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Saraceno- L’amara vita dei laureati – La Stampa

By 01/03/2008Politica

Il numero di coloro che terminano gli studi con una laurea è quasi raddoppiato da quando nel 1999 è stato introdotto il sistema a due livelli. Ma negli ultimi quattro anni le immatricolazioni sono calate del 9%. L'Italia sembra destinata a rimanere ancora a lungo tra i paesi dell'area OCSE con la più bassa percentuale di laureati non solo nella popolazione complessiva, ma anche tra la popolazione giovane: 16% rispetto al 19% della media OCSE.

Le persistenti difficoltà che incontrano i giovani a collocarsi sul mercato del lavoro e ad ottenere una remunerazione adeguata scoraggiano i ragazzi e le famiglie, specie dei ceti più modesti, dall'intraprendere un percorso che non sembra dare i frutti sperati: ad un anno dalla laurea lavora poco più della metà (53%) dei laureati pre-riforma e il 45% di quelli post-riforma, ovvero con laurea triennale, inclusi coloro che già lavoravano mentre studiavano e coloro che lavorano mentre proseguono gli studi per la laurea di secondo livello. (leggi tutto)

 A cinque anni la percentuale arriva all'85%; ma oltre un quarto è ancora in un rapporto di lavoro a tempo determinato e un altro quarto ha un lavoro autonomo: una situazione che, come si sa, nasconde anche molto precariato. Si tratta, per altro, di occupazioni a remunerazione molto contenuta e tra le più basse in Europa, anche se più alta di quella dei diplomati: rispettivamente 1040 e 1342 euro mensili netti per un neo-laureato e per un laureato da 5 anni.
Sono alcuni dei dati che emergono dall'ultimo rapporto Almalaurea presentati ieri a Catania. Altri dati confermano la persistenza delle diseguaglianze tradizionali nel nostro paese ed anche il rafforzamento di alcune nuove. Rimangono infatti costanti le differenze territoriali, in termini di possibilità di inserimento nel mercato del lavoro dei laureati ed anche di guadagno. Si riducono, ma di poco, le differenze di genere, che vedono le laureate in maggiore difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro, a stabilizzare il proprio rapporto di lavoro e ad ottenere una remunerazione pari a quella dei loro compagni.
Non è solo il carico famigliare a penalizzare le donne. O meglio, è già l'idea che potrebbero averne uno che le rende meno appetibili sul mercato del lavoro. Così che quando arriveranno ad una negoziazione con il loro compagno sulla divisione del lavoro per il mercato e per la famiglia partiranno già in posizione di svantaggio. Rimangono, vistosissime, le differenze di classe sociale. Se è vero che oltre il 70% dei neo-laureati ha genitori non laureati, la scelta del percorso di studi è ancora fortemente dettata dalle risorse famigliari e dalla professione dei genitori, con conseguenze non irrilevanti sulla efficacia della laurea sul mercato del lavoro. Una efficacia che sempre più dipende anche dall'avere una formazione aggiuntiva: stage, conoscenza delle lingue e dei pacchetti informatici, formazione post-laurea – tutte cose che dipendono in larga misura dalla cultura e risorse famigliari.
Il risultato è che tra i laureati del 2002 dopo cinque anni i figli della classe operaia guadagnano 1.238 euro, quelli della borghesia 1.437 euro. A chi ha, continua ad essere dato, senza che vi sia visibile correzione di rotta. Anche perché sull'università in Italia si investe molto poco a confronto di quanto avviene altrove. Le riforme si susseguono a costo zero, con scarsa attenzione per le condizioni sia di insegnamento che di studio. Come se una università consistesse solo di insegnamenti e aule. Ma se l'università – i suoi ministri, i suoi professori – ha molte colpe, anche il mondo delle imprese ha le sue, non piccole. Altrimenti non ci si spiegherebbe come mai i laureati italiani che vanno all'estero guadagnano di più ed hanno più opportunità dei loro compagni che rimangono in Italia.

 

 

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MAGDA NEGRI

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