All’inaugurazione dell’anno giudiziario a Torino, venerdì scorso, alla quale ho partecipato, se non fosse stato per l’intervento di Caselli che ha documentato il basso uso delle intrercettazioni da pare della Procura di Torino per la costruzione delle indagini e la ricerca delle prove, criticando la degenerazione di settori della magistratura, l’evento quest’anno sarebbe stato un po’ sottotono.
Caselli ha anche messo in guardia il Governo dalla possibilità di distruggere del tutto lo strumento dell’intercettazione, come strumento di indagine. Il Guardasigilli Alfano ha mandato solo un funzionario a leggere un rapporto di ordinanza. Le riflessioni sulle disfunzioni della Giustizia a Torino si sono concentrate sulla mancanza di cancellieri e di personale amministrativo, sulla polverizzazione delle sedi. Questa sensazione di tono minore è del tutto simile con l’atmosfera nella quale al Senato questa settimana è stata commentata la relazione di Alfano sullo Stato della Giustizia.
Nell’infinita e pluridecennale diatriba tra magistrati, avvocati, politici, giuristi, il grande scandalo del pessimo funzionamento della Giustizia, della lunghezza dei processi, e della loro prescrizione (civile 5/8 anni, penale oltre 10). Insomma, la grande questione sociale della giustizia negata ai cittadini italiani non riesce a prendere la centralità che le spetta nell’agenda pubblica . E il cumularsi di riforme sbagliate o irrilevanti o contraddittorie o solo corporative sta estenuando ogni vera possibilità riformatrice del nostro sistema della Giustizia.