1. L’esito delle concentratissime primarie per i parlamentari (sbagliate definirle cos’, si è trattato di un voto a preferenza doppia su lista chiusa diretto a una base elettorale di stretta appartenenza) è stato giustamente valorizzato per i suoi aspetti innovativi di età e di genere che qualificheranno almeno per un decennio i gruppi parlamentari del centro sinistra. Una innovazione di lunga durata. Il Piemonte ha confermato questa tendenza
2. Ad una considerazione più ravvicinata, per quanto riguarda le dinamiche interne di partito si è assistito al “liberi tutti…competition is competition” con un eccesso di autotutela del gruppo dirigente e delle correnti più organizzate, con una desertificazione monopolistica di alcuni territori e, visti i molteplici abbinamenti uomo – donna sono verificate le combinazioni più varie, apparentemente non coerenti. Insomma abbiamo tutti fornicato un po’, ma nulla è stato lasciato al caso.
3. Trovo molto positivo che nella cintura torinese sia naturalmente riemersa la tendenza a rifare il collegio uninominale luogo di forza e di riconoscibilità politica dai territori. In questo senso non parlerei di “pericoli localistici” che hanno appesantito il voto.
4. Il lavoro dei deputati e dei senatori uscenti non ha in nessun modo pesato, non è stato considerato un contributo collettivo per il partito. Prendere atto di questo implica una doppia conseguenza. Non ci sono più i criteri di una volta per selezionare gli eletti al parlamento del PD ma nemmeno ci sono più i gruppi dirigenti di una volta, la cui funzione era scegliere, mediare, fare sintesi, garantire un quadro di pari opportunità, nell’interesse generale del partito. Cosa rimane della funzione dirigente?Cosa rimane delle funzioni cosiddette centrali (segreteria federale e regionale, responsabili di organizzazione….)? Sembra profilarsi un ruolo meramente strumentale, servente rispetto a logiche di gruppo, corrente, singoli e aggressivi protagonisti politici. “Ex facto oritur ius”: se questa è la costituzione materiale del PD sarà piuttosto inutile mantenere la struttura pesante e costosa del partito tradizionale. Pensiamoci per il prossimo eminente congresso
5. Il problema politico principale: tutta la grande stampa di opinione analizzando la soggettività politica degli eletti sottolinea uno spostamento non ti tipo social democratico ma da sinistra social democratica dell’asse politico programmatico del PD che sarebbe divenuto una sorta di “Cosa quattro”, con una torsione ancora più parasindacale e una sorta di cinghia di trasmissione alla rovescia: non più dal partito al sindacato, ma dal sindacato – CGIL al partito. Se così fosse, se fosse soffocato il pluralismo del PD, la sua funzione rinsecchirebbe insieme ai voti. La rosa dei candidati piemontesi mi sembra ricca e plurale, ma la campagna elettorale è cominciata con questo segno. Il Piemonte non è come Torino e la concorrenza delle liste Monti è una cosa seria.
6. Da ultimo il ruolo dei candidati nazionali. Ho votato tranquillamente il regolamento della direzione nazionale ma solo “facendo” ci siamo accorti che era troppo contradditorio applicare da una parte la rivoluzione protestante (i sottoposti alle primarie) e dall’altra mantenere vescovi e cardinali assisi nel Concilio di Trento. Per i candidati nazionali cerchiamo almeno di importare quelli in grado di arricchire l’offerta politica del partito piemontese uscito dalle primarie.