10 aprile 2008. Voto di sfiducia costruttivo
Mai come questa volta molta gente è incline a non votare. Anche perché mai come questa volta la gente non sa per chi votare. Mi astengo? Mi turo ilnaso? Pensa e ripensa mi è venuta una pensata. Lasciamo da parte il nocciolo duro dei partiti, i fedeli che votano e voteranno sempre per il loro. Il fatto è che gli «infedeli» sono aumentati, e che in questa elezione il numero dei cosiddetti indecisi arriva ad essere stimato addirittura un terzo dell'elettorato.
Si sa anche che un buon numero
di questi indecisi ha deciso di non votare: sono infuriati e ce l'hanno con
tutti. Questi signori hanno ragione di essere infuriati. Ma astenersi a cosa
serve? Punisce davvero la Casta? Rimedia davvero qualcosa? Temo di no.
Se verrà fuori, a elezioni avvenute, che i votanti sono diminuiti di
parecchio, è sicuro che i nostri politici non riconosceranno che le
astensioni in più sono punitive, sono astensioni di rigetto (e non di
disinteresse). Diranno, semmai, che ci stiamo «normalizzando» ai bassi
livelli di voto di molte democrazie. Tutt'al più verseranno lacrime di
coccodrillo sul fenomeno del crescente distacco dalla politica.
Qual è allora la pensata? È che sapendo usare il voto disgiunto tra le due
Camere ne possiamo ricavare un voto-rifiuto, un voto che puramente e
semplicemente dice no. Mettiamo che al Senato io voti Veltroni e invece per
la Camera io voti Berlusconi (o viceversa). In tal caso il mio secondo voto
pareggia e cancella il primo. L'effetto sull'esito elettorale è zero. Però
io ho votato, e quel mio voto esprime senza ombra di dubbio il secco rifiuto
del Palazzo e della Casta. Si dice che come elettori siamo impotenti. Sì. Ma
se, mettiamo, 10 milioni di italiani votassero così, allora saremmo
potentissimi.
Aggiungo che il voto disgiunto può anche indicare, volendo, il male minore
(o maggiore). Il sistema elettorale, il Porcellum, prevede un lauto premio
di maggioranza che per il Senato non è attribuito su base nazionale ma
spezzettato regione per regione. Il che lo rende il più incerto e il più
decisivo. Nel caso della Camera il premio lo vince chi ha più voti in tutto
il Paese; nel caso del Senato lo vince chi conquista più seggi nelle regioni
che ne hanno di più. Mettiamo, per esempio, che il nostro elettore voti
Veltroni al Senato e Berlusconi alla Camera. Così facendo indica che, male
per male, il «malissimo» è per lui un governo di destra. Viceversa se vota
Berlusconi al Senato e Veltroni alla Camera, indica che per lui il maggior
male è un governo di sinistra.
Dunque, nel disgiungere il voto l'effetto complessivo è sempre zero; ma chi
ottiene il voto per il Senato è avvantaggiato. In ogni caso uno vota contro
ma la strategia sinora disegnata consente di scegliere il male minore.
S'intende che il voto disgiunto può essere applicato anche ai «secondi
partiti». Per esempio, uno a Veltroni e uno a Bertinotti; oppure uno a
Casini e uno a Berlusconi. In tal caso il voto ai minori sarà sprecato ai
fini del premio di maggioranza, ma utile per la loro sopravvivenza, per
superare lo sbarramento (che per il Senato è dell'8%). Allora, io come
voterò? Certo, adottando i criteri che ho suggerito. Ma certo non dirò per
chi. Ognuno deve decidere per sé.