Corriere della Sera, 18 luglio 2007
La scelta di lavorare con il presidente francese
QUEI SOCIALISTI DI SARKOZY
di MICHELE SALVATI
La notizia di ieri è che Jack Lang ha accettato l'incarico offertogli da Sarkozy. Dei giorni scorsi sono le notizie che socialisti dichiarati, come Kouchner e Attali, avevano fatto lo stesso e la lista potrebbe molto allungarsi se includessimo nomi meno noti. Mancanza di coerenza politica? Ambizione personale? Questo sarebbe il giudizio al quale molti si limiterebbero in Italia, di interesse politico nullo.
L'avvicinamento al presidente francese di intellettuali e tecnici di grande capacità e voglia di fare, motivati da spirito repubblicano e amore per il loro Paese, e che non si sentono affatto di tradire i loro ideali, richiede un'altra spiegazione. Da tempo in Francia sono percepibili una sensazione di crisi e un timore di declino ancor più forti ed estesi che da noi: può sembrare strano, per un Paese tanto ricco e (agli occhi di un italiano) ben funzionante, ma così è.
La Francia, come la Germania e l'Italia, è un Paese che non si è pienamente adattato alle dure regole del regime internazionale che ha fatto seguito al periodo tra il 1950 e il 1980, ai «trent'anni gloriosi», come li chiamano i francesi. Ed è per questo che cresce poco. Un Paese in cui ancora sono diffuse le istituzioni, le mentalità, gli atteggiamenti del tempo ormai lontano in cui l'economia cresceva al 5%, un grande sviluppo dei consumi pubblici era perfettamente compatibile con uno analogo dei consumi privati, l'occupazione era piena, il lavoro fisso e stabile e la flessibilità una parola sconosciuta. Sarkozy sembra il primo presidente francese ad aver capito la realtà economica in cui vive, a proporre misure che consentano alla Francia di cavarsela quanto meglio è possibile in tale realtà e ad avere la forza politica per metterle in atto. Se a questo aggiungiamo che Sarkozy ha messo molta salsa francese nel suo liberalismo e non si presenta proprio come un affamatore degli operai e un paladino dei potenti e dei ricchi; se aggiungiamo ancora la grande confusione che regna nel campo socialista, è facile comprendere come mai Attali, o Lang, o Kouchner o tanti altri siano
stati tentati dalla sua offerta..
Non sono pochi in Italia, sia a destra che a sinistra, ad aver
capito le stesse cose del presidente francese. Manca però loro la
possibilità di emergere come leader che impersonino in modo
credibile una strategia di risposta adeguata, quella possibilità che
un sistema semi-presidenziale (senza coabitazione) e un modello
elettorale a doppio turno hanno fornito a Sarkozy e che una lunga
tradizione politica (e il modello Westminster) hanno fornito a
Thatcher e Blair. Una controprova? Lasciamo da parte, per carità di
patria, il caso italiano. La Germania è un Paese serio e ben
organizzato, ma soffre dello stesso male di cui soffrono la Francia
e l'Italia. Schroeder l'aveva capito, ma il tentativo di mettere in
atto misure adeguate ha provocato una sconfitta di misura della Spd
e di conseguenza la grossa Koalition guidata da Angela Merkel. Non
solo. È oggi molto probabile che future elezioni vedranno una
sconfitta dei riformisti ancor più grave, data l'insoddisfazione
sociale diffusa e i sondaggi sempre più favorevoli per la sinistra
non riformista, quella Linke cui si sente vicino il nostro
Bertinotti.
Per la sinistra riformista italiana la quale, per comprensibile
disperazione, sembra oggi tentata dal modello elettorale tedesco,
spero sia questo un motivo che la induca a riflettere. E induca a
riflettere anche la destra, perché è tutto da dimostrare che
il «taglio delle ali estreme» e governi centristi siano in grado di
attuare le riforme impopolari che i governi inglesi hanno adottato e
alle quali Sarkozy pare accingersi.