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Schede sui referendum – elaborazione del Pd

Sì per l’acqua pubblica e contro la privatizzazione forzata voluta dal governo Berlusconi. Pd da sempre contrario al decreto Ronchi e alla privatizzazione forzata.

– L’acqua è: insostituibile per la vita, scarsa e perciò da tutelare, servizio essenziale che deve essere garantito a tutti i cittadini alla massima qualità e a tariffe eque;
– con il decreto Ronchi il governo ha disposto l’obbligo di sottoporre a gara o vendere ai privati una quota non inferiore al 40% delle società che gestiscono il servizio idrico integrato entro il 2012;
– il governo di dimostra federalista solo a parole, dal momento che impone dal centro un obbligo di vendita a tutte le comunità locali;
– la vendita è in realtà una svendita di un patrimonio dei cittadini: quando si è costretti a vendere qualcosa entro una certa data il prezzo cala necessariamente, e quindi si svende;
– il governo forza l’ingresso dei privati in un settore del tutto particolare. La concorrenza è possibile tra operatori diversi solo nella fase di affidamento della gestione ma una volta affidata le società che gestiscono (a Roma dal rubinetto esce sicuramente acqua dell’Acea, a Torino della Smat, a Bologna di Hera, ecc.) operano in un regime monopolistico. Il governo, per giunta, non ha accettato gli emendamenti del Pd per aumentare il controllo pubblico con l’istituzione di una authority, che riteneva ora invece essenziale per provare a depotenziare il referendum
– la scelta secondo noi deve restare in capo alle comunità locali attraverso i sindaci, non si può imporre da Roma la svendita di un patrimonio di ognuno di noi;
– referendum ha un grande valore nella difesa dell’acqua come bene pubblico e nella battaglia contro la privatizzazione forzata, c’è una idea di bene comune, di tutela e solidarietà, di equità e partecipazione dei cittadini alle scelte che è la nostra;
– i referendum sull’acqua, al contrario di quello sul nucleare, non risolvono la questione; quello dell’acqua e del servizio idrico integrato (acquedotti, fognature e depuratori) è un settore complesso che richiede una riforma organica, dunque un intervento legislativo successivo
– il Pd ha presentato una propria proposta di legge (alla Camera Bersani, Franceschini; al Senato Finocchiaro) per affermare il governo pubblico dell’acqua;
– due i principi fondamentali: ci vuole una gestione industriale che non dia spazio a rendite o speculazione dei privati. Quel che occorre è una dimensione di scala adeguata, tecnologie, investimenti, organizzazione. Ma al contempo serve un governo pubblico dell’acqua e quindi fortissimo ruolo del pubblico nella programmazione, attraverso i sindaci, dell’ambito territoriale ottimale (investimenti necessari, limite della tariffa sostenibile), nella regolazione (standard di servizio) e nel controllo attraverso la creazione di una autorità indipendente compartecipata dalle regioni (poteri di ispezione, sanzione, verifica della congruità della tariffa, verifica sulla realizzazione degli investimenti, anche in vista di una possibile revoca dell’affidamento)
– l’importante è che ci sia un binario ben definito dal pubblico (attraverso programmazione, regolazione e controllo) all’interno del quale le comunità locali, attraverso i loro sindaci, possono decidere se affidare la gestione ad una società a totale capitale pubblico, una società con partecipazione dei privati o a società di capitali individuate attraverso gare;
– ci vuole un grande piano di investimenti per l’acqua (60 miliardi di euro da oggi al 2040 stimati dai piani di ambito) per risolvere i problemi che affliggono il sistema italiano. Tra questi, il fatto che un terzo del territorio non è coperto da depuratori, le punte di dispersione dagli acquedotti superano il 50%. Tali investimenti porterebbero, oltre alla tutela del territorio, un miglioramento del servizio e occupazione;
– proposto un fondo di riequilibrio territoriale, finanziato in parte con la fiscalità generale, per ridurre la disparità di dotazione tra territorio (accesso universale a servizio della massima qualità a tariffe eque; solidarietà)
– tariffa sociale per favorire fasce disagiate e famiglie numerose e tariffa più alta per chi spreca l’acqua

Si per fermare il nucleare

Pd da sempre contrario al piano di ritorno al nucleare voluto da governo per motivi tutt’altro che ideologici:

– tecnologia vecchia e ancora mai applicata: secondo il governo dovremmo importare reattori francesi Epr di terza generazione avanzata, vecchi di una ventina d’anni ma ancora non utilizzati; unici due in costruzione in Europa sono in Francia a Flamanville e in Finlandia a Oilkiluoto: in entrambi i casi raddoppiati i tempi di costruzione e quindi i costi, problemi con la sicurezza e questo in paesi che già producono energia nucleare, hanno già esperienza quindi;
– Non è vero che il nucleare ci farebbe risparmiare. I costi sono enormi e non stimabili: nell’ordine dei 6 – 8 miliardi di euro; rischi e incertezze non consentono di stimare correttamente il costo (possono allungarsi i tempi di costruzioni, procedure di autorizzazione, sicurezza, costo del denaro per finanziare investimento); il costo enorme e rischio non stimabile fanno sì che le imprese private abbiano bisogno di una garanzia pubblica, che sempre finisce per pesare sulle spalle dei cittadini. Nel nostro caso la garanzia è nella priorità di acquisto dell’energia prodotta da fonte nucleare a qualunque costo venga prodotta a carico ovviamente delle bollette dei cittadini;
– il nucleare costa più delle altre fonti di energia: più di gas, petrolio, carbone ed eolico. Ha ancora un vantaggio sul solare ma mentre i costi del solare si riducono nel tempo quelli del nucleare aumentano (studio fondazione sviluppo sostenibile diretta da Edo Ronchi che mette a confronto dati dell’Ufficio del budget Usa, Ministero Energia Usa, Gran Bretagna, Germania, Camera dei Lord, tra gli altri); anche il Mit certifica come il nucleare sia una tecnologia ad apprendimento negativo ossia ha costi in aumento al passare del tempo;
– nei costi non si considera lo smantellamento della centrale che è invece necessario e non stimato perché scaricato in automatico sulle tasche dei cittadini;
– sicurezza: in ordinario le centrali nucleari producono scorie radioattive. Da noi manca un piano per lo smantellamento delle 4 centrali non attive ma ancora piene di materiale radioattivo (Trino Vercellese, Caorso Piacenza, Montalto Viterbo, Borgo Sabotino Latina) e piano per individuare un deposito nazionale delle scorie (ora stoccaggi ‘provvisori’ a Saluggia Vercelli a 7 metri dal livello di piena del fiume Dora)
– ovviamente in caso di incidente c’è un impatto maggiore nelle aree più vicine alla centrale, dunque non è indifferente essere a 50 o 100 km piuttosto che averle oltre le Alpi;
– Italia paese a forte rischio sismico e densamente abitata;
– Il governo si è ben guardato dall’individuare siti (balletto dei presidenti delle regioni e candidati centro destra per dire bene il nucleare ma non nel nostro territorio); mappa del Consiglio nazionale per l’energia nucleare del 79 individua 45 aree possibili (criteri: basso rischio sismico, presenza di acqua, densità di popolazione contenuta)
– La tragedia giapponese ci ricorda che non è eliminabile il rischio di un incidente in una centrale nucleare, neppure nel paese più attrezzato al mondo per affrontare rischio sismico (terremoto l’aquila non avrebbe prodotto danni in Giappone). Il presidente dell’agenzia per la sicurezza nucleare francese André Lacoste ha spiegato che la sicurezza nucleare è una sicurezza probabilistica ossia lavorano per ridurre la probabilità che si verifichi un incidente in una centrale nucleare e se si verifica per ridurne le conseguenze. Dunque non si elimina il rischio di un incidente, si riduce la probabilità, per quanto bassa sia la probabilità, se un incidente si verifica produce danni incalcolabili per la salute umana e per l’ambiente, dunque principio di precauzione: produrre energia con metodi che non espongono a rischi incalcolabili la salute e l’ambiente
– Tra le motivazioni a favore del nucleare ci sarebbe la riduzione della dipendenza energetica da paesi come l’Algeria, la Libia, l’Ucraina, la Russia che possono usare la fornitura come strumento di ricatto. L’Italia sarebbe comunque costretta a importare uranio. Tra i principali fornitori di questo materiale c’è il Kazakistan e la Nigeria. E in più alcuni studi stimano che entro 60 anni l’uranio non sarà più disponibile a costi sostenibili. 
– All’Italia manca una strategia energetica nazionale.
– Strada del futuro: efficienza energetica e rinnovabili, in grado anche di creare decine di migliaia di posti di lavoro (già oggi fotovoltaico, pure danneggiato dal governo con decreto che ha bloccato per due mesi incentivi, ha oltre 100 mila addetti)
– Germania: dopo l’impegno della Merkel, il Parlamento ha già approvato la legge che prevede la chiusura delle centrali nucleari entro il 2022 (Germania ha 17 reattori, 8 già fermi dopo Fukushima per controlli di sicurezza). E’ il più grande Paese industriale d’Europa, sta uscendo dalla crisi con una crescita del Pil stimata per il 2011 al 2,6% (primo trimestre 2011 su primo trimestre 2010 +5,2%), ha puntato sull’energia verde creando 350 mila posti di lavoro nel settore; obiettivo 50% da rinnovabili nel 2030

Nuovo quesito sottoposto ai cittadini:

con il decreto omnibus il governo ha abrogato parte delle norme che riportavano il nucleare in Italia ma di fatto si limitava a rinviare la scelta del nucleare con un richiamo alla necessità di coordinamento europeo sugli standard di sicurezza (comma 1) e soprattutto affidando al solo presidente del consiglio (dunque atto amministrativo e non legge) il compito di predisporre una strategia energetica nazionale entro dodici mesi dall’approvazione della legge senza escludere il ritorno del nucleare (comma 8); numerose affermazioni sia di Berlusconi sia di Romani che rassicuravano sul non abbandono del nucleare (clamoroso il bilaterale di Berlusconi con la Francia in cui garantiva alle imprese francesi la prosecuzione del ‘business’ avviato)
il quesito si sposta dunque sul comma 1  e comma 8 dell’emendamento presentato nel decreto omnibus per rispettare la volontà dei proponenti
la sostanza è la stessa: si chiede ai cittadini se vogliono o meno che l’Italia torni ad avere centrali nucleari (nota – alcuni esponenti della maggioranza hanno criticato il nuovo quesito sostenendo che andrebbe ad abrogare la strategia energetica nazionale, ma appunto la strategia energetica nazionale non esiste, quell’articolo è lì per consentire di rinviare il nucleare a tempi immuni dal referendum; il nuovo quesito consente ai cittadini di esprimersi sul ritorno del nucleare)

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MAGDA NEGRI

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