare in pensione a 65 anni? Lei che
cosa ne pensa?
"La pensione non si può ritardare perché ci sono molti giovani, e
donne soprattutto, che devono entrare nel mondo del lavoro. Detto
questo, la nostra aspettativa di vita è ormai tale che almeno dieci
anni prima della pensione ognuno dovrebbe pensare a una seconda
attività, una seconda passione da sviluppare. Perché altrimenti il
cervello si ferma. E con lui il corpo".
E tra le sue, di passioni, ci sono ancora Bach e Schubert?
"Quand'ero ragazza li ascoltavo alle cinque del mattino: i miei
vicini mi dicevano: almeno appendi alla porta il programma del
giorno. Oggi? Oggi mi manca il tempo…".